La zucca di Halloween – Racconti al balcone

di Ida de Giorgio per il7 Magazine

Lo sbuffare e l’ansimare sulla porta lo preoccupò. Intuì che avrebbe pagato caro il rifiuto di accompagnare sua moglie a fare la spesa, si sarebbe lamentata come sempre della mancanza di collaborazione. Si alzò, pronto ad andarle in soccorso. Il motivo di tanto sbattimento era il trascinamento di una zucca enorme. La cosa lo stranì. Non era un alimento frequente nella loro cucina e, con quelle dimensioni, ne avrebbero mangiato per giorni. Lei lo esentò dalla domanda: “Per Halloween, ci mettiamo le candele dentro quando vengono i bambini”. Non riusciva più a stare dietro a tutte queste feste. Ai suoi tempi l’unica degna di aver un giorno solo per sé era la mamma. San Valentino era riservato agli innamorati, adulti e con legami stabili. Adesso, invece, ogni occasione era buona per onorare qualcuno. Nonni, papà, cugini, amici e parenti lontani. A qualunque età. Aveva sempre pensato che tutte quelle ricorrenze fossero un escamotage per intrattenere i più giovani sin dall’asilo e per decorare le mensole orfane delle case. Rischiò la fuoriuscita di un’ernia per sollevarla, ma soffrì in silenzio.
Depositò la zucca sul tavolo della cucina e si stiracchiò la schiena mentre la moglie era distratta. Non voleva farsi cogliere in un momento di debolezza. “Va svuotata”. Così, senza specificare chi dovesse farlo, tanto era scontato che sarebbe toccato a lui. Tutti i lavori più noiosi gli erano riservati. Sgranare piselli, pulire le rape, sminuzzare la verdura per il minestrone. La moglie era convinta che lavorare alla contabilità desse delle capacità tecniche particolari, far quadrare i conti garantiva la cubatura perfetta dei pezzetti di carote. Non gli dispiaceva concentrarsi sulla punta del coltello in movimento, lo distraeva dall’ascoltare gli aggiornamenti familiari. Le telefonate con le sorelle erano quotidiane e sua moglie ne aveva ben cinque. Il suocero era stato sfortunato, aveva abbandonato l’ostinazione di avere il figlio maschio al sesto tentativo e solo per il rifiuto categorico della consorte a rivivere ancora l’esperienza del parto. Prima di mettersi all’opera cercò di documentarsi sulla tecnica migliore. L’involucro doveva restare integro, per poi farci le finestrelle per bocca, naso e occhi. Scoprì cose interessanti. La ricorrenza veniva dai celti, che intagliavano rape o patate per la loro forma, simile a una testa mozzata.
In America, invece, abbondavano le zucche, così la tradizione aveva cambiato vegetale. Jack o’ Lantern, la leggenda di Sleepy Hollow, i fuochi fatui, tutto riportava al confine fra morti e vivi. Non era convinto della nostalgia delle anime dell’al di là e del loro desidero di ritornare. Con quello che stava accadendo nel mondo, fra virus, deforestazione e inquinamento, la residenza ultraterrena non poteva che essere migliore. Lasciò da parte le riflessioni filosofiche per concentrarsi sull’azione. La lucidatura era il primo passo. Poi l’incisione in alto, per scavare con un cucchiaio stando attenti a non danneggiare la buccia. Un lavoro infinito che rischiava di risvegliare il gomito del tennista. Ne aveva sofferto senza aver mai giocato un solo set, ostinandosi a voler ridipingere i muri da solo per risparmiare manodopera inutile. La parcella dello specialista e la successiva terapia erano costati di più. Usò uno strofinaccio imbevuto di detergente per vetri. La zucca reagì bene, ravvivando l’arancione. Optò per un colpo di lama deciso ma delicato. Provò ad usare un mestolo, nella speranza di accorciare i tempi. La moglie lo apostrofò: “troppo grande. Vedi di fare delle palline tonde, così ci faccio le frittelle. Mi ha detto…”, cominciò a elencare tutte le possibili ricette, raccolte dalle infinite telefonate propedeutiche scambiate in famiglia. Come sempre, inserì un filtro audio capace di selezionare solo le cose di suo interesse. Dopo un’ora abbondante e qualche fitta al braccio aveva concluso decentemente il suo compito. Si domandò se avrebbe assunto lo stesso colore giallastro, a mangiare tutta quella polpa. La moglie si affrettò a suddividerla in contenitori avvolti nella pellicola. Vide riempirsi il congelatore. “Oggi risotto, domani preparo una torta e sabato la friggo”. La sofferenza culinaria sarebbe durata almeno una decina di giorni. Si rassegnò. Ora doveva creargli la faccia. Occhi e naso gli riuscirono bene. A triangolo. La bocca, però, doveva essere più originale. Ne aveva vista una con i denti da vampiro e un sorriso curvo.
Si impegnò a lavorare di punta. Aveva quasi finito quando, con uno scricchiolio, le labbra si squarciarono a sinistra. Tanta fatica per nulla. Per fortuna, la moglie era andata dalla vicina per uno scambio di opinioni sulla ricetta dei biscotti, almeno così pensava di aver capito annuendo per inerzia. Come rimediare? Una spillatrice manco a pensarci e la colla non avrebbe funzionato, c’era bisogno di una soluzione artistica. Si aggirò per la casa in ricerca di ispirazione. La trovò nel bagno. Disposta ordinatamente sulla mensola c’era tutta una batteria di smalti per unghie. Valutò quale tipo di ira affrontare fra lo spreco della zucca e quello del cosmetico. Il secondo avrebbe prodotto decibel maggiori e più duraturi, ma l’idea di ricominciare non gli andava proprio. Ne scelse uno rosso sangue. Una cicatrice sanguinolenta sarebbe stata adatta alla faccia orrorifica. Riempì la crepa con carta igienica appallottolata, così da creare una specie di cheloide, come quello che gli era rimasto sul polpaccio per aver osato provare lo skateboard di suo nipote. Poi cominciò a spennellare. L’effetto gli piacque, ma la boccetta finì subito. Partì per una nuova spedizione. Per fortuna i colori erano molto simili, con varianti comprensibili solo a chi percepiva le sfumature. Completare il lavoro richiese altri prelievi. Ogni volta cercava di allargare lo spazio fra quelle rimaste, per mimetizzare le assenze. Decise di occultare il misfatto, seppellendolo in fondo alla busta dell’indifferenziato. Accese delle candele e spense la luce. L’espressione tremolante era perfetta, il sorriso mandava dei lampi rossi molto originali. La moglie ne restò entusiasta. “Che bella idea. Hai trovato il barattolo di vernice avanzato, quello del cancello. Hai fatto bene. Non bisogna sprecare niente, di questi tempi”. Ecco, l’unico posto inesplorato era quello più logico, il ripostiglio. “Mi sono graffiata un’unghia, a trascinarla in casa”. Un’osservazione banale che apriva scenari terrificanti. Si preparò al peggio. Peccato non fosse già la sera di Halloween. Ai bambini sarebbe bastato vederla in quel momento, per scatenare orrore e raccapriccio.
Altro che Jack ò Lantern.