Viaggio all’indietro nella nostra Zona industriale: tra desertificazione e de-costruzione Rewind con Eni

Chiusa, speriamo per sempre, la fase1, che ci ha visti osservare, un periodo di difficile distanziamento sociale, ci apriamo ad un tempo intermedio, di cui non abbiamo contezza della durata, ma molto della sua precarietà. Forte il rischio di una nuova fase di contagio, possibile la lenta ripresa, grazie alla applicazione di regole e comportamenti che limitino il diffondersi del coronavirus e di altri agenti patogeni, ci apprestiamo tutti a percorrere questo tempo, tra incertezze e titubanze.
Nel mentre ci si apprestava a prendere dimestichezza con le regole anti-covid per recuperare il dialogo con le attività sociali, il lavoro prima di tutte, ecco che a Brindisi esplode la mai disinnescata bomba ecologica che ha comportato l’emanazione di sospensione delle attività del più importante impianto di trasformazione petrolchimica, presente nella zona industriale del capoluogo.
Ho preso molto alla lettera, ogni consiglio, regola, divieto, per contribuire, col mio comportamento, ad alimentare rischi inutili di contagio.
Lunedì 25 maggio, chiuso in casa dal lontano 4 marzo, complice un magnifico pomeriggio e la necessità di conferire rifiuti alla piattaforma di smaltimento differenziato in contrada “Piccoli”, decido di fare una visita della zona industriale.
Le operazioni di discarica, sono rapide, assistite con attenta dimestichezza e consapevolezza da parte del personale presente in piattaforma, che non ha fatto mancare il garbato cenno di gentilezza e disponibilità. La sensazione è stata d’aver fatto, entrambi, un servizio necessario per la comunità.
La città funziona anche se ognuno svolge il proprio contributo, con responsabilità.
Dietro la mascherina, sento il mio sorriso che si lascia andare ad un presupposto di positività, che si spegne da lì a poco, attraversando le grandi vie dell’enorme zona urbana destinata agli insediamenti produttivi.
Ho la sensazione di attraversare un deserto, come fossi in una città abbandonata e dalla memoria mi rigurgitano i ricordi di quando ho visto crescere capannoni, aprire impianti di produzione, vedere quelle campagne cambiare destinazione e i contadini lasciare quegli appezzamenti, per diventare operai. E infondo al vialone, lungo e interminabile, titolato ad Enrico Fermi, accompagnato da un binario su cui andava lento, ma potente, il treno che univa, più volte al giorno, il passato (la città) ed il futuro (il petrolchimico), rivedo agli orari di cambio turno, i pullmans, in coda, carichi di lavoratori, da e per la fabbrica. Le prime lunghe teorie di auto, Fiat 500, 600, Topolino, poche le 1100 rare ma ambite le Alfa Romeo Giulia o le Lancia Appia.
Non erano necessariamente solo gli impiegati o i funzionari del mega impianto petrolchimico, c’erano anche gli operai che magari dividendo il costo della benzina. 1000 e 1000 era il codice da dare al distributore di carburante, 1000 lire di benzina normale e 1000 di benzina super. Un litro rasentava le 100 lire! E rischiavi di camminarci per una settimana.
Il binario è ancora lì, sul vialone il traffico è lento, assente invece sulle grandi vie che si incrociano e dove s’affacciano i capannoni, le fabbriche, gli impianti.
Molti sono persino chiusi, altri abbandonati, altri sottoposti a sequestro giudiziale. Scatto fotografie perché gli occhi non vogliono percepire la realtà. Scatto fotografie per documentare una condizione aberrata, ma cercata, voluta, determinata da una colpa profonda, dalla benchè minima consapevolezza di capire cosa significhi fare industria.
Era il principio degli anni ’60 e Brindisi era la capitale italiana dell’industria petrolchimica, il 60% del polipropilene veniva prodotto a Brindisi.
