Il mare d’autunno a Brindisi, magia di vita e di colori per pochi intimi: l’incontro con polpi e cefali curiosi

Per chi ama veramente il mare, non avverte particolarmente i morsi del freddo e, soprattutto, ha la fortuna di vivere dalle parti di Brindisi, l’autunno, lungi dal rappresentare l’inizio del “letargo” e la stagione in cui si ripongono muta, maschera e pinne in soffitta, rappresenta, addirittura, il periodo ideale per visitare una gran quantità di siti sottomarini raggiungibili facilmente via terra
Se poi, come quest’anno, il vento predominante, da ottobre a tutt’oggi, è stato quello da sud, il nostro mare, specialmente nei pressi della costa e sul litorale nord, perfettamente riparato dalla morfologia e dalla Diga di Punta Riso, è una tavola azzurra quanto meno da Materdomini a Giancola. Inoltre, quando soffia quello che dalle nostre parti viene chiamato anche vento di terra, che, cioè, dalla costa spinge verso il mare aperto, spingendo via i sedimenti sabbiosi e limacciosi, il mare si presenta particolarmente limpido e cristallino.
Non ultimo, a vantaggio di chi frequenta il mare in autunno, la costa si svuota dei chiassosi bagnanti e dei decibel della musica che, senza controllo, si sprigionano dai lidi, ed anche gli emuli di Hamilton e Vettel smettono di gareggiare più a bordo delle moto d’acqua, incuranti delle leggi ma anche delle regole di buon senso, facendo lo slalom fra la gente e mettendo seriamente a rischio l’integrità fisica altrui, per cui la natura si riappropria dei suoi spazi.
Infine, essendosi svuotata la litoranea, si riesce agevolmente a posteggiare vicino al mare, senza bisogno di levataccia all’alba, il che, per chi deve trasportare bombola ed attrezzature varie, non è da poco conto, così come all’atto del montaggio delle attrezzature e della vestizione, non si crea un capannello di gente intorno a curiosare, controllare e chiederci stralunati, quando scoprono che non pratichiamo la pesca subacquea, cosa ci andiamo a fare sott’acqua e sono gli stessi che alla nostra uscita dal mare, ci osservano con disgusto, scuotendo il capo sconsolati!
Nella quiete dell’autunno il mare di Brindisi si ripopola di pesci di ogni specie e dimensione, sia perché gli animali non sono più infastiditi dalla invasiva presenza umana, per cui quelli che si erano spostati prudenzialmente di qualche centinaio di metri al largo, pesci da tana compresi, tornano nei pressi della riva, sia perché comincia il periodo del cosiddetto passo dei grossi pesci che vivono negli altri periodi dell’anno in mare aperto e che si avvicinano in questo periodo alla costa per cibarsi e per riprodursi e che ci terranno compagnia quanto meno fino a febbraio.
Racconto volentieri l’esperienza delle ultime due immersioni effettuate in novembre, una diurna, l’altra notturna, per provare a condividere, aiutato dai miei scatti, con i lettori, le emozioni di fronte a tanta bellezza.
Giunti sul posto a metà di una domenica mattina, ad aspettarci c’era solo un cane randagio sulla battigia ed un vecchio pescatore sugli scogli. Indossata la muta, messe le pinne ai piedi, la bombola in spalla e la maschera in faccia è bastato mettere la faccia sotto il pelo dell’acqua e, al cospetto dell’acqua più cristallina di sempre, ci siamo resi subito conto che sarebbe stata una immersione memorabile: fra il ribollio tenue delle bollicine appariva ai nostri occhi stupefatti in tutta la sua bellezza, l’altra metà del creato in una esplosione di forme e colori senza eguali che ti conquista, ma quello che ti conquista ancor di più in fondo al mare è il silenzio e la pace senza eguali che trovi laggiù.
