
Di Alessandro Caiulo per il numero 383 de Il7 Magazine
Esattamente dieci anni fa, nella buia e tempestosa notte fra il 27 ed 28 dicembre 2014, quando mancavano ancora un paio di ore alle prime luci dell’alba, con la temperatura prossima allo zero e il mare in burrasca, a bordo della nave “Norman Atlantic” (di proprietà della compagnia di navigazione italiana Visemar, che lo aveva costruito appena cinque anni prima, e noleggiato dalla ellenica Anek Lines, per la quale svolgeva servizio di collegamento fra la Grecia e l’Italia), partita poche ore prima da Igoumenitsa e diretta ad Ancona, mentre si trovava nel bel mezzo del Canale di Otranto, si sviluppò un furioso incendio che provocò un blackout tale da rendere il traghetto privo di propulsione, assolutamente ingovernabile e in balia di onde alte una decina di metri. A bordo vi era un carico umano di 443 passeggeri, 56 membri dell’equipaggio oltre a un numero imprecisato di clandestini mediorientali mentre nella stiva vi erano 128 autocarri, 90 automobili e 2 autobus.
L’incendio ebbe origine nel garage a causa, come è emerso nel corso del processo, di un camion refrigerato caricato in eccesso che, non avendo a disposizione una propria presa per alimentazione, era rimasto con il motore acceso per evitare che il carico andasse a male; le fiamme si erano subito propagate a gran parte della nave, raggiungendo i ponti superiori dove si erano rifugiati i passeggeri nel tentativo di sfuggire alle fiamme e al fumo.
Nelle prime ore, prima che giungessero i soccorsi, regnò fra i passeggeri il caos assoluto anche perché la lancia di salvataggio di dritta prese fuoco insieme al sistema di evacuazione. Due passeggeri greci perirono a causa di un incidente verificatosi con lo scivolo. Altri passeggeri morirono inghiottiti dalle onde o per ipotermia dopo essersi gettati in mare. Qualcuno, senza che vi fosse un ordine in tal senso da parte del Comandante, calò in mare la lancia di sinistra, che poteva contenere 150 naufraghi, con appena una cinquantina di persone a bordo, che furono alcune ore dopo recuperati da altra motonave; fallimentare fu il tentativo di mettersi in salvo con le semplici zattere gonfiabili che, dato il mare in tempesta, si capovolsero provocando la morte per annegamento o per ipotermia di diversi occupanti. Fu così chiaro che non ci si poteva salvare affidandosi al mare, per cui, nonostante l’incendio a bordo divampasse con sempre maggiore ardore, si decise di trattenere le quattrocento persone rimaste, facendole rifugiare, nonostante le condizioni climatiche e meteorologiche proibitive sulla parte più alta della nave.
Provvidenziale e determinante fu l’immediata partenza di due potenti rimorchiatori da Brindisi, il Tenax e il Marietta Barretta – ai quali, poche ore dopo, si aggiunse anche l’Asmara – con a bordo oltre che i preparatissimi equipaggi, anche due squadre di Vigili del Fuoco e di due motovedette della Guardia Costiera che giunsero sul posto nella mattinata del 28 dicembre; altri mezzi di soccorso partirono da Otranto e dalla costa greca e fondamentale fu l’arrivo della nave portaelicotteri della Marina Militare San Giorgio in quanto fu proprio grazie all’utilizzo degli elicotteri che tutti quanti i sopravvissuti, nel giro di una quarantina di ore, furono portati in salvo, senza che si registrasse più alcuna perdita umana.
Grazie a Dio e alla perizia degli uomini che operavano a bordo dei rimorchiatori si riuscì a mantenere la prua della nave al vento in posizione tale che il ponte superiore non fosse invaso dal fumo consentendo così la sopravvivenza delle persone che si erano rifugiate in quel punto e permettendo l’intervento degli elicotteri della Marina Militare finalizzato al recupero dei naufraghi. Inoltre con i potenti idranti di cui sono muniti i rimorchiatori, che non potevano essere puntati in maniera tale da rischiare di travolgere e spazzare i naufraghi rifugiati sul punto più alto della controplancia, si è riusciti al tempo stesso a contenere le fiamme ed impedire che la temperatura di quel punto della nave fosse troppo elevata da costituire un ulteriore rischio per i passeggeri
Le operazioni di soccorso della nave continuarono per altri tre giorni anche dopo che l’ultimo gruppo di naufraghi fu portato in salvo in quanto era necessario spegnere l’incendio a bordo e scongiurare che andasse alla deriva verso le coste albanesi e potesse affondare con conseguente disastro ambientale per i milioni di litri di bunker, oli e altri materiali inquinanti che si sarebbero dispersi inevitabilmente in mare. Perdurando le condizioni proibitive del mare in burrasca cinque marittimi brindisini dell’Impresa Barretta furono calati dall’elicottero sulla nave affinchè procedessero alle necessarie operazioni di aggancio dei cavi per poter rimorchiare, come da ordine della Procura della Repubblica di Bari nel Porto di Brindisi la Norman Atlantic che, ancora fumante, giunse, trainata dai rimorchiatori, a Costa Morena il 2 gennaio 2015. Nel frattempo a Brindisi erano stati accolti, sbarcati dalla San Giorgio, oltre duecento naufraghi di varie nazionalità, ma in maggioranza greci, che ricevettero tutte le cure e l’assistenza necessarie.
