Se fosse un film sarebbe senza dubbio “Fitzcarraldo”, del tedesco Werner Herzog. Un uomo e il sogno che arde dentro di sé; perché “chi sogna può spostare le montagne”, afferma un personaggio del film. E invece è la vita di Luigi Grassi, 98 anni appena compiuti, grande anfitrione del cinema teatro Impero, di Brindisi.
Come nell’opera più importante di Herzog (un uomo che vive per il desiderio di realizzare un grande teatro dell’Opera nel cuore della giungla amazzonica), così Grassi si racconta nella vertigine di un viaggio a ritroso nel tempo, quando riceve improvvisamente l’eredità di una “fabbrica dei sogni”, la prima sala cinematografica di Brindisi, realizzata dal padre Carmelo, attraverso una rielaborazione lucida ed emotiva al contempo, disposta secondo logiche affettive e imprenditoriali.
“Alla morte di mio padre, nel maggio 1950 assunsi la piena responsabilità del locale, e mi cadde il mondo addosso perché lo persi nello spazio di poche ore – rammenta Luigi -, ma fin da bambino gli sono stato sempre vicino per capire cosa faceva, e pur studiando al ginnasio e poi al liceo, mi piaceva sapere tutto ciò che concerneva la normale amministrazione di un cinema”.
Il prologo di questa storia familiare legata a doppio filo con quella cittadina, e in seguito nazionale, affonda quindi le sue radici nel 1919 quando Carmelo Grassi, padre di Luigi, avviò l’attività; già proprietario di una pista di pattinaggio che ospitava anche il cinema all’aperto nell’area dove ora sorge il palazzo dell’Inail, accanto al vecchio teatro Verdi, in piazza Cairoli, nel 1925 – dopo una breve parentesi di gestione del teatro Mazari – formulò la richiesta al podestà del tempo di poter coprire la pista di ghiaccio, e così nello stesso anno nacque il cinema “Eden”, per la capienza 1000 posti, con il classico schermo di proiezione “a francobollo”. E fu così che i Brindisini si ritrovarono stretti uno sull’altro, nel tepore umano del riscaldamento alitato (invero, del tutto in barba alle norme per la sicurezza) ad assistere all’alba del mondo nuovo che si schiudeva ai loro occhi grazie al cinema.
Ma per Luigi l’esperienza del passato era un incalcolabile patrimonio di conoscenze per la costruzione del suo futuro.
Si andava avanti come quei treni che lo stesso progresso tecnologico faceva filare sempre più veloci, tra film muti accompagnati da una monumentale macchina per riprodurre i rumori e la musica di un’orchestra, alloggiata su un palchetto laterale. Così fino al 1934, quando certi solerti fascisti autoctoni, – che quando non menavano le mani si prodigavano in varie seccature – imbrattarono l’insegna del cinema a colpi di uova poiché “Eden” era il nome del Primo Ministro britannico e, in più, l’esterofilia espressa nel linguaggio quotidiano non risultava gradita al regime. Per questo motivo il proprietario fu convocato dal segretario federale di zona per intimargli di cambiare denominazione all’attività, che in ossequio alla politica coloniale italiana di quegli anni fu chiamata “Africa orientale”. Con la proclamazione dell’impero, nel 1936, il destino era già scritto in un nome.
Ma il 1936 fu anche l’anno dell’avvento del cinema sonoro in Italia; e Luigi era sempre lì, al fianco del padre Carmelo, del quale seguiva le orme per diletto, mentre sullo schermo passavano i film dei maestri dell’epoca; Blasetti,Camerini e Bragaglia su tutti. Poi vennero gli anni della Seconda Guerra Mondiale, con la difficoltà di garantire un pur minimo sollievo alle angosce del periodo attraverso piccoli film fatti di storie minime, dove il conflitto non era mai contemplato: quasi sempre drammi familiari, studentesse, orfani, telefoniste e cameriere. Nel 1943 fu lo stesso Luigi ad essere protagonista di un episodio importante per la storia del cinematografo di famiglia, all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre, quando gli Inglesi di stanza a Brindisi vollero requisire le apparecchiature della vecchia sala in piazza Cairoli e arrivò a barricarsi all’interno nello strenuo tentativo di difendere ciò che gli apparteneva. Nulla potè impedire l’inevitabile, tuttavia alla fine della guerra il nostro riuscì a recuperare i preziosi macchinari del cinema Impero. Fu probabilmente quello il primo segnale del temperamento tenace che sarebbe stata la cifra distintiva di un percorso professionale lungo sessant’anni.
