Brindisi, città demaniale per eccellenza, fu anche Feudale

L’8 agosto del 1806, il re di Napoli Giuseppe Bonaparte emanò le cosiddette leggi eversive con le quali, tra l’altro, si abolì il feudalesimo, organizzando l’amministrazione del regno sulla falsa riga del modello francese: un sistema basato sulla divisione gerarchica del territorio in province distretti e comuni. Scomparve quindi l’antica e ben radicata differenziazione tra beni – territori e città – “demaniali” e “feudali”: tutto un intero sistema di amministrazione formale del potere che, introdotto dai Franchi e adottato nel meridione italiano da ancor prima della fondazione stessa del regno, era sussistito per circa un millennio. Brindisi in tutto quel tempo, con limitate eccezioni durate in totale all’incirca 150 anni, era stata città demaniale, quindi alle dirette dipendenze della corona, grazie alla sua strategicità sempre apprezzata dai vari sovrani via via succedutisi.
Mentre le città demaniali, chiamate anche città regie, venivano governate da funzionari preposti nominati direttamente dal re, le città feudali erano legate alla nozione giuridica di feudo, o beneficio: una concessione avente per oggetto un bene che attributiva una sorta di dominio qualificato da particolari obblighi personali di fedeltà e servizio che vincolavano il concessionario – feudatario o vassallo – al concedente, il re o signore. L’oggetto della concessione poteva inoltre riferirsi a, o comprendere – e lo fu sempre più spesso dal secolo XII in poi – poteri di natura politico-amministrativa, quali quelli propri delle signorie territoriali concesse dal re.
Nel secondo millennio, con l’arrivo dei Normanni nel sud Italia, l’istituto del feudalesimo si era andato formalizzando sui territori via via incorporati al loro dominio e così, alla morte nel 1085 di Roberto il Guiscardo, duca di Puglia e Calabria nonché principale artefice della penetrazione e conquista normanna del Meridione, al suo primogenito Boemondo fu intitolato il principato di Taranto, appositamente creato con giurisdizione, oltre che sulla città e territorio di Taranto, sulla contea di Conversano, su parte della Basilicata e su gran parte del Salento, Brindisi compresa. E così Brindisi, già infeudata dal momento stesso della conquista normanna nel 1071, rimase formalmente “città feudale” per poco più di 60 anni, fino al 1133.
Conquistata Brindisi nel 1071, infatti, il Guiscardo aveva nominato “Signore” della città Goffredo, il conte di Conversano figlio di sua sorella Emma, il quale divenne poi vassallo del principe Boemondo. Morto Goffredo nel 1104, gli succedette il figlio Tancredi con reggenza della madre Sichelgaita fino alla di lei morte, avvenuta nel 1110. Tancredi fu dapprima vassallo del principe Boemondo II – il quale nel 1128 cedette i suoi diritti sul principato al cugino paterno, Ruggero II poi divenuto il primo re di Sicilia – e successivamente di Ruggero II. In seguito, però, Tancredi fu tra i baroni che non vollero riconoscere l’autorità del re Ruggero II, fondatore nel dicembre 1130 del regno di Sicilia, reincidendo nella ribellione fin quando nel 1133 fu definitivamente scacciato dal re. Ruggero II catturò Tancredi asserragliatosi con gli altri baroni ribelli in Montepeloso, gli perdonò la vita e lo inviò prigioniero in Sicilia. Quindi, ripresa definitivamente Brindisi, la dichiarò “città demaniale”.
Con gli Svevi, succeduti nel 1194 ai Normanni, si fu ammodernando l’amministrazione del territorio del regno e Federico II riformò i giustizierati rafforzando le loro competenze a scapito del potere baronale locale. Continuando dal punto di vista amministrativo ad appartenere al giustizierato di Terra d’Otranto, Brindisi conservò anche il suo carattere demaniale, come una delle 36 città demaniali della parte continentale del regno.