E’ difficile spiegarlo ma quando ti immergi in mare diventi un tutt’uno con esso, un elemento ancestrale di questa natura primordiale da cui ha avuto origine il miracolo stesso della vita e, anche se lo hai fatto già altre cento o mille volte, non importa; infatti provi e proverai sempre e comunque ogni volta questa stessa emozionante sensazione, come al primo tuffo.
Tutto è vita e tutto è colore sotto il mare di Brindisi: dai banchi di migliaia di castagnole nere che ti nuotano vicino, quasi addosso, salvo diradarsi all’improvviso come nebbia mentre l’attraversi, ai coralli ed alle spugne colorate; dai buffi paguri che corrono all’indietro continuando a fissarti con i loro curiosi occhi sporgenti, alle guizzanti donzelle ed ai placidi tordi che si lasciano avvicinare fin quasi a toccarli; dalla minuscola bavosa, che fa capolino dalla sua tana, a qualche grosso pesce che, più prudente, si allontana con un guizzo improvviso senza lasciarti neanche il tempo di osservarlo.
Giunti al limite della parete rocciosa, proprio al punto dove inizia il fondale sabbioso frastagliato di scogli e con qualche ciuffo di quella che prima era una vera e propria foresta di Posidonia che si spinge verso il largo ed il fondale è di appena una dozzina di metri, attirate, evidentemente, dal luccichio delle bolle dei nostri respiratori, scambiate per piccolo pesce azzurro, vengono a farci visita, girandoci attorno, alcune centinaia di grosse ricciole.
Va detto che già a partire dalla fine del mese di settembre, quest’anno, la presenza di banchi di ricciole (Seriola dumerili) sottocosta è stata quasi una costante, segno di particolare abbondanza di piccoli pesci, specialmente alici, di cui questi voraci carangidi, che normalmente preferiscono il mare aperto, sono particolarmente ghiotti. Si tratta di un pesce che può raggiungere anche il quintale di peso e la lunghezza di due metri, anche se gli esemplari che incontriamo noi sono subadulti di poco meno di un metro di lunghezza
Dopo poco più di un’ora, quando ormai eravamo avviati sulla via del ritorno, giunti quasi al punto di partenza, avendo ancora un po’ di aria nelle bombole, ci mettiamo a gironzolare fra alcuni pennelloni di roccia a pochi metri dalla riva quando un enorme banco di grossi cefali, della lunghezza di almeno 60-70 centimetri ed un peso stimato di 4 o 5 chili ciascuno, ci viene quasi addosso e, all’unisono, come se fosse un’unica entità pensante, frena e si blocca un istante proprio di fronte al mio compagno di immersione Fabio, dandomi la possibilità di immortalare la scena in uno scatto con la mia Olympus scafandrata, prima di riprendere la corsa passando ad una velocità impressionante a pochi centimetri da noi.
I cefali (Mugil cephalus o Cefalo comune) sono pesci che normalmente vivono nei pressi della riva, nei porti, risalgono anche le acque dolci del canali e vivono bene alla foce dei fiumi, come è nel caso di Fiume Grande a Brindisi dove sono particolarmente numerosi, da adulti, prediligono allontanarsi dalla costa salvo tornarci in grossi nel tardo autunno e fino ai primi mesi invernali, per riprodursi.
Un gruppetto di giovani mormore (Lithognathus mormyrus), conosciute come “Casciole” a Brindisi, ci attende ad un apio di metri di profondità, in prossimità del punto di uscita dal mare.
Tornati sulla terraferma, noto che il vecchio pescatore, tutto soddisfatto, stava riponendo canna e secchiello in macchina, con un buon pescato, mentre il povero randagio, a cui qualche anima buona aveva portato un po’ di cibo in una ciotola, interrompe il pasto per una paio di abbai davvero poco convinti.
Decidiamo di tornare sul luogo del “delitto”, per effettuare la stessa immersione, in un giorno infrasettimanale ma in notturna per cui, agevolati dal ritorno all’ora solare, la possiamo effettuare di venerdì poco dopo le cinque del pomeriggio, quando in estate, per avere lo stesso effetto, si devono aspettare le 21,00.