Come diceva un grandissimo autore del cinema di ogni tempo, John Houston, “ci sono alcune zone dell’immaginario che hanno bisogno del bianco e nero”. Un direttore di fotografia avrebbe suggerito un b/n prima morbido, quello neorealista, e poi con più accentuati chiaroscuri per filmare la vita di Luigi Grassi, che nel 1950 prese su di sé l’onere di gestire il lavoro che fu di suo padre “pur consapevole che ci volesse fegato, perché bisognava lottare per ottenere un maggiore guadagno, avere i migliori film e sbaragliare la concorrenza del tempo: l’entusiasmo era grande, tanto che non l’avrei mai immaginato al momento della mancanza di papà”. Da quel momento in avanti, il cammino fu inarrestabile e lo scopo principale quello di dare forma e indirizzo imprenditoriale contro lo strapotere della distribuzione cinematografica non solo per se stesso ma per l’intera categoria degli esercenti cinematografici, per la quale si occupò degli aspetti sindacali e del noleggio, animato da un potente talento di negoziazione, tanto da definire il Contratto Nazionale del Lavoro degli Esercizi Cinematografici. Ma trovando anche il tempo di conseguire la laurea in Giurisprudenza.
Per Luigi Grassi la militanza associazionistica è stata la pietra angolare della sua vita lavorativa e ne parla ancora con grande passione. Iscritto all’Associazione Generale Italiana dello Spettacolo dal 1948 al 2011, ricoprì sempre incarichi apicali in seno all’Associazione nazionale esercenti cinema, sia a livello regionale che nazionale, diventandone presidente dal 1979 al 1986. Non solo, è stato anche giurato in importanti festival come il Giffoni, tuttora importante vetrina cinematografica internazionale per bambini e ragazzi. Le affermazioni personali e di categoria ottenute nel segno della promozione della Settima arte, attraverso il suo inarrestabile impegno, in l’Italia e all’estero, gli hanno permesso di conoscere artisti e personalità straordinarie del mondo dello spettacolo, della società civile e della politica, come documentato nei preziosi album e dalle fotografie appese alle pareti nel suo studio; come pure le onorificenze conferitegli per la dedizione e i traguardi raggiunti nell’esercizio cinematografico.
La costruzione di una nuova struttura sociale del Paese avveniva perciò in senso trasversale. In Italia la corrente neorealista era al centro della produzione cinematografica, con grandi autori come De Sica, con Zavattini, e poi Visconti, Germi, De Santis e Antonioni a firmare vicende permeate dall’infelicità che la condizione modesta e la distruzione del secondo dopoguerra portavano con sé, mentre dall’America arrivano i primi bagliori del sogno americano in Technicolor. In tale contingenza, toccava agli esercenti imprimere un nuovo ritmo di vogata agli accordi per la programmazione delle pellicole, e Luigi Grassi ebbe un ruolo di primissimo piano affrontando la necessità di invertire il paradigma che aveva regolato i rapporti con le ben 24 case di distribuzione cinematografica. “Andavo a Bari a prendere personalmente i film, per visionarli in anteprima, insieme ai miei dipendenti, per valutarne la permanenza in sala e iniziando così un braccio di ferro durato tutta la vita con i distributori: ottenere la produzione migliore sul mercato, la tempistica migliore e un ricambio che potesse consentire di assistere agli spettacoli con una programmazione ragionata, aderente alle esigenze del pubblico”. Un esempio fu la rassegna femminile del giovedì, quando le donne di Brindisi poterono recarsi al cinema da sole o con le amiche e vedere un film in tutta libertà di uno spazio che fosse dedicato soltanto a loro.
