Tra Cerano e Torre Mattarelle dentro il regno delle grandi spugne colorate

L’estate 2019 è giunta oramai al suo epilogo e, anche se dalle nostre parti gli amanti del mare se la possono godere alla grande ancora per qualche settimana, c’è grande aria di smobilitazione su tutto il litorale a nord di Brindisi, quello, per intenderci, dei lidi attrezzati e delle spiagge libere solitamente frequentate dai brindisini e dai turisti che animano le nostre coste.
Meno frequentati, anzi praticamente sconosciuti ai più, sono la costa ed il mare posti a sud della città, prospicienti il polo chimico e, ancor più a sud, la Centrale Termoelettrica Federico II e, da quando pochi anni addietro ha mestamente chiuso i battenti, sconfitto dall’erosione costiera e dalla burocrazia, Lido Cerano, si può ben dire che nessuna spiaggia è più affollata dai bagnanti nel tratto che va dalle Pedagne e Torre Cavallo fino a Campo di Mare e Torre San Gennaro, per un tratto di circa 15 chilometri. Se la storia di Brindisi del dopoguerra avesse avuto un corso diverso ed i suoi amministratori una visione più illuminata e meno legata alle necessità post belliche, seguendo semplicemente la vocazione naturale della città, circondata dal mare e baciata dal sole, avrebbero reso il capoluogo messapico uno dei principali poli turistici del Mediterraneo ed il Parco Naturale delle Saline di Punta della Contessa – per otto chilometri letteralmente schiacciato e mortificato fra il Petrolchimico e la mega centrale a carbone dell’Enel, oltre che avvelenato dalla discarica Micorosa – sarebbe oggi un vero paradiso terrestre con i suoi laghi costieri, le sue dune sabbiose ed ed il suo arenile che, in alcuni tratti, si estende anche per una larghezza di 15 e 20 metri.
Più volte ho avuto l’occasione, dalle pagine di questa rivista, di condividere, attraverso le mie foto ed i miei racconti, quanto di bello la natura riesce ancora ad offrirci sia sulla terraferma che nei laghi costieri che nel mare antistante questo tratto di costa; ma questa volta voglio spingermi un po’ più al largo, ad un paio di miglia dalla costa, su una cigliata posta circa quattro miglia a sud del Porto industriale di Brindisi ed a poco meno di tre miglia dalla centrale di Cerano
La “cigliata”, nel gergo sottomarino, è una sorta di orlo roccioso che frana su una zona completamente sabbiosa e che per questo diventa un punto ideale di sviluppo e crescita di fauna e flora marina. L’unico esempio davvero calzante che mi viene in mente, per rendere grezzamente idea della sua importanza nell’ecosistema, è quello di un’oasi in mezzo ad un deserto.
Quella da me esplorata al largo di Torre Mattarelle, fra Punta della Contessa e Cerano, è lunga alcune centinaia di metri e con un costone roccioso alto mediamente due o tre metri e largo una trentina: la presenza di roccia ed anfratti permette oltre che la formazione del coralligeno, che ben si fissa sul substrato duro, anche il rifugio per una quantità indefinita ed impressionante di piccoli pesci ed altre creature marine e, conseguentemente, è zona di caccia ideale per i pesci predatori, sia quelli da tana con abitudini territoriali e notturne, che sono stanziali sul “taglio”, sia di quelli che vagano nel blu e che sanno di poter contare, all’occorrenza, su questa grossa riserva di caccia, anzi di pesca, su cui piombare per soddisfare il più ancestrale degli istinti.
Fra i predatori, ovviamente e con tutti i distinguo del caso, non può non essere preso in considerazione anche l’uomo, tant’è che molti sono i segni della pesca più o meno selvaggia è più o meno lecita presenti sul posto.
Ovviamente, stante la distanza dalla costa, l’unico modo per raggiungere il posto è una imbarcazione, che faccia anche da supporto.
Si tratta sicuramente di una immersione di un certo impegno, non solo per la lontananza dalla terraferma, ma anche per la profondità, che parte da -22 ed arriva a sfiorare i -30 metri e per la presenza in ogni periodo dell’anno di correnti sia superficiali che sul fondo, per cui è da programmare ed affrontare solamente quando il mare è calmo ed in compagnia di gente esperta sia in mare che sulla barca ed ovviamente occorre avere un brevetto subacqueo avanzato.
Dal porticciolo Marina di Brindisi ci vuole circa una mezzoretta di tranquilla navigazione per giungere sul posto, passando vicino alle Isole Pedagne e costeggiando la impressionante zona industriale di Brindisi, con i suoi stabilimenti, gli enormi serbatoi di prodotti chimici e le minacciose torce, sempre pronte a sfiammare, prima di prendere leggermente il largo all’altezza di Punta della Contessa.
Giunti sul posto, dove in un solo sguardo verso ovest riusciamo ad abbracciare gli oltre 15 chilometri di costa che abbiamo provato a descrivere da Brindisi a Torre San Gennaro, gettiamo l’ancora, stando ben attenti, per la presenza delle correnti cui ho accennato, che la stessa prenda bene; infatti, il gommone si sposta ancora per qualche metro prima che l’ancora, dopo essersi trascinata sulla sabbia, si fissi su qualche escrescenza rocciosa ai margini della cigliata.
