Ping-pong e calciobalilla per mantenere saldo il legame tra papà detenuti e figli

Di Marina Poci
Giocheranno a biliardino con i loro bambini, allontanando per un momento il pensiero delle sbarre, degli spazi forzatamente condivisi, del conto dei giorni che li separano dalla libertà: si terrà domani, mercoledì 5 giugno, nella casa circondariale di Brindisi (che ha aderito al progetto nazionale promosso da “Bambini senza sbarre”), l’ottava edizione di “Una partita con mamma e papà”, l’incontro tra i genitori detenuti e i loro figli, che apre le porte degli istituti penitenziari alle famiglie. L’iniziativa quest’anno coincide con il decimo anniversario della Carta dei diritti figli dei genitori detenuti (documento che promuove l’attuazione concreta della Convenzione ONU sulla tutela dei diritti dei bambini e adolescenti, agevolando e sostenendo i minori nei rapporti con il genitore in carcere e indicando forme adeguate per la loro accoglienza nelle case di pena).
“Nelle carceri in cui ci sono grandi spazi, in genere si organizzano partite di calcio o basket. Noi a Brindisi non abbiamo questa possibilità, per cui dobbiamo inventare altre forme di partecipazione: l’anno scorso abbiamo organizzato la partita di ping-pong; quest’anno, avendo a disposizione tre biliardini, faremo partite di calciobalilla. Ma soltanto per i più grandi. Per i bambini più piccoli stiamo progettando altre attività. Abbiamo minori che vanno dai due ai diciassette anni: dobbiamo necessariamente differenziare”, dice Angela Corvino, che è la referente per Brindisi di “Bambini senza sbarre”, l’ente del terzo settore che si occupa di tutelare il diritto allo sviluppo di una genitorialità piena tanto nell’interesse dei detenuti quanto nell’interesse dei minori che abbiano uno o entrambi i genitori in stato di detenzione.
Corvino è un’infermiera che ha frequentato una scuola di counseling europea e che, da circa dieci anni, ha deciso di mettere le sue competenze a sostegno dei papà della casa circondariale di Brindisi per consentire loro di mantenere e, spesso, di riallacciare, il rapporto con i figli. Agisce per lo più come volontaria e in solitaria, ma qualche volta, quando riesce ad intercettare progetti finanziati o quando “Bambini senza sbarre” accorda un rimborso spese, si fa affiancare da professionisti psicologi (“a dicembre sono finiti i fondi, per cui abbiamo dovuto rinunciare alle psicologhe che hanno collaborato nei mesi precedenti, ma io ho continuato, è una missione a cui non posso rinunciare”, spiega).
Le attività che promuove e coordina sono essenzialmente tre: il gruppo di parola (che si tiene ogni sabato mattina, in cui si affrontano insieme ai papà le problematiche relative al momento dell’arresto e alle cause della detenzione, aiutando i genitori ad avvicinare gradualmente i bambini alla verità); lo Spazio Giallo (una stanza materiale, ma anche virtuale, nella quale il minore staziona prima e dopo il colloquio in un’ambiente confortevole e a misura delle sue esigenze); e, infine, il colloquio riservato tra padre e figlio (un incontro di due ore che si tiene ogni due settimane, durante il quale il minore può stare da solo insieme al genitore per un lasso di tempo molto lungo). A proposito di quest’ultima attività, Angela Corvino sottolinea l’importanza di un momento di confronto speciale, libero da interferenze esterne, necessario alla costruzione di un rapporto spesso interrotto bruscamente o mai iniziato (nei casi, non tanto rari, in cui il minore non era ancora nato quando il padre è stato arrestato): “Al colloquio “istituzionale” partecipa tutta la famiglia e quasi sempre si finisce per parlare dei problemi famigliari e delle questioni relative al processo o alle difficoltà che il detenuto incontra in carcere. L’attenzione per il bambino è marginale, per questo cerchiamo di creare le condizioni per avvicinare padri e figli senza altre presenze. Un papà in libertà può stare da solo con suo figlio, mentre un detenuto ha pochissime possibilità di fare quello che per un genitore che non vive in carcere è normale. Una delle esperienze che più mi ha emozionato in questi dieci anni è osservare genitori e figli mangiare insieme il gelato alla fine dell’iniziativa “Una partita con mamma e papà” dell’anno scorso. Una nota azienda produttrice ci ha regalato dei coni che abbiamo distribuito quando è finito il torneo di ping-pong. C’era un’emozione che non dimenticherò mai negli occhi di quei papà: per alcuni erano passati degli anni dall’ultima volta che avevano avuto un momento di normalità di questo tipo, altri addirittura, avendo figli molto piccoli, non l’avevano mai fatto. Tutto ciò che fuori può essere scontato, in carcere acquista un’importanza indescrivibile”, racconta con emozione Angela Corvino che, come spesso accade, si è avvicinata al mondo dei detenuti mentre, in tutt’altro contesto, teneva un incontro sulla comunicazione efficace e le tappe per la costruzione di una relazione fruttuosa tra le persone.
