Conte, un superpoliziotto che rimette il distintivo nel cassetto per prendere per mano il suo paese

San Vito dei Normanni era il paese delle 40 bombe in un anno. Il 16 gennaio 1992 Tano Grasso, all’epoca leader della rivolta dei commercianti a Capo d’Orlando era stato invitato dal sindaco Rosa Stanisci e dal parroco Angelo Quero a partecipare a un incontro con il paese nella scuola media Buonsanto. Quella sera stessa, due ordigni esplosero nella vicina scuola “Don Milani”: la malavita non aveva gradito.  Tra i relatori c’era anche un giovane pubblico ministero, Michele Emiliano, che fece molto di più che assumere la direzione delle indagini: cominciò a far riunire i commercianti nelle parrocchie e li convinse a coalizzarsi, a firmare congiuntamente le denunce agli estorsori per evitare il rischio di ritorsioni.

A San Vito nacque la prima associazione antiracket della Puglia e pochi mesi dopo la squadra mobile di Brindisi riuscì a sgominare l’organizzazione. In prima linea, ancora giovane poliziotto appena rientrato in Puglia dopo una dura esperienza in Campania nella lotta alla Camorra, c’era Domenico Conte. Ora è lui, 23 anni dopo quel periodo di fuoco per la sua San Vito, e dopo 34 anni trascorsi in polizia, a essere proposto come candidato sindaco da quello stesso Pd che ha come punto di riferimento proprio Michele Emiliano.

Conte, la prima domanda è d’obbligo. Il ricomporsi di un asse con Emiliano a San Vito dei Normanni, dopo quell’esperienza, è qualcosa di suggestivo.

“Sì, ma devo dire che i rapporti con lui sono andati avanti in questi anni e in tempi non sospetti. Ha avuto un ruolo importantissimo in quel momento storico per San Vito. Io ero un giovane poliziotto, ma i miei colleghi della squadra mobile svolsero un lavoro eccezionale che consentì di stroncare un’organizzazione ramificata e di grosso profilo criminale. San Vito era un terreno fertile per la malavita, una cittadina tranquilla. La scelta di Emiliano di far unire i commercianti, all’epoca molto difficile, fu determinante e vincente”.

Poi negli anni successivi però San Vito non è riuscita a cavalcare l’onda di quel successo. Si è un po’ frenata senza riuscire a completare quel processo di sviluppo che quell’essere all’avanguardia, con i commercianti uno accanto all’altro, avrebbe forse favorito.

“Indubbiamente in questi anni sono mancati gli investimenti in paese, magari non c’è stato quello sviluppo turistico che forse si sarebbe potuto alimentare. Ma senza dubbio San Vito è tornata a essere una città civile che cerca ancora di costruirsi una propria identità e che però può contare su una popolazione giovanile di qualità. Ci sono tanti trentenni che hanno completato gli studi e hanno lasciato il paese ma che vorrebbero tornarci. Alcuni hanno maturato professionalità di altissimo spessore. Uno degli obiettivi che mi pongo è quello di creare le condizioni perché possano ritornare per riportare idee, qualità e amore per questo paese”.

L’ex Fadda è ormai una splendida realtà.

“Ecco, quella è un concentrato di menti, un esempio di come dai giovani possano partire iniziative importanti. E’ un posto nel quale è bello esserci, che è diventato un centro catalizzatore  non solo per la provincia di Brindisi ma anche per quelle di Bari e Taranto”.

Sull’appiattimento dell’economia sanvitese ha inciso in maniera decisiva la chiusura della Base Usaf.

“Decisamente. Tante famiglie hanno comprato case in paese o al mare, le hanno affittate agli americani e loro vivevano in piccole abitazioni sino a quando con i fitti non pagavano il mutuo. Un sacrificio che durava dieci o quindici anni ma che alla fine ripagava. Per non parlare di tutto l’indotto e di quando il commercio sanvitese facesse affidamento sugli americani. Ma devo dire che ha inciso molto anche la crisi dell’industria chimica brindisina: San Vito non è un paese a vocazione agricola come Mesagne, tanti concittadini hanno lavorato nelle industrie a Brindisi. E a un certo punto si sono trovati senza un posto”.

C’è una grande questione irrisolta: quella di Specchiolla, ossia il “mare dei sanvitesi” che si trova però sotto l’egida di Carovigno. Pensa che si possa fare qualcosa?

“E’ una delle grandi contraddizioni di questo territorio e so che più volte si è cercato di intervenire per far crescere il ruolo e le responsabilità di San Vito nella gestione di Specchiolla. Ecco, uno dei miei primi passi da sindaco sarà quello di rimettere mano a quelle carte, di capire in che maniera il Comune può dire la sua e non solo restare a guardare”.

Lei è segretario provinciale, componente della segreteria regionale e del consiglio nazionale del Siulp, il sindacato di polizia: dopo 34 anni rimette il distintivo nel cassetto e abbandona anche l’attività sindacale. Ha rimpianti?

“Quello del poliziotto è il più bel mestiere del mondo. Anche se ho iniziato sognando di entrare nella polizia scientifica devo dire che tutti questi anni di indagini, sia nel settore della criminalità che della lotta alla droga, mi hanno consentito di guardare il mondo dalle due prospettive: quella di chi alimenta la crescita della società e quella di chi vuole affossarla. L’attività sindacale mi ha consentito di creare contatti importanti e di maturare quel senso della mediazione che in politica è fondamentale”.

Quali sono i casi che ricorderà di più?

“Sono due. Il primo è quello del naufragio della Kater I Rades, la notte di venerdì santo del 1997. Morirono 120 albanesi che sognavano una nuova vita in Italia. Ancora poco tempo fa i genitori di un ragazzo di 17 anni, mai ritrovato, sono venuti in lacrime perché mi dicevano che il corpo non è mai stato ritrovato e ufficialmente non risulta neanche morto. Dopo tanti anni. L’altro caso è quello della morte di Melissa Bassi. Anche se lo abbiamo risolto, ancora oggi non sono riuscito a dare una lettura sul perché. Perché un gesto così orribile. E non riesco a darmi una spiegazione. Ma sono orgoglioso di aver fatto parte del team che ha catturato l’assassino. A volte fare il poliziotto ti pone davanti a queste sensazioni: festeggi un grandissimo risultato ma poi torni a casa e nel letto pensi ai genitori di Melissa. E ti rendi conto che questo mondo non è giusto e vorresti ancor di più contribuire a cambiarlo”.

Gianmarco Di Napoli