È però possibile, che poco prima di morire Federico II abbia “donato” Brindisi a Bianca Lancia, madre di Manfredi, la quale a sua volta trasferì quella donazione al figlio: «… con Bianca dei conti Lancia di Monferrato (c. 1210-48), donna amatissima dall’imperatore, pare possibile che negli ultimi anni di vita di Federico l’unione abbia avuto legittimazione. L’ipotesi è confermata dalla donazione a lei fatta da Federico, probabilmente per dote, “dell’onore di Monte S. Angelo e dei contadi di Gravina, Tricarico, Monte Caveoso e Brindisi, terre che, come prova lo Huillard-Brèholles, solevano costituir la dote delle regine di Sicilia”; tali beni furono da Bianca trasferiti a Manfredi con disposizione confermata da Federico stesso nel suo testamento… Il nuovo re di Sicilia, Corrado (1250-4), ai primi del 1252 in Siponto, fu accolto da Manfredi “che gli cedette quasi tutto pacificato il regno del quale lui era stato bailo”; presto però emersero differenze fra i due. Il sovrano impose al fratello, in prosieguo di tempo, la rinunzia ai beni che erano stati di Bianca Lancia e, conseguentemente, alla signoria su Brindisi…» [“Brindisi nell’età di Corrado e Manfredi 125-1266” di Giacomo Carito – 2013]
Pertanto, quella possibile “signoria” di Bianca Lancia – o di Manfredi – su Brindisi, durò solo qualche anno, e quando con la morte improvvisa di Corrado nel 1254 divenne re Manfredi, Brindisi continuò ad essere città demaniale, così come, del resto, anche il principato di Taranto continuò a restare sotto il diretto controllo della corona, come lo era stato con Federico II fin dalla morte – nel 1205 – di Gualtieri III di Brienne.
Con la conquista angioina del regno di Sicilia nel 1266, anche Carlo I d’Angiò conservò per sé il potente principato di Taranto, mentre il regime feudale si riconsolidò in tutto il regno – di Sicilia prima, e di Napoli dopo i Vespri – con molti cavalieri francesi giunti in Italia che furono investiti dei feudi confiscati ai baroni ribelli. L’immissione di famiglie d’Oltralpe nei ranghi della feudalità regnicola interessò anche l’area salentina dove nella gran parte dei casi si trattava soprattutto di piccole unità signorili, limitate al possesso feudale di un esiguo numero di comunità rurali o feudi rustici, ad eccezione della contea di Lecce e della contea di Soleto, investite rispettivamente ai potenti Brienne e Del Balzo, i cui vasti domini includevano varie tipologie insediative, sia terre, casali, castelli e piccoli villaggi, sia centri cittadini come Lecce, Ostuni e Oria.
Carlo II d’Angiò ripristinò formalmente il potere feudale del principato di Taranto, concedendolo nel 1294 al figlio Filippo I, alla cui morte divenne principe suo figlio Roberto. Brindisi però continuò ad essere città demaniale, tenuta specialmente in conto per il suo strategico porto, che fu opportunamente potenziato dai re angioini, specialmente da Carlo I e Carlo II, nonché dai successori Roberto e Giovanna I d’Angiò, salita sul trono di Napoli dopo la morte del nonno Roberto d’Angiò, nel 1343.
E con la regina Giovanna I la situazione di Brindisi si fece critica allorché la città fu sconvolta da gravissimi fatti generati dalla lotta civile tra le due più potenti famiglie della città, i Ripa e i Cavalerio che nel 1346, in seguito a una forte carestia sopraggiunta subito dopo l’insediamento sul trono della nuova regina, era scoppiata con estrema violenza ed era sfociata in una serie di delitti d’ogni genere: saccheggi, incendi, distruzioni ed assassinii. L’impotente governatore regio, il napoletano Goffredo Gattola, fu espulso da Filippo Ripa entrato in città con mille scalmanati armati e la situazione solo poté essere controllata grazie all’intervento del principe di Taranto Roberto che, in totale assenza di una autoritaria azione del troppo lontano governo centrale del regno, decise di porre ordine tra tanta violenza e tanta anarchia, inviando a Brindisi i suoi uomini armati, ristabilendo l’ordine e riuscendo, in qualche modo, a controllare la situazione, emarginando il sanguinario Filippo Ripa. Qualche anno dopo però, tornata in preda ad una diffusa ed incontrollata anarchia amministrativa e ricaduta nelle vessazioni dei Ripa, la città attirò l’attenzione di un altro bieco personaggio molto ben conosciuto ai brindisini, il conte di Lecce Gualtieri VI di Brienne duca di Atene, reduce da una rocambolesca disavventura fiorentina – era stato clamorosamente scacciato da quella città – ed ansioso pertanto di, in qualche modo, “rifarsi” nella sua terra salentina, ritornandovi nel 1352.
