Sono trascorsi sessant’anni dall’ordinanza che poneva fine alla breve vita del Teatro Comunale “Giuseppe Verdi”, il primo teatro lirico brindisino inaugurato solamente cinquantasei anni prima, il 17 ottobre 1903, con la rappresentazione della Traviata, l’opera verdiana più famosa del grande compositore di Busseto scomparso nel gennaio del 1901.
Il commissario prefettizio cav. Pasquale Prestipino appena insediato nel Palazzo di Città (maggio 1959), trovò ad attenderlo una relazione sulle condizioni statiche del teatro comunale redatta qualche giorno prima dal dirigente dell’Ufficio Tecnico comunale, l’ing. Vincenzo Valentini e dal comandante dei vigili del fuoco di Brindisi, il geom. Fiorenzo Daturi, nella quale veniva dichiarata “improrogabile la demolizione dell’edificio”. I tecnici esperti che avevano effettuato il sopralluogo ritennero grave la situazione “per le numerosi lesioni sulle murature di tutto l’edificio che ovunque dimostravano evidenti segni di dissesto”, inoltre “le condizioni della cupola sono anch’esse precarie per la sua fatiscenza”. Sulla base di tali elementi, l’ufficio tecnico del capoluogo fu incaricato di compilare un progetto di demolizione che comprendesse oltre alle spese per i lavori di abbattimento dello stabile, anche quelli per il trasporto in discarica dei materiali di risulta e il “valore del materiale recuperabile”. Il piano di lavoro fu presentato il 25 settembre ed approvato il giorno successivo dal commissario Prestipino che, con la stessa delibera (n. 299/b), decise di indire anche la gara d’appalto per i lavori da effettuare “mediante licitazione privata, con il sistema di offerte segrete”. Il 30 settembre 1959 il commissario prefettizio ordinò “l’immediata demolizione dell’intero complesso edilizio del Teatro Comunale Giuseppe Verdi”.
In realtà lo stabile era chiuso e “completamente abbandonato a se stesso” da ben tre anni, dopo essere stato dichiarato inagibile dal prefetto Alberto Novello a seguito del verbale stilato dall’apposita commissione di vigilanza sui locali di pubblico spettacolo, dove veniva rilevato che il cinema teatro Verdi “non offre più le garanzie di stabilità e che è indispensabile salvaguardare l’incolumità pubblica”, pertanto la Questura di Brindisi aveva emesso l’ordine di chiusura definitiva il 23 agosto del 1956.
I numerosi interventi effettuati negli anni precedenti portano a pensare che il teatro potrebbe essere stato costruito davvero male e con materiali scadenti, infatti le cattive condizioni dell’edificio sito in corso Umberto I angolo con piazza f.lli Cairoli, erano state evidenziati già nel 1903, quando si lamentarono alcuni “inconvenienti” – principalmente infiltrazioni e umidità – solo in parte risolti dopo alcuni anni; nuovi interventi furono compiuti dopo il primo conflitto mondiale e altri ancora tra il 1920 e il 1930. “Portato a nuovo splendore” nel 1941, durante l’ultimo decennio furono comunque necessari una serie di riparazioni urgenti alle strutture del complesso: nel giugno del 1949 una forte bufera di vento provocò gravi danni alla copertura del salone concerti, e subito dopo il completamento dei lavori, un’altra tempesta (febbraio ’51) causo il distacco di alcune lamiere di zinco della copertura della cupola, che rimase seriamente danneggiata. Per la riparazione venne utilizzata una impalcatura che “vi girava tutt’intorno”, ciò permise di esaminare meglio lo stato generale e di conservazione dell’immobile: l’ingegnere capo del comune, Ugo D’Alonzo, verificò che anche la parte in “tavolato di scurette” sottostante la copertura risultava marcita, era inoltre necessario ed urgente rafforzare le murature perimetrali, revisionare il tetto del palcoscenico, restaurare il soffitto interno e riparare l’impianto di parafulmini, giusto come sistemazione provvisoria e consentire l’agibilità della struttura teatrale. Nella