Se sparare a un cane è peggio che sparare contro una donna

Lunedì mattina, a Carovigno, una donna di 57 anni è stata quasi uccisa con una fucilata alla gola dall’ex marito che non accettava la loro separazione. Franca Colucci per campare fa la domestica, si muove su una vecchia Fiat Uno di 30 anni fa, con scope e detersivi. Anche all’appuntamento è arrivata dal lavoro, pensava a un chiarimento, per altro in quella piccola casa di campagna in cui avevano trascorso tante estati felici. E invece, appena è scesa dall’auto, quello le ha puntato contro un fucile e ha sparato, quasi a bruciapelo. Pensava di averla ammazzata e poco dopo si è tolto la vita. Franca non è morta, i medici e il destino l’hanno salvata.
La notizia è rimbalzata ovviamente da un angolo all’altro del web ed è stata rilanciata da decine di pagine Facebook di giornali locali. Le reazioni, nello spazio riservato ai commenti (ormai un vero termometro per comprendere che impatto una notizia abbia sui lettori) sono state però molto blande e quasi nessuna che condannava con decisione (e magari anche rabbia) l’ennesimo caso in cui una donna ha subìto la violenza di un uomo che non accettava la separazione. Quasi che tutto sommato l’accaduto rientrasse in una sorta di perversa normalità.
Sempre a Carovigno, il giorno successivo, un cane meticcio di nove anni, di nome Remì, è stato ucciso anch’egli con un colpo di fucile mentre era per strada, nel centro del paese. Un atto di estrema crudeltà, inspiegabile, che ha provocato comprensibile disperazione nei suoi padroni e tanta rabbia in chi poco dopo ha tentato invano di soccorrerlo. Remì era un animale mansueto che non aveva mai dato alcun problema, tant’è che ogni giorno vagava libero per strada, facendosi accarezzare da adulti e bambini.
Anche in questo caso la notizia ha avuto vasta eco sui giornali on line, ma è su Facebook che si è scatenata una vera e propria ondata di indignazione che ha coinvolto migliaia di persone, con epiteti d’ogni tipo lanciati nei confronti dell’ignoto autore dell’orrenda esecuzione, e di tenera vicinanza al cane ucciso e ai suoi sfortunati padroni. Una reazione molto coinvolgente, simile a quella riscontrata, sempre sui social network, dopo l’episodio del cane bruciato vivo a San Pietro Vernotico.
Confrontando i due episodi di cronaca, avvenuti nello stesso paese, a 24 ore di distanza l’uno dall’altro, il primo con una donna quasi ammazzata a fucilate dal marito-padrone, il secondo con un cane ucciso da un bastardo (a due zampe), non può non far riflettere il fatto che la poveraccia presa a fucilate dal marito non abbia suscitato alcuna pubblica indignazione, ma solo dispiacere. Nonostante il tema della violenza sulle donne, sempre più frequentemente vittime di ex mariti o ex compagni, sia di pressante attualità, sostenuto da campagne d’informazione, convegni e manifestazioni pubbliche, quasi nessuno sembra essere stato davvero colpito dal fatto di cronaca. Al contrario, migliaia di persone si sono sentite ferite per la barbara esecuzione del cane e hanno sentito l’esigenza di urlarlo.
E’ legittimo che l’ondata di viscerale animalismo che ha cambiato negli ultimi dieci anni il rapporto tra esseri umani e “pelosetti” si concretizzi in una condanna ferma e decisa di ogni episodio di cui sono vittima cani e gatti, domestici e randagi. Non è però spiegabile come mai tale sdegno, che dovrebbe esplodere ancor più quando la violenza viene compiuta ai danni di essere umani e, ancor peggio, di donne, resti sopito in una sorta di silenziosa rassegnazione.
Senza dubbio la nostra società ha compiuto un grande passo avanti da quando gli animali sono considerati alla stregua di componenti umani della famiglia. Ma se la fucilata contro Remi viene ritenuta più grave di quella esplosa contro Franca, qualcosa evidentemente è andato oltre.