Generalmente l’argomento che scelgo per il reportage estivo, in concomitanza con il periodo ferragostano, riguarda la bellezza del nostro patrimonio naturalistico, inteso a 360 gradi, e la generosità del Creatore per tutto ciò che ci ha affidato in custodia.
Ma non può essere così in questa calda estate in cui non ci siamo fatti mancare davvero nulla, almeno per ciò che concerne gli oltraggi alla natura e gli attentati alla nostra stessa salute, oltre che alla vita di ogni altro essere vivente, sia esso animale o vegetale, presente nel nostro territorio.
Dal butilene – un idrocarburo altamente infiammabile ed estremamente pericoloso – fuoriuscito da un vagone-cisterna diretto al Petrolchimico, nella stazione ferroviaria lo scorso 22 luglio, allo sversamento in mare di una cospicua quantità di gasolio durante le operazioni di bunkeraggio della nave militare San Giusto che, al netto dell’inquinamento prodotto nelle acque del porto ed alla foce del Cillarese, ha anche ammorbato l’olfatto di migliaia di brindisini nella notte fra il 9 ed il 10 agosto; dai numerosi incendi divampati sulla litoranea nord, che hanno bruciato e distrutto decine e decine di ettari di canneti e macchia mediterranea, con ogni probabilità appiccati da mano criminale, al taglio folle ed inspiegabile di molti dei pochi alberi rimasti in città, non solo appartenenti a privati ma anche quelli patrimonio di enti pubblici e che, in quanto tali, ci si aspettava che fossero maggiormente tutelati.
Archiviando i primi due episodi come incidenti, che sicuramente avranno dei responsabili che saranno individuati, ma a cui si è riusciti a porre celermente rimedio, è il caso di approfondire la questione degli incendi e del disboscamento selvaggio che sta riducendo al lumicino il nostro già martoriato patrimonio naturalistico, con le innegabili e tristi conseguenze che ne derivano per la qualità stessa della nostra vita; se proprio non ci si vuole porre il problema del benessere animale e del fatto che anche le piante sono esseri viventi che, popolando il pianeta da assai prima di noi, consentono agli animali stessi, fra cui anche l’unico davvero bestiale tra essi, cioè l’uomo, di vivere.
Non c’è dubbio che l’estate del 2021 è destinata ad essere ricordata dai brindisini per la impressionante serie di incendi che ha colpito in particolar modo il litorale a nord della città, quello più frequentato dai bagnanti e villeggianti, vale dire da Brindisi da Materdomini ad Apani.
Volendo ricordare solo quelli più vasti e distruttivi, si è cominciato nel pomeriggio della afosa domenica del 25 luglio, con le fiamme che si sono alzate contemporaneamente, in maniera violenta e minacciosa, in tre diversi punti del canneto fra Apani e Giancola, in maniera tale da lasciare ben pochi dubbi sulla sua matrice dolosa, spingendosi, per il vento di scirocco, fino alle dune sabbiose e a ridosso della falesia, causando ingenti danni all’habitat naturale e paura fra i bagnanti e gli abitanti delle villette esistenti in zona. Grazie al pronto intervento dei Vigili del Fuoco le fiamme sono state spente e si sono limitati i danni.
Come in un copione scritto a tavolino, si replica la domenica successiva, l’1 agosto, ancora una volta con tre roghi accesi in tre località diverse, anche se vicine tra loro, sempre sulla litoranea nord, a pochi metri dalle spiagge piene di bagnanti.
Poco dopo le 15,00 di quella assolata domenica. il fuoco parte ancora una volta dai canneti: quello di Parco Sbitri è forse il più violento e, in men che non si dica, distrugge completamente ogni vegetazione ivi esistente, dagli stupendi tamerici, ai rigogliosi lentischi e tutte le altre essenze mediterranee, anche quelle piantate una decina di anni fa quando la zona fu bonificata dall’amianto e dalle baracche esistenti a ridosso della vecchia batteria militare e dal nulla e nel nulla sorse questo parco da sempre rimasto abbandonato a se stesso e privo di vigilanza.