Mentre quest’arte immaginifica andava incontro a una profonda trasformazione, “Fitzcarraldo” Grassi inseguiva il suo sogno, innescando un meccanismo virtuoso di bene culturale visto anche come riscatto dell’autonomia locale, oltre che nazionale: nel 1959 iniziarono i lavori del nuovo cinema teatro nell’attuale sede di via De’ Terribile.
E non si fa torto ad alcuno affermando che questa “creatura”, il palazzo che sorge in una traversa di corso Garibaldi, sia il primo “figlio” generato da Luigi (prima dei tre avuti dalla signora Rosa, scomparsa diversi anni orsono), perché il quadro in cui è maturata la costruzione della struttura equivale a una vera e propria gestazione. Fu egli stesso a mettere insieme una squadra edile per redigere e realizzare un progetto innovativo per un cine-teatro che intercettasse la modernità del tempo e offrisse la possibilità di riunire ciò che amava nello stesso luogo: il suo lavoro e la sua famiglia; tutto insieme. E dove vive tutt’oggi, circondato dall’affettuoso rispetto dei suoi cari.
I migliori progettisti, le migliori maestranze, una pila di cambiali e la sua guida autorevole: fu così che il 29 maggio del 1966 la famiglia Grassi inaugurò l’attuale sede del cinema teatro “Impero” di Brindisi, un polo urbano culturale che garantiva nuovo valore profondamente legato alla tradizione del territorio e, al contempo, rivolto verso nuovi orizzonti. Con la chiusura del vecchio “Mazari” Brindisi aveva perso l’offerta teatrale, che il nuovo locale tornò a proporre ai cittadini, così che le grandi compagnie italiane tornarono a calcare le scene anche qui grazie ai più importanti nomi della prosa, a partire dagli anni Sessanta: Albertazzi, Proclemer, Buazzelli, Macario, i De Filippo e tantissimi altri. Anzi, proprio l’audacia, la difficoltà e la vittoria di Luigi Grassi in questa avventura pare ricalcare quella di Eduardo De Filippo quando ricostruì il vecchio Teatro San Ferdinando, a Napoli.
Quella sera del 1966 fu inaugurato il moderno schermo da 14 metri con macchine non più a carbone bensì con la potente lampada Xenon, capace di produrre una luce talmente forte da rendere maggiormente appetibile la visione dei film, con una programmazione che ripartì con “Da un momento all’altro” di Mervyn LeRoy con Honor Blackman e Jean Seberg, sfortunata icona della Nouvelle Vogue, a proseguire con la stagione senza dubbio più fortunata che la cinematografia nazionale abbia mai vissuto; quella della commedia all’italiana, con Monicelli, Sordi, Risi, Gassman, Tognazzi e tutta una straordinaria squadra di artisti irripetibili.
Ma le risorse imprenditoriali della famiglia Grassi continuarono a rilanciare sul territorio: dalla ristrutturazione della sala “Appia” (ricordato ancora oggi come “ex cinema Poli”) nel 1985 sorse il cinema “Eden”, 330 posti nella strada principale della città, a rendere omaggio all’antico nome del monosala di famiglia in piazza Cairoli.
Luigi Grassi è ancora qui, dopo aver attraversato tutte le stagioni del cinema, dalle esperienze artistiche alle nasse burocratiche e sindacali; passando dal muto al sonoro, dalla pellicola infiammabile a quella ininfiammabile (e qui come non ripescare nella memoria il grande incendio di “nuovo Cinema Paradiso”, di Tornatore), dalle “pizze” al nastro nei contenitori direttamente inseriti in macchina, fino allo spartiacque definitivo, quello del 2010 con l’avvento del digitale. Ma questa è un’altra storia, affidata alla gestione del figlio che porta il nome dell’amatissimo padre, Carmelo Grassi: dimensione culturale e mentalità all’avanguardia, ma stessa passione e forte senso d’identità.
Da tanto tempo, ormai, gli occhi di Luigi Grassi non guardano un film, eppure, ad osservarlo seduto nella platea vuota del suo “Impero”, ricorda una delle ultime straordinarie foto di Jorge Luis Borges, dove gli occhi ormai senza luce del filosofo argentino continuavano a scrutare il cielo. Alcun fascio di luce incontra lo schermo, ma Luigi continua a “vedere” il suo Cinema, con gli occhi di un fervore mai sopito.