«…Nel 1352 il duca di Atene Gualtieri VI di Brienne tornò in Italia, probabilmente con la seconda moglie, Giovanna di Brienne d’Eu. Nei torbidi in cui viveva in quegli anni il Regno di Napoli, egli correva il rischio di perdere i suoi feudi salentini perché su questi aveva posti gli occhi il potente Filippo de la Rath, conte di Caserta, figlio di quel Diego de la Rath, uomo d’arme catalano, che aveva raggiunto le più alte cariche sotto il re Roberto d’Angiò; il quale Filippo de la Rath era sobillato, pare, contro il Brienne da Luigi – per un anno principe di Taranto – cognato del duca, nonché dal già onnipotente siniscalco, il fiorentino Niccolò Acciaiuoli. Il Brienne, che era giunto dalla Francia con una scorta di cavalieri, difese vigorosamente i suoi feudi in Terra d’Otranto e nel maggio 1352 strinse i suoi nemici in Taranto; ma, non aveva i mezzi per conquistare una fortezza munitissima, quale era Taranto. Si volse allora contro Brindisi, dove imperversava un vero masnadiere, Filippo Ripa, che aveva espulso dalla città la fazione rivale dei Cavalerio, perseguendoli con enormi atrocità. Ma il Filippo Ripa, chiuso in Brindisi senza via di salvezza, ebbe l’idea di convocare gli abitanti e di convincerli ad arrendersi non al duca d’Atene, ma al cognato, il principe Roberto di Taranto, fratello di Luigi. Fra i due fratelli non correva buon sangue; il Brienne si appoggiava piuttosto a Roberto che a Luigi, che – nel 1347 – era divenuto re-consorte della regina Giovanna I. Tuttavia, ottenne che nell’estate del 1353 i due fratelli facessero guerra a Filippo de la Rath; ma fu un fallimento, ché anzi il conte di Caserta si riprese e scorrazzò a suo agio per la Terra di Lavoro, fino alle porte di Napoli. Disperato della situazione del Regno, nel 1355 il Brienne lasciò la Puglia…» [“Gualtieri di Brienne” di Ernesto Sestan in Dizionario Biografico degli Italiani Treccani – 1972]
Così Brindisi, caduta un’altra volta nel caos, fu di nuovo salvata dall’intervento del principe di Taranto Roberto. E i brindisini, in riconoscimento e in cerca di protezione, manifestarono il desiderio che la città fosse incorporata formalmente al principato; incorporazione che in effetti si formalizzò nel 1353. Brindisi, dunque, dopo 220 anni di appartenenza al demanio, tornò ad essere “città feudale”, e lo sarebbe rimasta – salvo due interruzioni – in totale per 110 anni, fino alla definitiva estinzione del principato di Taranto nel 1463.
In questo modo, a metà del Trecento Brindisi entrò a far parte del più vasto complesso feudale di Terra d’Otranto, così esteso da giungere a travalicare i confini delle attuali province di Lecce, Brindisi e Taranto, dilatandosi fino a comprendere le baronie di Flumeri e di Trevico in Irpinia e alcune signorie campane in Terra di Lavoro; dando così luogo al sorgere, accanto al composito aggregato feudale formato dalle tipologie minori e dall’unione di più complessi signorili, di una rosa di famiglie baronali su-feudatarie dello stesso principato.
Nel primo Quattrocento, estinte alcune famiglie baronali di provenienza francese, i lignaggi si distinsero prevalentemente in due gruppi: quello, meno numeroso, costituito dalle grandi e più potenti casate del regno, titolari spesso di possedimenti feudali sparsi in diverse province; e quello, più consistente, rappresentato dalle famiglie della feudalità autoctona all’interno della quale coesistevano due anime non sempre facilmente distinguibili, e cioè la più antica nobiltà guerriera e l’emergente nobiltà urbana. Appartenevano al primo gruppo, gli Orsini Del Balzo, i Sanseverino, i d’Enghien e gli Acquaviva, le cui vicende si intrecciarono a quelle generali del regno, condizionandone spesso le sorti, ma anche i Della Ratta, i Protonobilissimo, i Saracino Della Torella e altri ancora. Inoltre, nel quadro di una già così frazionata geografia del possesso feudale, nel Salento si sommarono anche alcune signorie ecclesiastiche le cui origini rimontavano ai secoli XI e XII. Ad esempio, tra i feudi della chiesa di Brindisi rientravano i casali di San Pancrazio, San Donaci e Pazzano; mentre la chiesa di Lecce possedeva i casali di San Pietro Vernotico e di San Pietro in Lama; e i gerosolimitani di San Giovanni possedevano la terra di Maruggio a sud di Taranto, incamerata con la soppressione dell’Ordine Templare. Diversi, inoltre, erano i feudi amministrati da importanti complessi monastici, come quello di Santa Croce di Lecce, che nel 1454 acquistò dal principe di Taranto i casali di Carmiano e di Magliano; o quello, con annesso ospedale, di Santa Caterina di Galatina.