La fabbrica era un modello di sviluppo che ancora oggi meriterebbe uno studio apposito, una consapevolezza tardiva ma necessaria, per evitare che accada, come per tanto altro, che una coltre di ignoranza copra quel che è stato.
È mancato il dialogo, è mancata la cultura del lavoro è mancata la capacità di fare sistema. Il calendario dice che siamo al 25 maggio 2020, le immagini che mi si parano dinanzi definiscono un tempo distopico, un ritorno al passato, indietro di quasi sessant’anni,che come col tasto rewind, ti fa rivedere un film riavvolgendolo e rovesciando i termini della percezione.
Non è così dinanzi all’impianto di termovalorizzazione dei rifiuti, restato attivo a fasi molto alterne da 2001, al 2009, quando i carabinieri lo sequestrarono. Fino all’ottobre del 2007 era stato gestito dalla Tmt del Gruppo Termomeccanica alla quale è subentrata, per conto del Consorzio dell’Area di sviluppo industriale (Asi) la società Veolia Servizi Ambientali. Una società, come si leggeva nel sito internet, che a Brindisi gestiva «una piattaforma polifunzionale costituita da un termovalorizzatore di rifiuti industriali e ospedalieri con recupero energetico. Un’opera che altrove ha prodotto occupazione, in un circuito virtuoso del riciclo, ma che a Brindisi, ha finito con l’impattare col muro delle difficoltà, dei veti e delle negligenze. Ora è un rudere, mangiato dal fuoco, in alcune sue parti, cattedrale allo spreco e al disordine economico e ambientale.
Veolia, oggi è leader mondiale per la gestione ottimizzata delle risorse, presente in cinque continenti con circa 180mila dipendenti, a Brindisi, non è andata bene.
Arrivo dinanzi agli ingressi delle principali aziende eredi del grande impianto petrolchimico, l’immagine appare capace di destare tranquillità, negli ampi parcheggi coperti, le auto dei dipendenti, della LyondellBasell, sono protette dai forti raggi del sole, alla sbarra, la sequenza di una normale giornata di lavoro. Nel vasto piazzale antistante l’entrata principale, quella storica, nei cui pressi, solo lo scorso dicembre si è titolato il luogo ai tre operai periti nell’esplosione del P2T l’impianto craking andato distrutto il 7 dicembre 1977, il cielo terso, la luce di un sole che riscalda l’aria, tradisce la contro-immagine di quanto invece starebbe avvenendo oltre il cancello: la sospensione per ordinanza del sindaco delle attività della società Versalis, che a Brindisi è titolare dell’impianto craking, ovvero trasformazione del petrolio in materiale plastico che viene venduto alle società che nell’intorno, rappresentano l’indotto del vasto settore della chimica plastica.
Un flashback mi riporta indietro di oltre 40 anni al cordoglio, alle assemblee, ai cortei per una economia che somministrava veleni e morte.
Nei pressi dello stabilimento, sempre negli anni ’60, la Montedison definì il villaggio residenziale per i dirigenti, villette a schiera, in stile californiano e villette mono o bifamiliari con annesso giardino e campi da tennis. Un rapporto simbiotico che cercava di offrire l’immagine di un progresso che non invadeva ma accompagnava, si prendeva cura dei propri dipendenti.
Le immagini che mi si parano, hanno bisogno d’esser lette alla lente dell’obiettivo della macchina fotografica, perché l’occhio, abituato alla filiera, invidiabile, di belle abitazioni, dal sapore, a tratti, di “apartheid” sudafricana, dove era vietato l’accesso ai brindisini, tanto era esclusivo il villaggio, non mi convincono.