Per la prontezza dell’intervento dei rimorchiatori dell’Impresa Fratelli Barretta e dell’eroismo dimostrato dai suoi uomini, che non solo hanno reso possibile il salvataggio dei passeggeri, dell’equipaggio e della nave, ma ha anche evitato il disastro ambientale, ai marittimi Roberto Fedele (Direttore di Macchina), Stefano Scevola (marinaio), Antonio Mondelli (marinaio), Giovanni Diana (marinaio), Francesco Scarafile (marinaio) fu conferita la medaglia d’argento al valore della marina con la seguente motivazione: “perché impiegati in una complessa operazione di soccorso prestato alla Norman Atlantic, colpita da un violento incendio, con altruismo e sprezzo del pericolo contribuivano al salvataggio delle quasi 500 persone imbarcate. Trasbordati sull’unità ancora avvolta dalle fiamme mettendo al repentaglio la propria incolumità e con eccezionale perizia, consentivano con il loro operato l’effettuazione delle operazioni di rimorchio nel porto di Brindisi, evitando inoltre il quasi certo disastro ambientale ed il naufragio dell’unità”. Altre tredici medaglie di bronzo furono consegnate ai marittimi, sempre appartenenti all’Impresa Barretta, Nicolò Maringelli (comandante), Reho Quintino (comandante), Pietro dell’Aquila (comandante), Giacomo Pepe (comandante), Luca Zizzi (comandante), Luigi Manesi (comandante), Tommaso Fiore (direttore di macchina), Vincenzo Allegretta (direttore di macchina), Pietro Altomare (direttore di macchina), Raffaele Guarrera (direttore di macchina), Cosimo Spaccavento (direttore di macchina), Francesco Spedicato (marinaio), Antonio Pennetta (marinaio) che per cinque giorni e cinque notti hanno operato in condizioni proibitive a bordo degli stessi rimorchiatori. Pensando a loro l’avv. Paola Barretta, dell’omonima impresa sottolinea: “I componenti della società e gli equipaggi dei rimorchiatori possono essere visti come una grande famiglia allargata, unita da un profondo senso di appartenenza e condivisione di valori fondamentali. In questa famiglia, ogni individuo, con il proprio ruolo e le proprie competenze, contribuisce al raggiungimento di un obiettivo comune: il salvataggio della vita umana in mare e la salvaguardia delle navi in difficoltà. La condivisione di esperienze, spesso maturate in condizioni estreme, come quella delle operazioni di salvataggio e recupero della Norman Atlantic, rafforzano il legame tra i membri, creando un ambiente di solidarietà, fiducia e rispetto reciproco. Ciascuno sa di poter contare sull’altro, sia nei momenti critici che nelle sfide quotidiane. Questo spirito di collaborazione si riflette non solo nelle operazioni di soccorso, ma anche nella dedizione con cui tutti lavorano per migliorare continuamente le proprie capacità e la propria preparazione per affrontare sempre al meglio ogni situazione.”
A distanza di qualche mese dal disastro, il 9 marzo 2015, giunse al Prefetto di Brindisi, Nicola Prete, che tanto si era prodigato in quei momenti drammatici – assieme a tutti i rappresentanti istituzionali, le forze dell’ordine, i sanitari ed i volontari – una toccante e sentita lettera di ringraziamento da parte dell’Ambasciatore di Grecia in Italia, Themistoklis Demiris, che vale la pena riportare integralmente: “Egregio Prefetto, ora che i momenti drammatici della nave Norman Atlantic non attirano più l’attenzione dei mass media, vorrei trasmetterle la stima delle autorità elleniche e la mia personale riconoscenza per il ruolo che avete avuto Lei e anche i Suoi collaboratori in tutte quelle ore e giorni dal 24 dicembre dell’anno scorso ed in seguito, quando gli sforzi per soccorrere le vittime di questa tragedia erano in evoluzione. Attraverso condizioni davvero difficili e complesse ed in situazioni che mettono normalmente alla prova i limiti fisici e psicologici di tutti, Lei, con metodo e in continua cooperazione con tutti gli organismi ed uffici italiani competenti ma anche con l’Ambasciata di Grecia a Roma e le Autorità Consolari Elleniche, ha aiutato, in modo significativo, a risolvere problemi ed alleviare il dolore di centinaia di miei connazionali mettendo anche in moto ed al loro disposizione tutti i vostri servizi. Inoltre con la sua presenza fisica sul luogo, al di sopra al di fuori dei confini dei suoi incarichi ordinari, le sue parole di conforto, gli incontri diretti con le persone che cercavano disperatamente informazioni per la sorte dei loro cari, ha dimostrato che la professionalità e l’efficacia possono avere un volto umano. Egregio Prefetto, come Lei sa già, i rapporti tra l’Italia e la Grecia, a tutti i livelli, non sono solo molto stretti, ma vanno a lungo ed indietro nel tempo. La solida base di questi rapporti tra i Nostri popoli, però, sono i sentimenti fraterni tra loro. E siccome “gli amici si vedono nel momento del bisogno” credo fermamente che con il suo comportamento e aiutando le persone in estremo bisogno in una maniera decisiva e, nello stesso tempo, semplice ed umana, ha contribuito alla testimonianza ed al rafforzamento di questa amicizia secolare fra l’Italia e la Grecia non con le parole ma con i fatti”.