Questa volta ad aspettarci non c’era più il vecchio pescatore ma, abbaiando pigramente, solo il cane a cui qualche altra anima pia, o la stessa di prima, aveva costruito anche un piccolo riparo per la pioggia.
Alla luce delle torce subacquee indossiamo rapidamente la nostra attrezzatura e ci caliamo in acqua.
Incredibilmente la temperatura del mare è ancora introno ai 20°, almeno due o tre gradi sopra la media del periodo, per effetto, probabilmente, delle correnti che dall’Africa giungono fino alle nostre coste agevolate dalla atipica quasi totale assenza di venti provenienti da nord.
Appena il tempo di scendere sul fondo, a neanche tre metri di profondità, la prima grossa – in tutti i sensi – sorpresa: una grande Murena sorpresa lontana dalla su tana che, anziché fuggire alla nostra vista ed alla luce delle nostre torce, si ferma ad osservarci con la stessa curiosità con cui la osserviamo noi, posando per qualche foto, senza alcun segno di nervosismo od aggressività ed aspettando che fossimo noi ad allontanarci da lei per riprendere la sua battuta di caccia notturna a cefalopodi e crostacei.
La quantità di polpi della specie Octopus vulgaris (o Polpo comune) e le loro dimensioni, maggiori rispetto a quelli che si incontrano a fine estate, sono segno inequivocabile che questi animali, poco longevi, la cui vita media è di poco più di un anno, stanno raggiungendo l’età matura per la riproduzione. Un giovane Polpo sale addirittura sulla mano coperta da guanto di neoprene a curiosare e, allora, lasciamo che si allontani spontaneamente per non spaventarlo.
All’improvviso, illuminata dal fascio di luce della torcia, appare in tutta la sua imponente bellezza ed il suo colore rosso vivo, appare una grossa Polpessa (Octopus macropus), che non è il genere femminile del Polpo, ma una specie a se stante, di stazza più che doppia, potendo raggiungere il metro e mezzo di lunghezza, di abitudini esclusivamente notturne e che, per sua fortuna, non è buona da mangiare. Trattandosi di animale che vive anche a profondità maggiori e lontano dalla costa, è difficile incontrarli nelle immersioni estive, mentre in autunno ed inverno è quasi impossibile non incontrarlo.
Sempre illuminati dalla luce della torcia che ne rende naturalmente fulgidi i colori, non mancano i simpatici paguri, con il loro carico di attinie (vere e proprie opere di ingegneria animale) montati sulle conchiglie, che fa tornare alla mente il classico esempio di simbiosi mutualistica animale che si studia in scienze fin dalle scuole elementari e che rende questi due animali pressoché inseparabili: basti pensare che quando il Paguro crescendo deve cambiare conchiglia per “abitare” in una più grande, porta con sé anche la sua amica Attinia! Il Paguro trae vantaggio dalla presenza delle attinie perché con i loro tentacoli urticanti tengono lontani i predatori, mentre l’Attinia trae il vantaggio di essere portata in giro, anziché rimanere fissa su un supporto immobile, e avere maggiori possibilità di cibarsi anche grazie ai sedimenti di sabbia che vengono sollevati dalle zampette del Paguro liberando plancton ed altri elementi nutrienti, come anche i residui dei pasti dello stesso Paguro: un bel matrimonio dove a trarne vantaggio sono entrambi!
Impossibile non notare a margine della scogliera, alcune triglie (Mullus surmuletus o Triglia di scoglio) di stazza veramente notevole, che nulla hanno a che vedere con le trigliette da frittura abbondanti nei mesi estivi.
Una volta fuori dal mare il freddo pungente della sera comincia a farsi sentire, per cui disassemblata velocemente l’attrezzatura subacquea e ripostala nel bagagliaio, possiamo fare rientro a casa, giusto in tempo per la cena.