di Giancarlo Sacrestano per il7 Magazine
Il mese di settembre, ha di recente presentato l’annuncio dell’autunno, ma le belle e calde giornate, continuano a dare il loro contributo e decidere di fare una passeggiata per incontrare la terra di Ceglie Messapica è più l’impegno che il resto.
Alla guida la mia brava autista, calma e placida all’acceleratore, sicura e decisa nel rispetto delle regole del Codice della Strada.
L’odore ed i profumi invadenti dei fichi e delle vigne accompagnano il tragitto e regalano della terra brindisina il colore ed il sapore più bello.
Non guido più ed il mio passo è lento, ma l’aiuto e la collaborazione mi è di sostegno e di sprone per vedere luoghi che animano e custodiscono il sapere della terra brindisina.
Raggiungo la città emblema della messapia, l’antica Kaelia, percorrendo la statale 7, uscendo all’altezza di Latiano per proseguire sino a San Michele Salentino lungo la strada provinciale n. 47 che per un tratto ha il manto stradale appena rifatto e la segnaletica orizzontale ben visibile. Un saluto veloce a San Francesco d’Assisi, passando da contrada Sardella per giungere sino a Torre San Giacomo, luogo che riecheggia il feudo dei Dentice di Frasso che tanta parte ha nella storia di queste terre.
L’attraversamento di San Michele Salentino ed i suoi “attacchi” di poesia ai muri, riporta alla mente il diritto di riconquistare lentezza, gentilezza e riflessione.
La strada che percorro per giungere Ceglie, mette qualche dubbio, percorro al fianco della mia guida di questo viaggio, la strada provinciale 581, una numerazione che tradisce il fatto che si tratta nient’altro che di una sovrapposizione amministrativa.
La Strada è storicamente conosciuta come Strada Statale “di Massafra” passata però nei diversi suoi tratti in gestione delle amministrazioni provinciali di Taranto e Brindisi.
La carreggiata, appena sufficiente alla percorrenza di un veicolo, per ognuno dei due sensi di marcia, segue il dolce saliscendi di un territorio che si caratterizza per la bellezza delle docili colline e degli arboreti che la colorano.
A neppure 3mila metri da Ceglie, campeggia il centro di eccellenza sanitaria dell’Istituto San Raffaele di Milano, presidio ospedaliero ad alta specialità dell’Asl Brindisi 1 e luogo di cura per gravissime patologie neurologiche.
Nel 2019 è stata inaugurata la palestra robotica che è uno spazio che potenzia la parte della struttura destinata alle terapie riabilitative, attrezzata con supporti robotizzati di ultima generazione. Tra i robot a disposizione della platea di pazienti vi è anche l’esoscheletro EKSO NR (Neuro Rehab), l’ultimo realizzato dalla californiana Ekso Bionics – che per la prima volta viene utilizzato in una struttura sanitaria in Europa, un gioiello della tecnologia per la riabilitazione degli arti inferiori overground, che consente di migliorare ulteriormente rispetto ai modelli precedenti la personalizzazione della terapia e quindi la postura e il cammino, grazie a batterie e sensori che sostituiscono le funzioni neuromuscolari.
Il panorama che da questa prospettiva offre Ceglie è incanto, è austera visione di un maniero che ha assunto il ruolo storico di custodire il valore supremo della dignità del territorio.
Lo skyline che individua nette le cupole e le torri, su cui primeggia la Torre del palazzo baronale, simbolo tradizionale della Città di Ceglie Messapica fu realizzata nel 1492 durante la Signoria dei Sanseverino. Alta m 34, conserva ancora tracce visibili del suo carattere militare;
Ceglie già esisteva quindici secoli prima di Cristo e posta a circa 300 metri sul livello del mare, che ne possedeva il controllo, poteva ben dirsi padrone di un territorio molto più vasto.
L’ingresso in città avviene oltrepassando il passaggio a livello sui binari su cui transitano i treni di “Ferrovie Sud-Est che, leggo alla locandina posta nella vicina stazione, per percorrere la distanza di 70 km che la separa da Lecce, stazione di partenza del treno, che la collega tre volte al giorno, occorrono 2 ore, ovvero una media di 35 km/h.
Un anacronismo che proietta fuori dalle esigenze di velocizzare i tempi che ci caratterizza e mentre raggiungo il belvedere di “Moteterrone”, decido di sedermi alla panchina che guarda ad est e ti fa godere di un panorama che ti riabilita con la ragione più profonda di essere e riconoscere lontano almeno 10 km il variegato territorio tempestato da tre annotazioni bianche da nord a sud: Cisternino, Ostuni e Carovigno.
Il mare di oliveti si perde all’orizzonte sino a marcare con linea sottile un altro limite, quello tra il mare adriatico ed il cielo che questo strano e caldo giorno di metà settembre, confonde e frastorna la mente.
La prima meta che vien voglia di raggiungere è la chiesa di San Gioacchino edificata nel 1869 grazie alle donazioni di alcune famiglie locali benestanti, che contribuirono a finanziare la costruzione La dedica al padre della Vergine Maria è riconducibile, secondo la tradizione, all’intervento del Santo che preservò la cittadinanza da un’epidemia di colera.
Il progetto fu affidato ai costruttori Salvatore e Cosimo Cavallo coadiuvati da maestranze locali.