Spaventose anche le fiamme che si sono alzate, sul lato mare, ad Acque Chiare, proprio all’interno della recinzione della ex spiaggia annessa al villaggio e che ha completamente distrutto ogni cosa terrorizzando letteralmente le centinaia di persone intente a godersi il bagno per combattere la calura: necessaria anche l’evacuazione del vicino Lido Sant’Anna, verso cui il vento stava spingendo le fiamme alte più di dieci metri con tanto di fuggi fuggi generale per mettersi in salvo e per spostare le auto, posteggiate a ridosso della litoranea per evitare che prendessero fuoco in quanto la zona, oltre ad essere invasa dal fumo, era lambita dalle fiamme che, ravvivate dal vento, si alimentavano avvolgendo gli alberi resinosi ed i folti cespugli.
Il terzo fronte di fuoco era, ancora una volta, a Giancola, al di là della litoranea, per cui in questo caso l’apprensione dei bagnanti presenti nell’ex Lido della Provincia era più contenuta.
Ancora una volta l’intervento immediato dei Vigili del Fuoco e la loro sapiente opera nel contenimento e nello spegnimento delle fiamme, era risolutivo e nel giro di poche ore ogni residuo focolaio di incendio era spento, anche se nulla si era potuto fare per evitare la pressoché completa distruzione di una gran quantità di piante.
L’incendio più vasto e feroce, più duro a morire, è stato quello appiccato, venerdì 13 agosto, in più punti della già martoriata Giancola, zona importante sia dal punto di vista archeologico per i numerosi ritrovamenti di reperti risalenti all’età romana e ad epoca preistorica, sia in quanto area protetta di notevole importanza per il suo habitat naturale e per le diverse specie di fauna e flora selvatica che ospita, tant’è che, con decreto 21 marzo 2018 del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, questo sito è stato designato Zona Speciale di Conservazione (ZSC) della regione biogeografica mediterranea.
Personalmente, nel corso di varie escursioni sul posto effettuate negli ultimi anni, ho constatato come il vasto canneto ospita – anzi visto come sono andate le cose sarebbe forse meglio dire ospitava – uccelli acquatici come la Folaga, la Gallinella d’acqua, il Tuffetto, il Tarabusino e varie anatre di superficie come il Germano reale oltre che rettili e anfibi come la Raganella italiana, il Rospo smeraldino e serpenti come la Natrice dal collare, più nota come biscia d’acqua. Si tratta di uno dei pochi habitat dove ancora vive e si riproduce l’Emys orbicularis, cioè la testuggine d’acqua dolce europea. Attorno al canneto sono evidenti anche le tracce di mammiferi più grandi come la Volpe ed il Tasso.
Circa la metà di questo sito, per oltre venti ettari, è andato distrutto e solo grazie all’intervento dei Vigili del Fuoco e del personale ARIF (acronimo di Agenzia Regionale per le attività Irrigue e Forestali), che hanno lavorato giorno e notte, si è riusciti ad evitare che le fiamme potessero colpire le civili abitazioni e si è salvato almeno parte del canneto.
Sicuramente oltre alle piante, sono stati numerosi gli animali, soprattutto i più piccoli ed i più lenti, che hanno perso la vita arsi dal fuoco e tanti altri forse non torneranno più dalle nostre parti, almeno fino a quando la natura, completando il suo corso, non riuscirà, negli anni, a sanare le ferite di questo ennesimo vilipendio che ha dovuto subire per mano criminale dell’uomo.
Ancora, il 17 agosto, un altro incendio ha interessato nuovamente la zona di Acque Chiare, completando l’opera di devastazione iniziata due settimane prima.
