di Giancarlo Sacrestano
Inquieto il tempo, sabato sera, a Brindisi. Un fresco che si risolve col giubbottino, non riscalda invece la percezione netta, che Brindisi, si stia raffreddando, azzarderei, glaciando.
Per le vie, semi deserte, sento riecheggiare mute e inefficaci le voci di chi denuncia l’assenza, tout court e di chi, annuncia una proposta: la solita. E basta!?.
Sono da poco trascorse le 18 e cerco di attraversare il cortile che fa accedere al complesso delle ex scuole Pie. La poca illuminazione, ma meglio dire, l’assenza di illuminazione, mi richiama a mettere i passi con cautela. Cerco la mostra di fotografia organizzata dall’associazione “INPHOTO” un sodalizio di donne e uomini con la passione di riprendere le innumerevoli emozioni che produce la luce. L’idea mi piace. A causa del mio deficit visivo non vorrei far rilevare più di tanto la difficoltà, ma l’evidenza supera il mio deficit. E così, neanche a cercarlo, trovo che, qualcuno di loro, cerca inutilmente un interruttore; tal’altro spera nel fatto che le luci si accendano al tramonto, ma il tramonto era già qualche minuto fa.
Nelle sale, auto allestite ed auto illuminate, l’incontro con gli scatti, i fotogrammi, pensatissimi e di indubbia efficacia, narrano le storie di chi ha catturato su carta, un istante per un istante; un colpo di vento per sottolineare una intera galassia di emozioni e chi del binomio umano-cane rivela un universo dialogato.
Non manca la foto che fissa un presente che altrimenti la nostra mente non considera più. Siamo ciechi al nostro quotidiano. C’è chi, con l’ausilio della tecnologia, gioca con le proprie fattezze e chi si immerge nel complicatissimo intrigo di emozioni che ti scatena la foto che ritrae istanti dei degli affetti.
Più osservo le foto e più vedo chi l’ha scattate e qui arriva la sorpresa.
Sono persone che hanno tanto da dire e da dare alla comunità. Le unisce l’amore per la luce e pur sapendo cogliere ed esaltare le emozioni delle millanta sfumature di luce – sanno ben distinguere e nettamente separare i concetti che, forse, ancora oggi, se ne possono trarre.
Quell’angolo di buio brindisino, è squarciato da un banner tremulo ed instabile, che annuncia una luce che illumina e riscalda. Quelle stanze, concesse con atto formale, non sposano in un solo progetto chi amministra e chi è amministrato. Come tanto altro, non è cingendo con i ramoscelli d’ulivo e quercia dello simbolo della città che se ne esce dalla diligente comprensione di dove stiamo portando la città.
Quelle sale restano precaria periferia concettuale della nostra identità di cittadini.
Quelle luci, sono la denuncia di una necessità, una luce che sappia accoglierle tutte. Certo che questo non è compito di una struttura commissariale, ma di una rete civile che indipendente e forte si identifica col luogo. E questo non c’è.
Espongono: FRANCESCA GIUGNO, SIMONA MATARRESE e PATRIZIA AVERSA ed i corsisti AGNESE KOLACKA, VINCENZO MARINO, ANNARITA BONIFACIO, ANGELO BRUNO RIZZO, LINDA LEONE, ERMINIA ELIA, FABRIZIO BORRELLO, FRANCESCA DANESE.
La mostra rimarrà aperta sino al 31 ottobre.