Abbiamo chiesto all’ex Prefetto Nicola Prete cosa ricorda e cosa gli è rimasto di quella forte e toccante esperienza che, come ci ha confermato, è ancora vivissima non solo in lui, ma anche in tutti quelli che hanno vissuto con un qualche ruolo quei momenti: “Il mio pensiero non può non andare, immediatamente, a tutti coloro che si diedero da fare per salvare le vite umane. Non tutti ce la fecero, ma furono momenti in cui si vide il desiderio ardente di prestare soccorso a quegli sventurati. Il personale militare, della guardia costiera, dei vigili del fuoco e gli equipaggi dei rimorchiatori fecero tantissimo perché tutti fossero tratti in salvo e parimenti va ricordato ciò che fecero, a sostegno di questi poveretti anche le forze dell’ordine, i volontari ed i sanitari, una volta che giunsero a terra. Fu un momento di profonda unione verso un unico obiettivo. Fra i naufraghi, in maggioranza greci, vi erano anche inglesi, tedeschi e di tante altre nazionalità, tant’è che in quei giorni vi erano gli occhi di tutto il mondo puntati su di noi e sulle operazioni di salvataggio che si stavano svolgendo in mare. Quasi tutti i passeggeri e i membri dell’equipaggio furono portati in salvo e ancora oggi, a distanza di tanti anni, ciò che ricordo maggiormente di quei giorni, è lo spirito di grande unione che ci unì verso quest’unico obiettivo.”
Anche se all’epoca della tragedia non era ancora Console Onorario di Grecia per Brindisi, Lecce e Taranto in quanto, dopo le dimissioni dell’avv. Roberto Fusco, la sede era ancora vacante (ma l’ex console si mise subito a disposizione per ogni necessità), l’avv.Antonella Mastropaolo, da brindisina per metà greca – da parte di madre – qual è, ha vissuto quei momenti in prima persona e con estrema partecipazione, per cui le abbiamo chiesto cosa le fa tornare alla mente tale disastro: “Ricordo che l’ultimo dell’anno sono stata in ospedale al centro grandi ustionati, dove era ricoverato un camionista greco, non finiva di ringraziarmi per il grande sollievo che provava a sentire chi parlava la sua lingua, sebbene le infermiere di questo reparto di eccellenza del Perrino, che vanno ringraziate per la grande professionalità e umanità dimostrata, tentassero di coccolarlo in ogni modo. Fu incredibile il modo avventuroso con cui questo signore riuscì a salvarsi, riportando comunque gravi ustioni ai piedi per il contatto con le lamiere roventi della nave; poi ho accolto, portato a pranzo e ospitato i suoi nipoti, ma la cosa più emotivamente toccante è stato assistere la moglie e la figlia di un camionista morto bruciato nel sonno e che speravano di poter accedere alla nave per poter riportare a casa almeno qualche effetto personale del loro congiunto: tutti momenti forti, strazianti, ma edificanti al tempo stesso. Da Roma era venuto l’ambasciatore Themistoklis Demiris con tre membri dell’ambasciata e ripartirono solo dopo aver imbarcato sugli aerei militari ellenici gli ultimi cittadini greci. Esprimo la gratitudine mia e del popolo greco verso tutti quanti si sono prodigati, da S.E. il Prefetto, alle altre autorità cittadine, agli uomini ed alle donne dell’impresa Barretta ed agli elicotteristi e gli uomini della Guardia costiera che hanno messo in gioco la loro vita per salvare quella di altri esseri umani, ai medici, ai brindisini tutti che hanno mostrato anche in questa occasione la loro solidarietà. Quell’anno e negli anni successivi il giorno dell’Epifania che per gli ortodossi equivale al giorno del Battesimo di Gesù, dopo la benedizione delle acque del porto da parte del Archimandrita della Chiesa ortodossa di Brindisi padre Arsenio Arghiasenita, nel ricordo anche delle vittime della Norman Atlantic, viene lanciata in mare una corona di fiori realizzata dal nostro Consolato. Il tragico episodio ha confermato quella che per me era già una certezza: i due popoli sono fratelli, la solidarietà e l’affetto dimostrato ancora una volta ne costituiscono una prova tangibile”.