Leggo un grande cartello, poi ne leggo altri due: “Demolizione alloggi sociali”, Il committente è ENI REWIND che dal 2003, anno in cui Enichem ha conferito le attività produttive a Polimeri Europa (oggi Versalis) ed è stata ridenominata Syndial, si è concentrata nella bonifica di aree ex industriali e nella gestione delle acque e dei rifiuti. Un percorso che ha portato alla crescita del know how ambientale della società che oggi è diventata global contractor di Eni, allargando il perimetro delle proprie attività anche all’estero. Dal 1° novembre 2019 Syndial ha cambiato nome in Eni Rewind.
L’attività è svolta seguendo un protocollo che attenziona e sviluppa con estrema cura, tutte le fasi ripristino originale dei luoghi. Le costruzioni vengono, smontate, seguendo una ferrea sequenza di de-costruzione, in una sequenza di “rewind” come nei film e la demolizione si manifesta come una sequenza di riavvolgimento del nastro di un film e il riavvolgimento non depaupera, ripristina, non spreca, ma trasforma in risorsa il recuperato.
Non mi capacito, cerco di informarmi, ascolto qualche tecnico, che di edilizia ne capisce e mi spiega, guardando le foto, che si è di fronte ad un esempio di eccellenza e che le operazioni sono estremamente costose, perché attente alla filiera legata al movimento del materiale da caratterizzare per definirne ed eseguirne la destinazione. Sostanzialmente una voce terza, mi conferma ciò che si legge sul sito aziendale: “Lavoriamo secondo i principi dell’economia circolare per valorizzare i terreni industriali e i rifiuti attraverso progetti di bonifica e di recupero efficiente e sostenibile. In ogni nostra attività è preponderante una visione circolare in linea con gli obiettivi della valorizzazione di suoli, acque e rifiuti e della transizione energetica verso un futuro low carbon”.
L’immagine complessa di uno scatto, mi sfugge alla prima lettura, avevo inquadrato un cumulo di materiale, coperto da un grande telo bianco, non mi ero avveduto che avevo ripreso, in lontananza, il gigante del mare, la Costa Fortuna, ormeggiato alla diga di Punta Riso. Il transatlantico, come si sarebbe detto una volta, posto lì, lontano, che rende ciò che vedo di difficile comprensione. Una città tra due esempi chiari di industria e turismo, che, invece, sta languendo.
Amo il benessere della comunità, non credo ci sia una sola idea vincente, né credo che la ragione, come il torto, si ascrivano per diritto a chi svolge la funzione di chi controlla o chi è controllato.
So solo che, Gli eredi di Montecatini, la società che nel 1959 pose a Brindisi, la prima pietra del più avveniristico stabilimento petrolchimico d’Italia, oggi, in un contesto mutato e con sensibilità e necessità assai diverse, offra un momento d’impresa da leggere con molta attenzione e con altrettanta intelligenza.
I cicli aziendali sono circoscritti in un tempo d’impresa e come la fondazione, anche la chiusura è momento da saper leggere e capire.
Il timore, da osservatore, è che come Brindisi fu distante e non comprese quali ragioni nuove portava l’industria ed ancora oggi, resta incapace di leggere la fase nuova che vede l’industria già lanciata verso obiettivi e programmi lontani dalla percezione.
Accade che Enel decarbonizza, Versalis de-costruisce, ambedue restando attente al sito brindisino dove hanno ragioni molto importanti per i loro interessi. Mancare ripetutamente il dialogo, mostrarsi distanti e riottosi, litigiosi e pressapochisti, è il vero danno che rende impraticabile, una lettura di speranza. All’angolo non ci sono le imprese, al bordo di una discarica dell’indifferenziato c’è il vetusto, lacero e liso consesso politico-amministrativo.
Che l’impresa, veda al suo fianco gli organismi di tutela degli interessi dei lavoratori, contro l’iniziativa del sindaco della città, impoverisce ogni speranza, la relega ai margini dei viali dell’area industriale, laddove, improvvidi cittadini, scaricano ciò che gratuitamente e con correttezza e gentilezza è possibile conferire alla piattaforma per la raccolta differenziata.