
di Giancarlo Sacrestano
in occasione delle celebrazioni per il 10 febbraio del 2016, il presidente Sergio Mattarella aveva accennato alla necessità di una storia condivisa: “La Giornata del Ricordo, nel rinnovare la memoria delle tragedie e delle sofferenze patite dagli italiani nella provincia di Trieste, in Istria, a Fiume e nelle coste dalmate, è occasione per dare vita a una storia condivisa, per rafforzare la coscienza del nostro popolo, per contribuire alla costruzione di una identità europea consapevole delle tragedie del passato”.
Così purtroppo non è.
Prima di rendere memoria e giusto ricordo a quel che è stato è bene e necessario spiegare quello che avvenne nella data odierna, 70 anni fa.
Il 10 febbraio 1947, veniva firmato a Parigi il trattato di Pace tra le nazioni alleate che avevano vinto la seconda guerra mondiale e l’Italia, che con Germania, Giappone e Ungheria, Bulgaria, Romania e Finlandia, aveva costituito le forze soccombenti.
Quella data coincide pertanto con la ufficializzazione di un dramma di cui noi italiani non ci eravamo propriamente resi conto, nonostante gli sforzi di ravvedimento e di cobelligeranza nella lotta al nazifascismo dopo l’8 settembre 1943.
I Vincitori portavano all’incasso il salatissimo conto di una guerra e di troppe scelte sbagliate.
La base del calcolo fu il dollaro degli Stati Uniti, secondo la sua parità con l’oro alla data del 1º luglio 1946 e cioè 35 dollari per un’oncia d’oro.
Fu stabilito che l’Italia era obbligata a Riparazioni finanziarie a favore dell’Albania, per un ammontare di 5.000.000 di dollari; dell’Etiopia, per un ammontare di 25.000.000 di dollari; della Grecia per un ammontare di 105.000.000 di dollari; per la Jugoslavia, per un ammontare di 125.000.000 di dollari.
L’equivalente di 37 tonnellate d’oro che al prezzo odierno corrisponderebbero a 9 miliardi di euro. Il PIL italiano del 1947 fu di poco più di 3 miliardi degli attuali euro. Il nostro debito di guerra corrispondeva pertanto al triplo del valore della ricchezza lorda prodotta in un anno dai 45 milioni italiani, tanti eravamo allora.
Al conto però mancavano altre voci.
La ridefinizione dei confini territoriali con la Francia, la Grecia, l’Albania, la Jugoslavia.
La riduzione drastica degli organici in servizio permanente effettivo delle forze armate e la confisca di gran parte dell’armamento navale, aereo e terrestre.
Oltre ai circa 320mila morti le forze armate vedevano vanificato il valore più profondo ed intimo di ogni soldato: servire il proprio Paese. Centinaia di migliaia di uomini furono congedati, aggiungendo al loro dramma la condizione di disoccupati.
Intendo qui fare memoria del destino che toccò alla nave scuola Cristoforo Colombo, che insieme all’Amerigo Vespucci rappresentava il prestigio di quell’Accademia Navale e luogo privilegiato di formazione di generazioni di cadetti ed ufficiali dell’Accademia della Marina Militare che dopo l’armistizio fu trasferita da Livorno a Brindisi.
Il trattato di Parigi attribuiva il nobile veliero alla Unione Sovietica che presto la convertì in anonima nave carboniera.
La ridefinizione dei confini nazionali, comportò peraltro la posizione di diverse centinaia di migliaia di italiani che alla data del 10 febbraio si ritrovavano residenti nella aree ridefinite.
350mila furono gli italiani residenti nella regione giuliano-dalmata che si sviluppa attorno alle città di Pola e Fiume, costretti a lasciare i propri beni per non rinunciare alla identità di italiano.
Divennero esuli. Profughi per cause certamente indipendenti dalla loro volontà.
Il piroscafo Toscana divenne la nave che maggiormente fu impegnata al loro trasbordo in terra patria.
Moltissimi emigrarono ben oltre i confini nazionali, tanti, poterono ricollocarsi nelle vicine aree venete, altri seguirono l’onda del ricollocamento in lontane parti d’Italia.
A Brindisi, si costituì un nutrito gruppo di esuli che fu accolto e inserito nella realtà urbana, tanto che la stessa toponomastica della città, più volte richiama le località giuliano dalmate. Il quartiere Commenda, oltre ad essere divenuto luogo di residenza di moltissimi di loro, è sede di una parrocchia titolata al Santo patrono della città di Fiume, San Vito Martire.