Scendiamo subito a 23 metri di profondità attraversando, come al solito, una nuvola di rondinelle di mare, le graziose ed eleganti castagnole nere, che a migliaia sono presenti ovunque ci sia una scogliera, un gruppo di massi un pezzo di relitto, o qualsivoglia oggetto che possa rappresentare al tempo stesso una fonte di cibo ed un rifugio contro i tanti predatori.
Le pareti della cigliata sono incrostate di coralligeno, un insieme di organismi sia animali che vegetali, specialmente alghe rosse, in grado di produrre calcare che, fissandosi su un substrato solido creano l’ambiente ideale sia per la fauna, che si fissa al substrato, che per quella semplicemente sedentaria, col risultato di una massa con un sottile strato vivente superficiale ed un cuore di roccia dura cementata e resistente, ma con numerosi buchi e cavità. Essi sono un richiamo irresistibile per milioni di microscopici organismi costituenti il plancton che sono, poi, alla base della catena alimentare la quale, passando per i gamberetti le castagnole, le donzelle, i tordi, i saraghi, i polpi, le murene e così via, giunge fino ai più grossi animali marini oltre che all’uomo che è il maggiore predatore che abbia mai calpestato la terra e varcato i mari.
“Planando” lentamente sulla cigliata, oltre che la nuvola di pesci, man mano che ci si avvicina, non possono sfuggire allo sguardo le grandi spugne a candelabro del genere Axinella, di colore giallo, arancio o anche rosso vivo che si ergono ai margini del costone roccioso come degli enormi cactus nel deserto roccioso americano.
Ma questo è anche il regno delle Gorgonie gialle o bianche del genere Eunicella, che non è raro scorgere se si esplorano con attenzione, senza fretta e con l’ausilio di una buona torcia subacquea le pareti e gli anfratti più bui e meno frequentati.
Così è possibile notare, sempre saldamente ancorati alle rocce, numerosi altri briozoi come il falso corallo, le corna d’alce e la rosa di mare, davvero belli da vedere e, nel mio caso, da fotografare.
Riesco ad immortalare, lì dove il fondale sfiora oramai i trenta metri, anche una bella Aragosta, divenuta sempre più rara a causa della predazione da parte di pescatori di frodo senza scrupoli che, negli scorsi decenni l’hanno pescata illegalmente con l’ausilio delle bombole (non mi stancherò mai di ricordare a tutti che la pesca subacquea con le bombole è assolutamente vietata e costituisce reato) ed una cicala di mare, suo parente povero.
All’improvviso, illuminando un anfratto, in una esplosione di colori, incrocio lo sguardo inquietante di una Murena che si lascia fotografare senza rintanarsi, avendo evidentemente captato con il suo sesto senso, la mia assoluta mancanza di intenti aggressivi.
Lo spettacolo è talmente coinvolgente e l’immersione talmente breve ( a causa della profondità che non permette di stazionare sul fondo per più di mezz’ora) che, quando già ero sulla via del ritorno, incontro una giovane esemplare di quello che un tempo era il re incontrastato di questi fondali, una Cernia di una trentina di centimetri, evento molto raro in quanto, come accaduto per le Aragoste, anche la Cernia è stata ed in qualche modo ancora è, oggetto di pesca di frodo con le bombole che ne hanno ridotto la popolazione ai minimi termini ed hanno spinto gli esemplari più grossi, ad andare a vivere nei fondali più profondi.
Pur essendo dalla parte degli animali, non ho molto da obiettare nei confronti di chi pesca rispettando le leggi ed il buon senso, ma quella che non riesco a concepire è la pesca indiscriminata con mezzi illeciti e la voglia di tornare a casa con una preda qualunque essa sia, che spinge ad ammazzare anche animali giovani e sottotaglia, che un tempo non lontano qualsiasi pescatore d’onore avrebbe risparmiato.
Spero sinceramente che anche questo cerniotto compia questa saggia scelta di spostarsi qualche miglio più al largo, dove il fondale degrada oltre i cinquanta metri, e mettere lì famiglia!
Proprio mentre sono intento in questi pensieri ecco la prova provata della scelleratezza dell’uomo: i resti di una rete da posta non segnalata e, pertanto, illegale, posta ai margini della cigliata e costituente un pericolo occulto non solo per pesci, tartarughe marine e cetacei, ma anche per i subacquei che potrebbero incapparvi.
Il tempo è davvero volato e, avendo sforato di qualche minuto rispetto ai programmi, il computer subacqueo da polso mi suggerisce ed impone una sosta di decompressione ulteriore oltre ai tre minuti canonici e prudenziali da rispettare durante la risalita.
La sorpresa finale – a dire il vero il nostro mare dispensa spesso questo genere di sorprese – è un banco di ricciole di discrete dimensioni che, senza alcun apparente timore, anzi probabilmente attratte dalle bollicine dei nostri erogatori, ci passa accanto, prima di andare a caccia di alicette ai margini del costone roccioso.
Messa nuovamente la testa fuori dall’acqua e constatato che il gommone è ben fermo ad aspettarci il mio sguardo corre, nuovamente, verso la costa e, da sinistra verso destra scorgo, più minaccioso che mai, l’ecomostro di Cerano con la enorme ciminiera che fa da feroce guardiano, la falesia crollata in più tratti, gli stabilimenti industriali, le torce e mi rituffo, mio malgrado, nella realtà: bentornato a Brindisi, la città dove tutto è stato ed è possibile ma dove nulla è ancora perduto.