La storia dei Templari si intreccia con quella di Brindisi. Sino al processo

di Giovanni Membola per IL7 Magazine

Il fascino misterioso dei Templari, i Cavalieri del Tempio di Gerusalemme dai mantelli bianchi e dalla croce vermiglia sulla spalla destra, a settecento anni dalla loro fine, non ha mai smesso di appassionare e suggestionare un pubblico sempre più numeroso. L’interesse e la curiosità per il più potente ordine fra le compagini crociate è sempre vivo ed attento anche nella nostra città, che ha sempre assunto un ruolo rilevante nelle attività e nelle frequentazioni dell’Ordine monastico-militare nel Regno di Sicilia.
L’esistenza di una fondazione operativa a Brindisi sembra certa sin dal 1196, o persino trent’anni prima. Numerose fonti attestano la presenza di una vera e propria domus templare, insediamento formato da una parte adibita a refettorio, dormitori, stalle, officina e altri locali di servizio, e una parte riservata al culto, presumibilmente ubicata nella chiesa di San Giorgio del Tempio, situata nei pressi dell’attuale stazione ferroviaria, laddove esisteva il bastione denominato San Giorgio. Altri studiosi ipotizzano una seconda sede, o forse proprio la domus principale dell’ordine, nei pressi della chiesa di San Giovanni al Sepolcro: non lontano dall’interessante edificio a forma semicircolare qualche anno fa è stata rinvenuta, all’interno di una abitazione privata, una singolare bifora (finestra divisa verticalmente in due parti uguali mediante un piedritto o una colonnina centrale) sulla quale spicca una lunetta finemente decorata a rilievo, costituita da una croce trecciata che parte da un piccolo tempio e si apre in quattro bracci con racemi e foglie. Questo sigillo corrisponderebbe a quello utilizzato dai maestri francesi dell’ordine templare del XIII secolo (G. Maddalena C. 1999), che prima di essere occultata nel muro, in origine risultava a giorno. A breve distanza, su via Marco Pacuvio, ben immorsata nella muratura di un palazzo a circa otto metri di altezza dal piano stradale, una testa maschile sporge a vista sulla strada, un protome decorativo – forse una mensola – tipico dell’età sveva: nonostante sia particolarmente logorato dal tempo, il volto risulta essere di un uomo barbuto, bendato sulla fronte, dal mento pronunciato e volitivo, “probabilmente un tipo musulmano”, dallo sguardo risoluto e concentrato, nonostante la “nota arcaica” delle pupille forate. La maschera, secondo gli esperti, mostra indubbie affinità con sculture simili presenti a Castel del Monte e Lagopesole, luoghi di raduno, nel duecento, dei migliori scultori gotici meridionali. Entrambi questi elementi decorativi lasciano credere che nel corso della prima metà del XIII secolo, su questo luogo i Templari “abbiano rimaneggiato la loro sede cittadina oppure ne abbiano edificato una nuova” (G. Marella 2013).
Erroneamente e per molti anni, è stato ritenuto edificio di costruzione templare anche il cosiddetto Portico dei Templari di piazza Duomo (XIV secolo), in realtà appartenente al palazzo signorile della nobile famiglia brindisina dei De Cateniano.
È storicamente accertato che nel porto di Brindisi, importante teatro dell’intenso traffico di uomini e merci diretti in Terrasanta, vi erano cantieri navali dove svernavano e venivano riparate imbarcazioni dell’Ordine, come la nave Santa Maria dei Templari, che poi avrebbe trasportato sino ad Acri Ruggero di Sanseverino, vicario generale del Regno di Gerusalemme, con 35 cavalli, un carico di biscotti e altre vettovaglie. L’edificio che oggi prende la denominazione di Casa del Turista, potrebbe essere stato eretto dal Tempio come arsenale o darsena porticata, ipotesi sostenuta dalla croce potenziata tipica dei cavalieri visibile nella chiave di volta dell’arco bicromo all’ingresso.
Dei cavalieri templari brindisini si ricordano Frà Simone, frate della casa di Barletta, Frà Adam cappellano della casa di S.Giacomo in Morea, e il serviente Frà Angelo della grancia templare materana. E’ rimasto alla storia per il suo coraggio Frà Guglielmo de Brundusio, catturato dai tartari nel 1240 nell’Anatolia centrale, fu costretto dai carcerieri a duellare come un gladiatore con l’altro cavaliere templare fatto prigioniero, il guascone Raimondo, i due ad un cenno d’intesa rivolsero le armi verso gli avversari cercando così una morte eroica. Altro personaggio importante dell’epoca, sempre di origini brindisine, è stato Ruggero Flores: rimasto orfano fu cresciuto nell’Ordine, non divenne frate ma un valoroso capitano di ventura e comandante de “Il Falcone”, la più grande nave templare dell’epoca.
Brindisi fu sede anche del più importante processo ai Templari del Regno di Sicilia, uno dei tragici eventi che segnarono l’epilogo dell’Ordine. Il 15 maggio del 1310 si inaugurò l’inquisizione in un convento o edificio adiacente alla cappella di Santa Maria del Casale (successivamente inglobata nell’attuale chiesa gotivo-romanica sita nei pressi dell’aeroporto), il processo vero e proprio si tenne invece nel castello svevo. La commissione apostolica, presieduta dall’Arcivescovo di Brindisi Bartolomeo e composta degli inquisitori Giacomo da Carapelle, Arnolfo Bataylle e Berengario de Olargiis, citò i cavalieri templari con l’affissione dei bandi, ma solo due fratres dal ruolo marginale di umili serventi si presentarono al processo: Giovanni da Nardò e Ugo di Samaya. Il primo affermò di essere stato più volte “invitato” a rinnegare e calpestare la croce e confermò le accuse di adorazione del gatto, del “bacio scandaloso sul ventre” e atti di sodomia. Anche il secondo servientes rinnovò l’accusa di ripudio della croce, dichiarando che fu costretto sotto la minaccia armata dei confratelli. Gli altri templari del regno furono giudicati in contumacia. Gli atti dell’Inquisizione brindisina furono poi inviati a papa Clemente V ed utilizzati per il Concilio di Vienne (Francia, 1311-1312). Furono diverse le imputazioni mosse nei confronti dell’Ordine, tra queste la sodomia, allusione che trovò terreno fertile anche nell’interpretazione del sigillo dell’Ordine, dove venivano ritratti due cavalieri in groppa allo stesso cavallo: in realtà l’emblema rappresentava da una parte lo spirito di fratellanza e di povertà dei cavalieri, e dell’altra simboleggiava la duplicità, monastico e militare, insita nella natura l’istituto rosso-crociato. Tutte le attribuzioni di colpa utilizzate nei vari processi contro i templari risultarono palesemente false e le confessioni furono estorte con atroci torture. Il vero cospiratore fu il re di Francia Filippo IV il Bello, bisognoso dei loro denari e possedimenti, che riuscì a coinvolgere anche il pontefice. Il tutto si concluse con la soppressione dell’Ordine e la condanna al rogo di molti Maestri e dignitari. Nel 1314 i Cavalieri del Tempio, due secoli dopo loro ufficializzazione, uscivano dalla storia ma entravano nella leggenda.