Alla morte del principe Roberto, nel 1364, gli successe il fratello Filippo II e alla morte di questi, nel 1374, il principato fu ereditato da Giacomo Del Balzo, nipote per via materna di Filippo I, ma la regina Giovanna I glielo sottrasse assegnandolo – territorialmente molto ridimensionato – al suo quarto e ultimo marito, Ottone IV di Brunswick che, nominalmente, lo conservò fino alla morte nel 1398, anche se nel mentre – nel 1382 – la regina fu assassinata e il regno di Napoli passò a Carlo III d’Angiò Durazzo. Brindisi in quegli anni, dal 1376 al 1398, rimase comunque sotto il demanio regale: prima di Giovanna I, poi di Carlo III e, dopo l’assassinio di questi nel 1386, di quello della sua vedova Margherita di Durazzo, madre e reggente dell’erede al trono di Napoli Ladislao di Durazzo, il figlio di Carlo III.
Nel convulso contesto storico che caratterizzò quegli anni marcati dalle continue lotte per il controllo del trono di Napoli tra i vari pretendenti angioini nonché poi anche aragonesi, Brindisi soffrì più volte le conseguenze delle prolungate dispute. Nel 1383 Luigi I d’Angiò nella sua campagna contro il re Carlo III di Durazzo, si presentò con il suo esercito alle porte della città, assediandola e quindi saccheggiandola. E dopo che nel 1390 Luigi II d’Angiò riuscì nel tentativo fallito da Luigi I di strappare Napoli ai Durazzeschi, nel 1394, ricalcando le orme del padre, attaccò e saccheggiò nuovamente Brindisi, rea di essere rimasta fedele ai Durazzeschi.
Alla morte di Ottone di Brunsvick nel 1398, Luigi II d’Angiò, per quel momento ancora sul trono di Napoli, investì del principato di Taranto Raimondo Orsini Del Balzo conte di Soleto, detto Raimondello, il quale si era schierato dalla sua parte contro i Durazzeschi, ma che non esitò a cambiare di bando quando nel 1399 l’angioino fu detronizzato da Ladislao di Durazzo. In questo modo Raimondello poté conservare il principato, anche se con una consistenza territoriale nuovamente e sensibilmente diminuita: Matera, Castellaneta, Laterza, Massafra e Gioia del Colle furono infeudate come contea di Matera a Stefano Sanseverino, mentre Polignano a Mare fu concessa a Lorenzo Acciaioli ed in seguito fu inglobata nel demanio. Al contempo Raimondo fu escluso anche dalla signoria su Brindisi, Barletta e Monopoli, che il re Ladislao infeudò formalmente a sua madre Margherita di Durazzo, alla quale concesse pure Gravina, Bitonto e Venosa. Margherita di Durazzo infine, dopo sette anni, nell’ottobre del 1406, cedette la signoria su Brindisi al principato di Taranto a cambio di Palazzo San Gervasio con il relativo castello e la terra di Stigliano.
Tutto il potentato di Raimondo – un feudo che oltre alla contea di Soleto e vari territori delle provincie di Terra di Bari e di Terra d’Otranto, nel 1384 aveva incorporato la contea di Lecce per maritali nomine della moglie Maria d’Enghien e poi nel 1399 anche il principato di Taranto, includendo così numerose importanti città, tra cui Taranto, Barletta, Molfetta, Altamura, Oria, Nardò, Gallipoli, Ugento, Otranto, Lecce e nel 1406 Brindisi – alla sua morte improvvisa nel 1407, fu ereditato dal giovane primogenito Giovanni Antonio Orsini Del Balzo e quindi “in teoria” passò sotto la reggenza dalla madre Maria d’Enghien che, una volta vedova, aveva pensato bene di sposarsi con il pure vedovo, ed ex nemico, re Ladislao di Durazzo, il quale di fatto controllò il principato.
Morto nel 1414 Ladislao senza prole, salì sul trono di Napoli la sorella Giovanna II di Durazzo, la quale imprigionò per un breve periodo gli Orsini Del Balzo, cioè Maria d’Enghien divenuta vedova di Ladislao e i suoi ancor giovani figli, salvo poi restituire loro la contea di Lecce, altri possedimenti e infine, nel 1420, anche il principato di Taranto – Brindisi inclusa – quando Giovanni Antonio divenne maggiorenne.