Forse per combattere questa piaga si dovrebbe tornare ai sistemi in auge due secoli addietro, ricordando ciò che, a tal proposito, fu riportato da un settimanale francese dell’epoca: Napoleone Bonaparte, preoccupato dal dilagare degli incendi boschivi non era alieno dal ricorrere ai mezzi più energici pur di ridurne il numero e che egli non scherzasse è dimostrato da una sua lettera autografa del 1808 diretta al prefetto di un dipartimento della Francia meridionale, devastato da innumerevoli incendi: qui di seguito il testo: “Signor Prefetto, ho appreso che vari incendi hanno recentemente danneggiato i boschi del dipartimento affidato alle cure della S.V. Poiché ciò deve assolutamente cessare, Ella mi userà la cortesia di fucilare sul posto le persone sospette d’aver dolosamente provocato gli incendi, Che se poi questi non cessassero, penserò io a darLe un successore”. La cronaca tace sul numero delle persone fucilate, ma dice chiaramente che da quel giorno il fuoco lasciò in pace i boschi della regione ed il prefetto potette rimanere al suo posto!
Dal momento che un tale rimedio, anche se efficace, non è più proponibile, ci siamo rivolti al nuovo Comandante Provinciale dei Vigili del Fuoco di Brindisi, l’arch. Giulio Capuano, per porgli qualche domanda sull’argomento.
Sappiamo che fra i vostri compiti c’è, principalmente quello di spegnere gli incendi ed evitare che possano arrecare danni alle persone mentre è sempre difficile indagare su moventi e responsabilità, ma, dall’alto della sua esperienza, che idea si è fatto su ciò che spinge la mano d’uomo ad appiccare il fuoco a boschi, campagne e canneti?
“Premesso che siamo a tutti gli effetti agenti di Polizia Giudiziaria e che notiziamo la competente Procura della Repubblica, cercando di raccogliere le prove da portare in giudizio qualora si riesca a risalire ai responsabili, è evidente che il fuoco tende a cancellare ogni traccia, per cui tranne i rari casi in cui ci siano circuiti di videosorveglianza o testimoni si riesce a risalire ai responsabili, è chiaro che, nell’immediatezza di un incendio in corso, la nostra priorità emergenziale è quella di evitare che le fiamme facciano vittime fra la popolazione e solo in un secondo momento si può pensare alla raccolta di eventuali prove. Per quanto concerne ciò che la mia esperienza mi ha insegnato è che, in tema di incendio, quasi non esiste l’evento naturale e la quasi totalità di essi ha origini dall’uomo: può essere colposo, come nel caso della cicca accesa lanciata dal finestrino dell’auto o le stoppie bruciate dal contadino che sfuggono al suo controllo, oppure doloso ed il movente può riguardare interessi privati, vendetta, ma anche organizzazione di sistemi antincendio; una certa parte può essere poi addebitata a gente che ha problemi psichici e si entra allora nel campo della vera e propria piromania”.
Venendo, nello specifico, ai numerosi incendi che hanno devastato nelle ultime settimane la litoranea nord di Brindisi, quali sono state le maggiori difficoltà operative che avete incontrato per avere la meglio sulle fiamme, contenerle ed evitare che le stesse raggiungessero la Statale ed il Santuario di Jaddico come ad un certo punto si era temuto?
E’ stato un lavoro molto duro che ha visto in campo oltre che le nostre due normali squadre anche altre due, finanziate dalla Regione Puglia e composte anche esse da vigili del fuoco professionisti, oltre che due aerei leggeri Fire boss (non essendoci a disposizione Canadair), con serbatoi di soli 2.000 litri che, avendo dovuto fare la spola con il mar Piccolo di Taranto per riempire i serbatoi di acqua, a causa delle non ottimali condizioni marine del vicinissimo mar Adriatico, hanno perso molto della loro efficacia, passando troppo tempo fra un lancio e l’altro e, comunque, non appena calate le tenebre, non hanno più potuto operare. A questo punto ci hanno pensato le squadre di terra con le autocisterne e provvedendo a tagliare una fascia di canneto, ad evitare che l’incendio si propagasse verso le vicine abitazioni e che proseguisse verso la Statale 379 ed il citato Santuario”.
