La Fontana del Monsignore e le sorgenti sotterranee della Minnuta

Percorrendo il tratto di via Provinciale san Vito, sul declivio tra il passaggio a livello di via Osanna e il Parco del Cillarese, si nota un costante rivolo di acqua che fuoriesce dalla base dei conci di carparo della parete a ponente, e avanza in parte sul marciapiede interessando anche il piano stradale. Ciò evidenzia ancor’oggi la presenza di una copiosa sorgente sotterranea, tuttora attiva, che alimentava almeno in parte le due antiche fontane presenti sulla strada: la Fontana Tancredi e, poco più a valle, la Fontana di Monsignore. Della prima abbiamo ampiamente parlato nel numero 146 (1/5/20) del nostro settimanale, la seconda, meno nota, trovandosi poco più avanti all’interno di una proprietà privata, la si può osservare attraverso un cancello posto affianco al distributore di carburanti.
In passato l’intera zona era di proprietà degli Arcivescovi di Brindisi, un’ampia area ricca di lussureggianti giardini che furono descritti di “endemica bellezza” e cantati in eleganti versi latini dal poeta brindisino Niccolò Taccone. Della straordinaria magnificenza del sito ne parla anche il frate carmelitano Andrea Della Monaca, descrivendolo come un’area “ripiena d’amenissimi giardini […] contendono ben qualunque si sia orto delizioso di bellezza naturale, di sito, d’acque, di valli, di pozzi, e insieme di terra, e di mare”.

Le “limpidissime e dolcissime acque” sorgono naturalmente dalle viscere di quella collinetta che si erge alle spalle delle antiche fontane, dove oggi è il rione Minnuta, una zona che prende il nome dalla caratteristica ubertosa della sua terra, come una mammella o “minna” femminile. Proprio per la presenza delle abbondanti sorgenti sui rialti di ponente, l’area fu scelta già dagli antichi romani come luogo di sosta e di accampamento, fuori le mura della città, degli eserciti e della massa enorme di persone in transito, che qui poteva rinfrescarsi e abbeverarsi prima dell’imbarco verso l’Oriente. Il sito infatti segnava l’accesso in città da nord, alla confluenza delle due arterie viarie più importanti, la via Appia e la sua variante Traiana, non lontano delle aree di attracco delle navi che cariche di preziose merci.

La fontana, che secondo uno studio del prof. Giacomo Carito era anche denominata Pomeriana o di Giardino di Mare, fu realizzata proprio per i fabbisogni irrigui dei terreni circostanti, e venne interamente modificata durante il secondo ventennio del Settecento da mons. Paolo de Villana Perlas, “ristoratore di quella con un condotto dell’istessa acqua sotterranea che per mezzo d’archi camina a comunicarsi in un recipiente che forma un’altra bella fonte più sotto distante passi venti dalla prima con numero cinque butti d’acqua che si trasfondono in un ampio pilone per soddisfazione e delizia dell’aspettatori ed un’altra fonte sotterranea che scaturisce dal colle di detto giardino distante dalla prima passi 50 verso ponente, con abbondanza di acqua da farsi un vaso ampio e capace per il trabucco a comodo ed uso del giardiniero per irrigare ed innaffiare tutte le piante” (Platea della Mensa Arcivescovile). Nello stesso documento datato 1722, è descritta la fontana fatta con un “suo pilone di recipiente nicchio, cupoletta e frontespizio di marmo con n. 7 butti d’acqua di bronzo ferrati per darli e levarli a tempo e suo sostegno con l’impronta e stemma di Monsignor Arcivescovo Perlas”.
Il complesso sistema di adduzione delle acque realizzato all’epoca è oggi solo parzialmente attivo, probabilmente interrotto durante la costruzione dei vari fabbricati nei pressi del sito. All’interno della proprietà, nei bei giardini che si ergono alle spalle dell’antico fonte, sono presenti un’altra piccola fontana in pietra, non più attiva, e un pozzo, entrambi insistenti su un possibile percorso sotterraneo dell’acqua su un pendio naturale che giunge sino alla Fontana Tancredi, al quale era permesso accedere attraverso un cancello privato.
La Fontana di Monsignor
e è rappresentata in un disegno realizzato alla fine dell’Ottocento dallo studioso di antichità Giovanni Leanza, esponente della nobile famiglia proprietaria all’epoca dell’intera area, sita in “Contrada Fontana Grande”, acquisita nel febbraio 1894 dalle Benedettine di Brindisi, fondo sul quale veniva costituita un’enfiteusi in favore della Diocesi e della Mensa Arcivescovile di Brindisi. Il Leanza era solito documentare, con foto e disegni personali, “rifiniti con esasperata cura su bozzetti non privi di spontaneità” (R. Jurlaro), i monumenti e le araldiche presenti in città, raccolti poi in un manoscritto autografo conservato nella Biblioteca Arcivescovile “A. De Leo”.
L’intera proprietà passò poi, per lascito testamentario, al colonnello medico della Real Marina Vincenzo Guadalupi, nipote del Leanza, e da questi per eredità al figlio Mario Marino Guadalupi, il noto senatore della Repubblica italiana e più volte Sottosegretario di Stato alla Difesa, che tanto ha fatto per la nazione e la nostra città. Nel 1965 l’esponente brindisino del PSI versò la somma di 452.200 lire per l’affrancazione dell’enfiteusi, liberando l’intera proprietà dal diritto reale di godimento a favore dell’Arcidiocesi brindisina, prima di lottizzare, negli anni ’70, una parte del fondo, dove furono innalzati i primi palazzi del rione.
La famiglia Guadalupi continua ancor’oggi a curare con scrupoloso impegno la manutenzione dell’area, per questo il giardino interno mantiene sempre quel tipico aspetto di “piccola e riservata oasi di rigenerazione per i chierici e nobili del tempo” (G. Sacrestano); i proprietari sono intervenuti anche all’esterno per porre, alla base del muro di cinta, una griglia di raccolta e deflusso delle acque sorgive che continuano a sgorgare dalla collina, necessaria per evitare scivolamenti accidentali. L’idea, in prospettiva, è quella di valorizzare l’intero sito e renderlo fruibile alla cittadinanza.

Da diversi decenni ormai, nell’antica fontana di chiara ispirazione neoclassica, non scorre più quell’acqua dolce e limpida tanto famosa sin dai tempi antichi, un affascinante monumento caratterizzato da una raffinata vasca semicircolare a conchiglia sorretta da ciò che resta della figura allegorica alata riprodotta nel disegno attribuito a Giovanni Leanza. Gli altri elementi decorativi purtroppo si sono persi nel tempo, resta solo in parte una delle due nicchie laterali che in origine potevano accogliere altrettante statue. Per valorizzare l’opera, i proprietari hanno voluto installare una moderna e suggestiva illuminazione serale. Anche qui, alla base del muretto di contenimento, è evidente un persistente rivoletto di acqua sorgiva che inumidisce lo spiazzo antistante, dove si trova un’altra vasca rettangolare in pietra.
La famiglia Guadalupi ha inoltre voluto e saputo conservare con cura alcuni originali ceppi di vite a ricordo del vigneto che qui insisteva ancor prima dell’acquisto dei Leanza, impiantato in quel vigoroso giardino fatto di terrazzamenti, utili a mitigare l’eccessivo dislivello, a pochi passi dal famoso Ponte Grande, l’ingresso nord della città oltre le mura.

Si ringrazia per l’ospitalità e per la cortese e preziosa collaborazione l’avv. Mario Marino Guadalupi.