In quello stesso anno, 1420, Brindisi fu assaltata dall’esercito di Luigi III d’Angiò – non c’è due senza tre – e la regina Giovanna II concesse alla città vari ed ampi privilegi in riconoscimento della fedeltà in quell’occasione manifestata verso di lei. Giovanna II si sposò più volte e più volte cambiò di favoriti e di amanti, alternandoli tra i vari aspiranti feudatari e i possibili pretendenti al trono, durazzeschi, angioini e, novità, anche aragonesi.
Tra di loro, Renato d’Angiò – in rimpiazzo del deceduto fratello Luigi III – e Alfonso V d’Aragona, i quali alla morte nel 1435 della regina si cimentarono durante sette anni in una estenuante lotta per la successione all’ambito trono, finché nel 1442 Alfonso d’Aragona, già re di Sicilia, riuscì a prevalere dando inizio alla dominazione aragonese nel nuovamente riunito regno delle Due Sicilie.
Il potente principe Giovanni Antonio Orsini Del Balzo cercò di mantenersi fuori da quella contesa, ma poi il suo vecchio nemico Giacomo Caldora duca di Bari si alleò con Luigi III d’Angiò, a quel tempo pretendente favorito a ereditare il trono di Napoli, ed assieme riuscirono a impossessarsi di parte del principato, Oria e Brindisi incluse, mentre Orsini Del Balzo poté mantenere Taranto, Lecce, Rocca, Gallipoli, Ugento, Minervino, Castro, Venosa e Bari. Quindi, spinto da quegli eventi a parzializzarsi a favore del contendente aragonese, il principe spodestato riuscì a non far capitolare il castello di Oria e quello di Brindisi, in cui si asserragliò e dove il 12 novembre del 1434 lo raggiunse la notizia dell’improvvisa malattia e morte di Luigi III d’Angiò. Decise quindi di passare all’offensiva riprendendosi la città di Brindisi e appoggiando apertamente l’aragonese che nel 1442 s’insediò sul trono di Napoli. E così l’Orsini Del Balzo poté conservare il possesso del suo principato.
Nel 1449 il principe Giovanni Antonio, signore di Brindisi, forse preoccupato dalla potenza in franca ascesa dei Veneziani e dall’idea che quelli potessero dal mare impadronirsi con facilità di Brindisi, o forse timoroso di una possibile invasione via mare del re Alfonso d’Aragona con il quale aveva deteriorato i rapporti e che da Brindisi avrebbe potuto prendere il suo principato, maturò e attuò uno stratagemma strano quanto malaugurato, che alla fine doveva rivelarsi funesto in estremo per Brindisi:
«… Là dove l’imboccatura del canale era attraversata da una catena assicurata lateralmente alle torrette site sulle due sponde, fa affondare un bastimento carico di pietre, ed ottura siffattamente il canale da permetterne il passaggio solo alle piccole barche. Non l’avesse mai fatto! Di qui l’interramento del porto, causa grave della malaria e della mortalità negli abitanti. Meglio forse, e senza forse, sarebbe stato se alcuno dei temuti occupatori si fosse impadronito di Brindisi, prima che il principe avesse potuto mandare ad effetto il malaugurato disegno. Fu facile e poco costoso sommergere un bastimento carico di pietre e i posteri solo conobbero la fatica e il denaro che abbisognò per estrarlo e render libero nuovamente il canale. Più dannosa ai cittadini fu questa precauzione del principe, che temeva di perdere un brano del suo stato, che non tutte le antecedenti e seguenti devastazioni. L’opera inconsulta del principe fu naturalmente malveduta dalla città, la quale prevedeva le tristi conseguenze. Ma il fatto era compiuto…» [“Storia di Brindisi scritta da un marino” di Ferrando Ascoli – 1886]
Qualche anno dopo, nella notte tra il 14 e il 15 novembre 1463, nel castello di Altamura, Giovanni Antonio Orsini Del Balzo morì strangolato – si sospetta – per ordine del re Ferdinando d’Aragona, che nel 1458 era succeduto al padre Alfonso. Con la sua morte, senza che a lui sopravvivesse prole legittima, si estinse la famiglia Orsini Del Balzo e con essa il principato di Taranto la cui eredità fu raccolta dal Ferdinando d’Aragona – il re Ferrante – che incorporò al regno di Napoli tutti i possedimenti che lo costituivano, inclusa Brindisi che durante tutti i seguenti 343 anni in cui – fino al 1806 – il regime feudale rimase ancora vigente nel regno napoletano, mai più sarebbe tornata ad essere “città feudale”. Lo era stata, in tutto e a più riprese, per circa 150 anni.