Lo rievoca lei stessa, sottolineando che “niente accade per caso” e ringraziando la circostanza – apparentemente fortuita – che le ha consentito di individuare e coltivare una vocazione che, anche a distanza di dieci anni dalle prime attività, è più vitale che mai: “Ad uno dei corsi una volta era presente un agente della Polizia Penitenziaria in servizio alla casa circondariale di Brindisi. Al termine dell’incontro mi ha avvicinata per ringraziarmi di persona, confidandomi quanto nell’ambiente carcerario sia difficile anche soltanto scegliere le parole per rapportarsi con i detenuti. Così mi ha suggerito di proporre alla direzione dell’istituto l’organizzazione di corsi di questo tipo. Quando andai a parlarci, la direttrice di allora, la dottoressa Dello Preite, mi fece una specie di controproposta: cercava qualcuno che si occupasse di genitorialità in carcere, perché era un tema che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria aveva in un certo senso “imposto” di trattare. Non ne sapevo niente, ma ho accettato. Ho passato mesi a informarmi e a studiare i progetti migliori attuati nelle carceri dove già l’argomento era ben conosciuto e ben trattato. Così ho iniziato. Ho scritto a “Bambini senza sbarre” e i responsabili mi hanno invitato ad un incontro internazionale che si teneva a Napoli: da allora faccio parte della rete che hanno costruito su tutto il territorio nazionale e loro mi fanno da supervisori”.
Di storie da raccontare Angela Corvino ne avrebbe moltissime: storie di padri per i quali parlare della propria condanna era un argomento tabù e che grazie al sostegno delle attività di “Bambini senza sbarre” si sono affrancati dal peso del non detto, riuscendo a contestualizzare a loro esperienza e a spiegarla ai figli, e storie di madri sopraffatte dalla responsabilità di allevare in condizioni di solitudine minori problematici, che, dopo l’iniziale titubanza (e diffidenza), non hanno difficoltà ad affidare i loro figli alle operatrici dello Spazio Giallo. Ogni storia conserva un posto speciale nella memoria di chi, una mattina di maggio di dieci anni fa, è entrata in carcere con l’idea di proporre un corso sulla comunicazione efficace e si è vista a sua volta proporre l’iniziativa che le ha cambiato la vita: “Con molti di questi papà ho ancora un bellissimo rapporto, anche adesso che hanno scontato la pena e sono usciti. Alcuni mi mandano lettere per aggiornarmi sulle loro vite e sulle loro famiglie. Ricordo con grande affetto un papà detenuto giovanissimo, la cui altrettanto giovane moglie ogni sera passava sotto alle finestre del carcere, con il loro bimbo piccolissimo, per “dargli la buonanotte”. Adesso è fuori e per lungo tempo ha continuato a scrivermi: ha una vita regolare, ha avuto un’altra figlia. Ecco, nonostante tutta la fatica che comporta il portare avanti con costanza un progetto del genere, sapere di essere stata utile alla crescita personale e all’unità di tante famiglie è per me un regalo dal valore incalcolabile”, conclude Angela Corvino.
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