La sua cupola rivestita di mattonelle di ceramica che brillano al sole e la torre campanaria che riecheggia la ben più nota Torre quadrata del palazzo baronale, sono un biglietto da visita che con la bellissima architettura esterna in stile neoclassico lascia immaginare quanto sia sorprendente l’interno ottagonale che custodisce tele di pregevole fattura.
La città è investita da un silenzio che non inqueta, che non deprime, ma accompagna e rende possibile, osservare e riflettere.
Così accade dinanzi e dentro la bella chiesa dedicata a San Rocco e al piccolo ma significativo parco antistante, memoriale dedicato a chi ha donato la propria esistenza per la nostra libertà.
Nella piazza sulla destra della Chiesa, il teatro comunale, che testimonia come sul finire del XIX secolo, Ceglie vivesse un tempo di fermento e di sviluppo.
Attraverso piazzetta Sant’Antonio, nota ai cegliesi perché vi ha sede l’ufficio postale e qui mi accorgo che quattro auto, dico quattro, ed un furgone sono la concentrazione massima di veicoli della giornata.
Mi rincuoro gustando quattro anziani, reduci forse dalle incombenze presso l’ufficio postale, seduti a dialogare, chissà di cosa, ma noto che la mia presenza è seguita con occhio interrogativo.
Percorro corso Garibaldi, una comoda e lenta strada, il cui lastricato, accompagna il piede lento e l’andatura dello “struscio”.
La teoria dei locali commerciali, sorta di scenografia urbana gradevole, nascondono il tesoro che si cela alle loro spalle, ovvero il giardino del palazzo baronale, un triangolo verde di pertinenza della nobile casa.
Il sorprendente punto prospettico che si apre su piazza plebiscito, con la torre dell’orologio, quadrata, pure lei, è il respiro dei cegliesi. La piazza del popolo, dell’incontro, dello scambio e della conoscenza è il metro di misura della comunità cegliese.
Qui la scienza gastronomica suggella un patto con la ristorazione e col gusto. Qui il piacere di ospitare, fa rima col saper cucinare e la costellazione di masserie del territorio divenute veri templi della gola, imprimono all’economia una spinta verso un rapporto egualitario tra qualità ed offerta di un prodotto che resta comunque di eccellenza.
Qui sul finire d’Agosto si celebra il salotto politico estivo della politica italiana, la kermesse si è sviluppata sul tema: “La Piazza, il bene comune – La politica dopo le ferie”. Interventi di Francesco Boccia, Stefano Fassina, Roberta Pinotti e Giuseppe Conte.
Pochi avrebbero creduto che il garbo e la lentezza di questo luogo potessero divenire il salotto buono ed aggiornato, ma così è stato.
Presidio storico della cultura messapica, Ceglie si conferma presidio della moderna cultura culinaria, modello di riferimento e di guida per un processo esportabile nelle altre comunità vicine.
Ma a Ceglie la salita non finisce se non dinanzi alla torre quadrata, l’antico ed austero luogo, emblema, come nel gioco degli scacchi, della difesa e del controllo del signore.
Si fronteggiano, pure a Ceglie, come accade spesso, il potere spirituale, con quello temporale, e la chiesa matrice, manca di qualche centimetro l’altezza del simbolo del potere civile e militare, che è tutto nel palazzo, che trovo in fase di restauro e chiuso alla possibilità d’essere visitato.
Occorre tempo e prenotazione per visitare le grotte di Montevicoli, come occorre pazienza e voglia di capire, il motivo che vede un importante testimonianza culturale, come potrebbe essere la chiesa della Madonna della Grotta, che invece è ridotta ad un sostanziale stato di abbandono, nell’irrisolto dialogo tra gli interessi privati e quelli più generali, che andrebbero in testa alla Curia Vescovile di Oria.
La Madonna della Grotta: è un’antichissima chiesa (XIV secolo d.C.) in stile gotico, situata sulla vecchia strada che da Ceglie conduce a Francavilla Fontana. Il campanile a vela di pregevole fattura svetta tra gli ulivi, ma l’accesso alla proprietà è interdetto.
Sulla facciata della chiesa è ancora riconoscibile un ampio rosone del quale però resta la ghiera esterna. La chiesa sorge su una grotta carsica che sembra sia stata frequentata sin dal VIII secolo da monaci basiliani, all’interno della grotta a cui si accede attraverso una scalinata sono presenti un altare e degli antichi affreschi, tra qui si apprezza quello di Sant’Antonio Abate.
Le profondità carsiche che costellano il territorio cegliese, perlustrate in parte, rappresentano una risorsa ancora da sviluppare e si attarda un processo che le definisca all’interno di un progetto che ne faccia scoprire l’importanza per la costruzione di una dimensione umana, verso cui Ceglie tende con la sua comunità vocata ad assecondare i sapori ed i gusti della tavola. Prima di lasciare Ceglie, mi sovvengono le parole che sono scritte su una targa di marmo ai piedi della statua della vittoria, nel piccolo parco dedicato alla memoria, c’è scritto: “In questo luogo consacrato al culto dei suoi figli che dimorano nel cielo degli eroi nazionali, Ceglie Messapica (…) li addita alle giovani generazioni quale esempio di suprema dedizione all’antica terra madre”.
Ho trascorso alcune ore, attraversato le vie e le piazze, ma non ho visto giovani, non ne ho visto le tracce. Non ne ho percepito la presenza. Non vorrei che a Ceglie di giovani a cui additare la memoria, non ce ne siano e che la lentezza non sia altro che agonia.