A Brindisi, città dalle antichissime tradizioni marinare, anche e soprattutto l’istituto Nautico, per anni ospitato presso il Collegio Navale, già sede dell’Accademia Navale, è titolato a quel lembo di mare, il golfo del Carnaro, su cui si affaccia la città di Fiume.
Tra i tanti esuli, il giovanissimo Sergio Endrigo, il celebre cantautore, studiò presso il collegio navale brindisino, ma quel che qui mi pare giusto ricordare è una significativa canzone che egli dedicò alla sua città natale, Pola, titolata proprio 1947. Ascoltarla è ogni volta un nodo che sale alla gola.
Nella chiesa della Madonna di Loreto presso il cimitero comunale di Brindisi, riposano le spoglie di Mons. Pietro Doimo Munzani, ultimo vescovo italiano di Zara.
Scelse la via dell’esodo, come i suoi fedeli. Avrebbe potuto rimanere, se lo avesse voluto.
Ma, nel 1948, don Pietro Doimo Munzani prese la via dell’esilio e restò per tutti «l’arcivescovo di Zara», Morì il 28 gennaio 1951, nella cattedrale di Oria, mentre stava predicando. Si accasciò ai piedi dell’altare del Santissimo Sacramento pronunciando per sé il Miserere.
Non è un caso che a Brindisi, nei pressi della via che gli è stata titolata nel quartiere S. Angelo, esista Via Martiri delle Foibe, ai quali, con la legge 94 del 30 marzo 2004 è stata dedicata la solennità civile nazionale denominata “Giornata del Ricordo” che ricorre proprio il 10 febbraio, al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.
Non esiste un conteggio esatto, ma si stimano in circa 15.000 le vittime italiane delle foibe.
Lo scorso 5 febbraio nel corso della consueta mensile cerimonia di commemorazione tenutasi presso la Cripta del Monumento al Marinaio d’Italia a cura di ASSOARMA Brindisi si è officiata una messa in suffragio delle anime dei tanti trucidati, uno per tutti Giacinto Mazzotta di Cellino San Marco, finanziere infoibato proprio l’8 settembre 1943, giorno in cui si rendeva pubblico l’armistizio tra Italia e forze alleate e da Brindisi stava per rinascere l’Italia libera dal fascismo.
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel suo discorso del 10 febbraio 2007 così si pronunciva: “[…] già nello scatenarsi della prima ondata di cieca violenza in quelle terre, nell’autunno del 1943, si intrecciarono “giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento della presenza italiana da quella che era, e cessò di essere, la Venezia Giulia. Vi fu dunque un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una “pulizia etnica”.
Quelle terre che 100 anni fa, erano l’obiettivo della prima guerra mondiale, per cui morirono 650mila soldati italiani, 70 anni fa venivano definitivamente perdute.
Una fetta importante delle ragioni italiane, lì presenti da centinaia di anni, venivano definitivamente sradicate ed il modo ancora oggi divide e rinfocola sentimenti contrastanti finanche tra parti consistenti dell’opinione pubblica italiana.
Il triste conteggio dei tantissimi figli d’Italia di cui ho fatto memoria, sono testimonianza e monito per ognuno noi.
Elenco dei BRINDISINI TRUCIDATI NELLE FOIBE
Battista Giovanni Brindisi
Del Cocco Fortunato Brindisi
Lucon Aldo Brindisi
Menduni Giorgio Brindisi
Mazzota Giacinto Cellino San Marco
Convertino Ignazio Cisternino
Innocenti Ettore Cisternino
Del Cocco Antonio Francavilla Fontana
Spinelli GaetanoLatiano
De Renzis Giannetto Mesagne
Di Serio Antonio Giuseppe Mesagne
Falcone Cosimo Mesagne
Franco Cosimo Mesagne
Monaco Emilio Oria
Sabba Cosimo Oria
Aurisicchio Francesco Ostuni
Melpignano Giovanni Ostuni
Minetti Giuseppe Ostuni
Sartori Giuseppe Ostuni
Tanzariello Rocco Ostuni
Ancona Domenico San Vito dei Normanni
Miccoli Francesco San Vito dei Normanni
Mingolla Vitantonio San Vito dei Normanni
Pagliara Antonio Torchiarolo