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Brindisi: reportage subacqueo tra pericolose meduse e pacifici trenini dell’amore

Di Alessandro Caiulo per il numero 404 de Il7 Magazine
È stato a dir poco surreale quel che ci è capitato di osservare sott’acqua nel corso dell’immersione mattutina di domenica scorsa sulla costa appena a nord di Brindisi, precisamente nell’insenatura posta a sinistra della Conca di Materdomini.
Quelle che dall’esterno, mentre assemblavamo le attrezzature prima di calarci in mare, ci sembravano delle bustine di plastica trasparente – del tipo usato per avvolgere le merendine o i crackers – che magari qualche combriccola di sporcaccioni aveva gettato in acqua il giorno prima, e che una volta entrati in acqua ci hanno fatto temere, per un attimo, di essere circondati da meduse, altro non erano che – è il caso di dirlo – un mare di “tunicati”, invertebrati marini quasi trasparenti, così chiamati per la loro forma a sacco, rivestito da uno strato protettivo che richiama una tunica.
I pochi rudimenti di biologia marina che mastichiamo ci hanno fatto subito propendere per continuare tranquillamente l’immersione, in quanto sappiamo che questi animaletti, lunghi appena una decina di centimetri, sono assolutamente innocui non possedendo, a differenza delle meduse, di cui sono lontanissimi parenti, cellule urticanti.
Ci siamo ritrovati così al cospetto di migliaia di esemplari di Salpa fusiformis che la corrente aveva spinto anche all’interno della stretta insenatura che forma il canalone da cui è agevole immergersi, in quanto vi è subito una profondità di cinque/sei metri ma, contrariamente al solito, non c’erano ad accoglierci la miriade di pescetti che solitamente frequentano questo tratto molto riparato di mare.
Dietro il suo nome scientifico, confondibile con la denominazione di un pesce molto comune dalle nostre parti, la Salpa salpa, si nasconde un invertebrato multicellulare trasparente, dalla consistenza gelatinosa, ottimo filtratore grazie ai due sifoni di cui è provvisto che pompano l’acqua attraverso il corpo, catturando il fitoplancton di cui si nutre ma, contemporaneamente filtrano ed immagazzinano anche grandi quantità di anidride carbonica, contribuendo – strano a dirsi, ma la natura è prodigiosa e non smetterà mai di stupirci – a ripulire l’atmosfera del Pianeta, al punto da poter essere annoverati, a pieno titolo, fra gli spazzini dell’aria.
Secondo alcuni recenti studi, infatti, questo invertebrato multicellulare contribuisce in maniera importante al “vertical carbon flux”, letteralmente flusso verticale di carbonio, in quanto una colonia di questi tunicati, formata anche da decine di migliaia di individui, riesce a metabolizzare quotidianamente tonnellate di anidride carbonica presenti nell’acqua del mare, accumulandola sui fondali ed evitando, in questo modo, che possa salire in superfice e disperdersi nell’atmosfera.
Sinceramente in trent’anni ed un migliaio di immersioni effettuate nel mare di Brindisi in ogni periodo dell’anno, non mi era mai capitato di incontrare un numero così alto di questi tunicati anche perché, generalmente, prediligono il mare aperto e più profondo e che, invece, questa volta, ce li siamo ritrovati, spinti dalle correnti, proprio fin sotto gli scogli, fra la superficie ed i pochi metri di profondità della zona, intenti a formare svariati trenini dell’amore, così detti in quanto, essendo la Salpa fusiformis ermafrodita – ossia ogni singolo animale è sia maschio che femmina – si appiccicano in fila indiana in interminabili catene, e, vagando in balia del mare, fecondano e si fanno fecondare a vicenda, fino a raddoppiare di numero in poche ore.