sua relazione, l’ing. D’Alonzo pose una serie di quesiti che portarono, per la prima volta ufficialmente, a valutare la possibile demolizione dello stabile: era economicamente più conveniente riparare i tanti danni o sarebbe stato più opportuno utilizzare quei soldi per la costruzione di un nuovo teatro? L’ingegnere capo chiedeva inoltre di considerare anche un diverso e migliore utilizzo dell’area “di notevolissimo valore per la sua pregiata ubicazione e regolarità di forma” e di erigere un nuovo teatro in altro luogo. Tutti i componenti dell’apposita commissione incaricata di verificare le condizioni generali della struttura, dichiararono all’unanimità che la situazione era ancora più grave rispetto a quanto era già stato rilevato, asserendo che “l’edificio non risponde più alle esigenze dei moderni spettacoli per la deficienza di capacità e di sicurezza; che lo stesso non costituisce un monumento cittadino che valga la pena di conservare”. Si decise pertanto di eseguire i lavori necessari per assicurare l’utilizzo del teatro sino allo scadere del contratto di concessione all’Amit (Anonima Meridionale Imprese Teatrali) previsto per il 1955, e al contempo “avviare trattative per la costruzione di un edificio moderno, mediante concorso pubblico”.
Nel febbraio del 1956 la commissione tecnica comunale era intervenuta nuovamente, e dopo aver effettuato alcuni sopralluoghi per verificare le condizioni statiche a tre anni dagli ultimi lavori di “pronto intervento”, aveva disposto il puntellamento urgente dei muri dello stabile prospicienti via Masaniello. I puntelli però, oltre ad ostruire la strada, causarono non poche polemiche mediatiche, il giornale “Meridionale” descrisse il teatro ormai decrepito e invitò le autorità ad intervenire urgentemente: “cosa aspetta l’impresa che gestisce il teatro? Che questo crolli in una serata di piena?”.
Una volta chiuso al pubblico (agosto 1956) il teatro Verdi venne definitivamente abbandonato senza più una minima manutenzione ordinaria e quando il 19 novembre un altro ciclone sconvolse la città causando numerosissimi danni, il teatro che aveva subito l’asportazione di diverse lamiere della copertura della cupola, non venne inserito nell’elenco degli edifici da riparare, ma “fu lasciato alla mercé della pioggia che finì col guastare quanto si era salvato”. Elena Lenzi nella pubblicazione dell’Archivio di Stato di Brindisi “La fabbrica del teatro” (1986) scrive ancora: “a questo punto si può parlare, senza tema di smentita, di abbandono volontario da parte degli amministratori dell’epoca, abbandono che fu causa dell’ulteriore degrado dello stabile su cui fondò ed ebbe attuazione, senza incontrare ostacoli, la decisione di demolirlo”.
I lavori di demolizione furono affidati con trattativa privata alla cooperativa Aurora Adriatica di Brindisi (delibera 70 del 20 gennaio 1960) in quanto aveva avanzato una proposta ritenuta dall’amministrazione comunale “la più conveniente”, poiché la ditta “avrebbe proceduto alla demolizione senza alcun compenso in denaro, accontentandosi degli utili ricavabili dal materiale di recupero”. Il teatro fu consegnato all’impresa completamente vuoto, ma non si è mai saputo dove finirono tutti gli arredi (poltrone, mobili, specchi, lampadari ecc.) e le attrezzature di scena, sgomberate dopo il ciclone del novembre 1956.
Nell’attento e scrupoloso lavoro di ricerca documentale svolto dai funzionari dell’Archivio di Stato non si è inoltre trovata traccia di una qualsiasi forma di dissenso della popolazione brindisina, nessuna manifestazione, nessuna iniziativa venne intrapresa dai cittadini o dalle associazioni culturali e politiche, tutto si svolse nell’indifferenza, le polemiche iniziarono – come spesso accade – solo a cose già fatte.
Nel febbraio 1960 cominciarono i lavori di demolizione, a maggio del teatro Verdi non vi era più traccia.