Che ruolo possono svolgere i gruppi volontari e le altre istituzioni, presenti nel territorio in materia di lotta agli incendi?
Sicuramente è molto importante la collaborazione delle associazioni di volontariato, della Protezione Civile e di quanti altri si prodigano in questo campo anche se, ovviamente, non si può assolutamente pensare di utilizzare queste persone per la lotta diretta alle fiamme in quanto ci vuole una competenza ed una preparazione che solo stando nel Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco si può ottenere, ma sicuramente rivestono un ruolo importante e, in futuro, sotto il nostro coordinamento, cercheremo di raggiungere una ancora maggiore sinergia anche in chiave di prevenzione degli incendi sfruttando, in senso positivo, la loro conoscenza e vicinanza al territorio”.
Dopo aver sentito le parole del comandante Capuano, il suo zelo nel mettere sempre al primo posto l’aiuto e il soccorso che si deve dare agli altri e dopo aver visto, in questi giorni, all’opera i suoi uomini, mi sono ancora più chiare le ragioni per cui i vigili del fuoco sono apprezzati ed amati da tutta quanta la popolazione italiana.
Per concludere, voglio accennare ad un’altra problematica che mi sta particolarmente a cuore ma che, evidentemente, viene troppo sottovalutata alle nostre latitudini ed è quella del taglio indiscriminato dei pochi alberi di alto fusto rimasti in città.
Mentre quando lo fa un privato su una sua proprietà, anche se soffro, sono costretto a farmene una ragione perché al netto della sensibilità che il singolo può o meno avere, avrà fatto i conti con i propri interessi, non è così quando vedo sparire da luoghi pubblici, piante sane rigogliose di sessanta o settanta anni, se non secolari.
Ebbene era ancora in me aperta la ferita per il taglio del pino monumentale di via Benedetto Brin, al rione Casale, dei circa ottanta pini sulla strada principale di Tuturano e di tanti alberi nel bosco del Tommaseo, sacrificati per rendere agibile la passeggiata, che poche settimane fa è toccato ancora una taglio sconsiderato di conifere, questa volta su una proprietà dell’Amministrazione Provinciale, l’ex IPAI, dato in consegna all’Istituto Majorana, dove la pineta prospiciente via Palermo, con splendido affaccio sul porto, è stata completamente rasa al suolo, fra lo sgomento e l’impotenza degli abitanti della zona, fatta eccezione per due grossi cedri del Libano. Una trentina di Pini d’Aleppo ed alcuni cipressi, piantati negli anni Sessanta, sono stati tagliati fino alla radice per lastricare quello che per oltre mezzo secolo era stato un rigoglioso polmone verde.
Ma ciò che mi ha arrecato più dolore è stato leggere sulla pagina Facebook di questo istituto il commento entusiasta, in perfetto stile futurista, del dirigente scolastico davanti all’immagine del macchinario trita-radici all’opera: “Buongiorno a tutti da Brindisi. Oggi ci dedichiamo ad ambienti didattici all’aperto. Andiamo avanti”.
Ignoro se l’Ente proprietario dell’immobile e della ormai ex pineta, abbia autorizzato una tale mattanza di alberi e, sinceramente, pur avendo percorso l’intero perimetro dell’edificio alla ricerca di un cartellone esplicativo dei lavori, nulla ho rinvenuto sul posto. Quel che è certo è che non si è trattato di un qualcosa fatto per bene e di cui si possa andare fieri, per giunta in una scuola che dovrebbe avere intorno a sé e conservare grandi alberi per la salute dei nostri studenti e figli : una ulteriore ferita che viene a lacerare la nostra città nel cuore di quel quartiere che un tempo era definito la città-giardino, sempre più sommersa da cemento ed asfalto. Altro che andare avanti, ci stiamo scavando da soli la fossa!