La spiegazione di una tale abbondante presenza di questi animali nel mese di maggio ed a così bassa profondità può risiedere nel costante innalzamento della temperatura media del Mar Mediterraneo (quasi +2° rispetto all’inizio del terzo millennio), ben maggiore rispetto a quel che sta accadendo nel resto del mondo e che, oltre a destare preoccupazioni nel medio-lungo periodo in chiave di riscaldamento globale, comincia già a sollevare qualche preoccupazione più immediata per la tenuta del nostro ecosistema marino. Si pensi, ad esempio, alla recente moria di cozze nel Mar Piccolo di Taranto, con temperature dell’acqua che vengono a superare in estate i 30° e che è stata la principale causa della devastazione della mitilicoltura tarantina, come confermato dall’Istituto di Ricerca sulle Acque del C.N.R. che, in un suo studio, ha attribuito proprio alle elevate temperature la moria del “seme” dei mitili che ha compromesso la produzione delle Cozze nere (Mytilus galloprovincialis) sia dello scorso che del corrente anno, facendo riconoscere lo stato di calamità naturale, con l’erogazione dei relativi sussidi pubblici, per le aziende e lavoratori che traggono sostentamento da tale attività.
Non si deve fare confusione, invece, con le invasione di specie aliene a cui di tanto in tanto si sente parlare e si guarda con preoccupazione, in quanto la Salpa fusiformis è da sempre presente anche nel Mediterraneo, ma la temperatura mediamente più calda del mare, avendo toccato già i 20° in superficie a metà maggio, ha portato, per le condizioni ambientali ideali, ad una maggiore presenza di fitoplancton, il che ha causato un rapido incremento del numero di tunicati che di esso si nutrono (fenomeno definito in inglese “bloom”, cioè fioritura) che terminerà non appena si verrà naturalmente a ridurre la quantità di nutrimento a disposizione.
Tornando alla nostra immersione, mentre eravamo intenti ad ammirare queste meraviglie che, singolarmente o in aggregazioni di decine e anche centinaia di individui, si lasciavano trasportare, a mezz’acqua, dalla corrente, ci appare una prima medusa, precisamente una Nocticula pelagica, conosciuta anche come Medusa luminosa per via della bioluminescenza, di colore verde, che la rende visibile anche di notte. Si tratta di una specie particolarmente pericolosa ed insidiosa per l’uomo in quanto non solo è dotata di cellule altamente urticanti, ma anche di lunghissimi e sottilissimi tentacoli quasi invisibili ad occhio nudo, utili a stordire a catturare le prede costituite oltre che da organismi planctonici anche da piccoli pesci ed invertebrati. Questi tentacoli, lunghi anche più di due metri, sono dotati di capsule altamente urticanti in grado di lasciare segni e cicatrici da ustione sul corpo dei malcapitati che ne vengono accidentalmente a contatto e che magari nuotandoci vicino, non le vedono o, pur vedendole si ritengono erroneamente a distanza di sicurezza.
Chi ha avuto la sfortuna di fare un incontro ravvicinato di terzo tipo con questa medusa, racconta di un bruciore talmente intenso da essere rimasto quasi intontito e che, col passare delle ore anziché diminuire si acuisce e a volte oltre al ricordo dello sgradevole incontro rimangono anche degli indelebili segni sul corpo.
Al di là del dolore intenso che nel giro di qualche ora tende a scomparire, potrebbero verificarsi anche reazioni allergiche e sintomi come la nausea, la tachicardia, la cefalea, con vomito, vertigini, difficoltà respiratoria e quant’altro e se l’incauto bagnante dovesse venire a scontrarsi con più esemplari, correrebbe anche il rischio concreto di shock anafilattico. Ovviamente in presenza di sintomi gravi è bene recarsi subito al pronto soccorso senza tentare i rimedi della nonna.
Insomma, meglio andarci cauti ma, contemporaneamente, non generalizzare, in quanto altre meduse che popolano i nostri mari, specialmente le più grosse e facilmente riconoscibili, come la Cassiopea mediterranea (Cotylorhiza tuberculata) e il Polmone di mare (Rhizostoma pulmo), sono provviste di tentacoli pressoché innocui per l’uomo, provocando, al più, lievissime irritazioni, appena un pizzicore, solamente nei soggetti più sensibili, tant’è che non è raro vedere che sotto gli “ombrelli” di tali meduse trovino rifugio dei piccoli pesci che in tal modo riescono a sfuggire ai loro predatori.
