Il mio desiderio era solamente quello di compiere una salutare camminata con vista mare, a contatto della natura, approfittando della tiepida temperatura di una mattinata di fine novembre baciata dal sole e sferzata dal vento. La mia scelta è caduta, come già altre volte in passato, sulla tratta costiera che va da Giancola ad Apani e, ovviamente, ritorno: una decina di chilometri in tutto, da percorrere in tutta calma a contatto con la natura.
Il punto di partenza è Torre Testa, meglio sarebbe dire quel che resta di Torre Testa, dal momento che i distacchi di pietre ed i piccoli crolli sono all’ordine del giorno e, se non si pone al più presto un qualche rimedio, difficilmente i nostri figli e nipoti ne conserveranno il ricordo.
Il nome esatto di questa torre costiera è Torre Testa di Gallico e questo ci ricorda che, risalendo per qualche chilometro il canale che lo costeggia, si giunge al cospetto del Santuario di Santa Maria Madre della Chiesa, universalmente nota come Madonna di Jaddico, che altro non è che la forma dialettale arcaica della parola gallico.
Mi ritrovo alla foce del canale Giancola, un fiumiciattolo che nasce dalla falda freatica ed è alimentato anche dalle acque meteoriche, ormai canalizzato, lungo poco meno di nove chilometri, che, prima di terminare il suo corso in mare, si ramifica alla destra ed alla sinistra dell’ampio promontorio su cui sorge questa antica torre costiera.
Osservando l’ampio letto modellato nei millenni dallo scorrere, ora placido ora impetuoso, delle sue acque nell’argilla, ci si rende conto che in passato deve aver avuto ben altra dignità e portata idrica rispetto ai giorni nostri e l’ampio ambiente palustre che lo circonda, invaso da vasti canneti e circondato da pascoli inondati mediterranei, è l’habitat ideale di un gran numero di uccelli acquatici, molti dei quali ormai stanziali, come le immancabili anatre, soprattutto il Germano reale, dalle nostre parti chiamato “capu verdi” per il color verde brillante che caratterizza le teste degli esemplari maschi adulti, e rallidi come la Folaga o “foddraca”, che dir si voglia e la Gallinella d’acqua, in dialetto “sciabbeca”.
Essendo Giancola Zona Speciale di Conservazione, vige il divieto di caccia più assoluto e questo, unitamente alla poca frequentazione del luogo da parte degli uomini per almeno nove mesi l’anno, ne fa una delle zone più adatte per la vita degli animali selvatici.
Percorrendo a piedi l’arenile di quella che fu la Spiaggia della Provincia ed ora è solo un ammasso di ruderi diroccati, balza subito agli occhi, strappandomi un sorriso, una boa arancione, del tipo biconico, parzialmente conficcata nella sabbia, con ben visibile la scritta “vietato l’ormeggio” e, più in piccolo ed in colore azzurro, il luogo di provenienza: Comune di Sirolo, nelle Marche; sicchè tale oggetto ha percorso galleggiando in balia della corrente e delle onde non meno di seicento chilometri, circumnavigando anche il Gargano, prima di spiaggiarsi sul litorale nord di Brindisi!
Superata la spiaggia, continuo in direzione nord camminando fra un filare di Tamerici ed un campo coltivato, arato di fresco, fino a giungere in una zona più selvatica ricca di macchia mediterranea: purtroppo appena oltrepassato il campo coltivato e le Tamerici per affacciarmi sul mare, rimango letteralmente inorridito alla vista di un canalone naturale degradante verso il mare, letteralmente colonizzato da centinaia di cassette di polistirolo, del tipo utilizzato in agricoltura per il trasporto delle piantine di ortaggi da mettere a dimora che, alla prossima pioggia torrenziale, se non verranno prontamente rimosse, finiranno in acqua, come già chissà quante migliaia di esse hanno già fatto prima.
Le impronte di una volpe che era passata poco prima di me, facendo il mio stesso cammino, mi spinge a proseguire verso la zona naturalistica più bella di questo percorso o che, almeno, io ricordavo come tale: una vasta area di macchia mediterranea, molto irregolare con i suoi saliscendi, in cui l’erosione costiera da una parte ed il vento e la pioggia dall’altra, hanno disegnato dei paesaggi davvero suggestivi, a tratti quasi da gran canyon, in miniatura ovviamente; qui arbusti di Lentisco e di Fillirea fungono da rifugio sicuro per piccoli uccellini fra cui spiccano il Cardellino, alias “cardillu” dalla caratteristica testa rossa, nera e bianca ed il richiamo di giallo sulle ali scure ed il Verzellino, chiamato anche “verdolino”, con il tipico piumaggio giallo e verde; si tratta di specie entrambe protette un tempo assai più frequenti e diffuse nelle nostre campagne.