Continuando a pinneggiare la nostra preoccupazione aumenta in quanto vediamo, distanziato di qualche metro rispetto alla parete rocciosa, un seconda Medusa luminosa, poi una terzo e qualche altra ancora, la cui presenza, abbastanza numerosa, può costituire una spiegazione sul perché i pesci che generalmente amano frequentare questa zona del mare, soprattutto i Saraghi (Diplodus vulgaris e altri) hanno preferito cambiare aria, anzi acqua, per cui se ne abbiamo visto in giro solo qualche sparuto e timido esemplare.
Al contrario i pesci da fondale come, ad esempio, la Triglia di scoglio (Mullus surmuletus), che in barba alla denominazione, alla dura roccia preferisce i fondali sabbiosi o addirittura fangosi e morbidi, dove può più facilmente spazzare il fondale con i suoi buffi barbigli, per cibarsi degli animaletti, soprattutto piccoli molluschi e crostacei, che in questo modo riesce a scovare, si comportano come sempre e procedono in piccoli drappelli alle consuete perlustrazioni sul fondo.
Sono regolarmente presenti all’appello e ben numerosi anche i pesci che, come le Castagnole (Chromis chromis), le Donzelle pavonine (Thalassoma pavo), sempre più numerose dalle nostre parti da che si è alzata la temperatura media del basso Adriatico, e i più nostrani Cazzi di re (Coris Julis), prediligono rimanere quasi a contatto con la scogliera ricca di anfratti in cui possano rapidamente cercare rifugio e protezione non solo dal mortifero contatto con le cellule urticanti delle meduse, ma anche dall’appetito degli altri possibili predatori. Questi vivaci pescetti, incuriositi dalla inconsueta presenza dei tunicati, ci girano attorno e qualcuno prova anche ad assaggiarli.
Per poter continuare l’immersione in tutta sicurezza, lontano dai tentacoli delle meduse che nuotano quasi in superficie, probabilmente per meglio godere del calore dei raggi del sole che penetrano nel mare, decidiamo, senza bisogno neanche di farci segni in proposito, di comportarci come questi saggi pesci, procedendo a ridosso della parete scogliosa o quasi a contatto con il fondale.
In effetti abbiamo potuto contare almeno una dozzina di Meduse luminose a cui mi sono avvicinato, non seguito in questo dai miei compagni di immersione, con estrema cautela e tenendomi alla giusta distanza e con gli occhi fissi sui lunghi tentacoli filiformi, solo per poterle immortalare in qualche rapido scatto.
Sulla via del ritorno, sorprendiamo fuori dalla tana, dove dovrebbe passare le ore diurne, un Polpo comune (Octopus vulgaris) bello grosso che, dopo un attimo di esitazione, dettato dalla sorpresa, rimedia frettolosamente un rifugio fra le numerose fessurazioni della roccia, arretrando col suo curioso nuoto a reazione: il polpo, infatti, oltre che camminare sul fondo utilizzando i suoi otto tentacoli come zampe, in caso di pericolo riesce a spostarsi rapidamente espellendo con forza l’acqua attraverso un sifone e, a volte, emettendo anche del nero inchiostro dal retto, per confondere, intontire e scoraggiare – come fanno anche le Seppie, i Totani e i Calamari – gli eventuali predatori. Nel nostro caso, non considerandoci, evidentemente, un reale pericolo, ma semplicemente dei fastidiosi soggetti da tenere prudenzialmente d’occhio stando a debita distanza, si limita ad allontanarsi di qualche metro.
Tornando verso riva continuiamo a schivare le meduse e a goderci il lento passaggio dei “trenini dell’amore” e, una volta tornati sulla terraferma, tolte maschera, pinne ed imbracatura, possiamo finalmente confrontare le nostre impressioni ed opinioni su quella che è stata una esperienza davvero rara, suggestiva e indimenticabile, difficile da raccontare per quanti non l’hanno vissuta se non ci fosse stata la possibilità di mostrare qualche immagine.