Intanto un falchetto, probabilmente un Gheppio, -“castarieddu” nel gergo locale – piomba improvvisamente dall’alto su una piccola preda, probabilmente un topino, e stringendolo tra gli artigli si allontana in volo, per andare a consumare il pasto su qualche albero poco distante.
Giunto a metà del cammino, noto sulla sabbia mista ad argilla i segni inequivocabili di grossi pneumatici, che ritenevo fossero di un fuoristrada, che tagliano l’area dalla strada litoranea verso il mare; li seguo incuriosito, anche perché è estremamente pericoloso oltre che assolutamente vietato, dirigersi in auto fino al margine della falesia quando, superato il solito cordone di tamerici posto a protezione della stessa falesia, mi rendo conto che le tracce sono state, invece, lasciate da uno o più camioncini venuti ripetutamente a scaricare materiale di risulta da demolizioni edili, frammisti a plastica, in ogni dove: decine e decine di cumuli, uno per ogni viaggio, che fino a questa estate, sicuramente, non c’erano. Che sconforto!
I maggiori controlli degli ultimi mesi delle autorità, nel tratto di litoranea che va da Mater Domini fino a Sbitri/Acque Chiare, passando dal Parco del Serrone, ha fatto, evidentemente, si, che questi sporcaccioni dediti ai reati ambientali hanno spostato il loro areale di distribuzione ed abbandono di rifiuti speciali più a nord e lo hanno fatto andando a colmare di ogni porcheria addirittura una zona che è qualificata come Oasi di Protezione Faunistica.
Mi viene spontaneo pensare che, prima della riforma Delrio, l’Amministrazione Provinciale di Brindisi, avendo più ampi poteri, ora trasferiti alla Regione, a mezzo della propria polizia, riusciva a vigilare a dovere e poteva esercitare appieno le sue prerogative, sia in materia faunistica che ambientale.
Immancabili, ne avrò contate almeno una mezza dozzina sparse qua e là, le onduline di eternit contenenti amianto, il cui abbandono, stante la pericolosità del materiale, altamente cancerogeno, è un vero attentato per la salute altrui.
Scatto qualche foto, giro un breve video per testimoniare lo sfacelo presente e proseguo, decisamente controvoglia, la mia camminata imbattendomi, nel bel mezzo della macchia, in un cumulo di vecchi mobili, anch’essi abbandonati da poco, che bloccano completamente il passaggio, costringendomi ad un lungo giro in mezzo ai rovi per poter continuare la scarpinata in direzione della meta prefissata.
Giunto ormai ad Apani il paesaggio cambia, villette con giardini e casette decorosamente tenute fino ai lidi, ma resta un pugno nell’occhio una serie di costruzioni rurali ormai diroccate, poste quasi sulla cigliata della falesia poco prima della discesa sullo splendido e bianco arenile dei rinomati lidi attrezzati della zona.
La passeggiata prosegue fino alla foce del canale Apani, altro fiumiciattolo, di minor vigore rispetto a quello di Giancola, anch’esso costretto oramai a scorrere fra due sponde di cemento, mentre ai suoi margini le Cannucce da palude la fanno da padrone.
Tale canale è da anni al centro di grosse polemiche per la costruzione di una grossa condotta sottomarina che disperderà a un miglio e mezzo al largo della costa di Apani i reflui non destinati ad usi irrigui del depuratore consortile (A.S.I.) di Bufalaria, che tratta gli scarichi dei comuni di Carovigno, San Vito dei Normanni e San Michele Salentino.
Contrariamente ai programmi iniziali, soprattutto per non incappare nuovamente nel mare di rifiuti che ha funestato la passeggiata, scelgo di fare ritorno percorrendo i margini della strada litoranea, dando solo un’occhiata, di tanto in tanto, verso il lato della costa anche per cercare di capire il tragitto che hanno seguito le camionette degli sporcaccioni che hanno sfregiato una zona naturalistica di gran pregio come è quella della macchia mediterranea posta subito a nord di Giancola.
Urge, davvero, un intervento non solo per ripristinare al più presto la pulizia dell’area, ma anche per reprimere il fenomeno e, possibilmente, attraverso un adeguato lavoro di indagine fatto anche di appostamenti, scovare i colpevoli di tanto scempio affinchè paghino per davvero, di tasca propria e, perché no, con qualche mese di gattabuia per i crimini ambientali commessi.