Plastica in mare, occorrono più soldati

È tanto tempo che volevo affrontare la tematica dei rifiuti a mare o, per dirla in maniera più poetica, del mar di plastica in cui ci crogioliamo più o meno inconsapevolmente da oltre un quarto di secolo a questa parte e l’occasione me l’ha fornita una giornata organizzata per la pulizia di spiaggia e fondale in zona Materdomini, sulla litoranea a nord di Brindisi che, anche se slittata ad altra data a causa di alcuni sporadici spruzzi di pioggia che hanno scoraggiato i più a venire, non ha certo impedito a me ed altri tre amici subacquei non di primo pelo, Antonello, Augusto e Fabio, compagni di tante immersioni, a fare la nostra parte.
Il vento pressoché assente ed il mare liscio come l’olio, infatti, rendevano la giornata ideale per poter procedere secondo programma e poi, ci siamo detti, mica sott’acqua può venire a piovere!
Attrezzati di tutto punto e muniti di grosse sacche a rete ove riporre il “pescato”, ci siamo immersi dalla caletta poche decine di metri a nord dalla Conca, luogo privilegiato di tanti frequentatori del mare della domenica e, come tale, particolarmente infestato, sulla terraferma, come sul suo bel fondale, da rifiuti di ogni genere e dimensione.
Dal momento che il nostro gruppo è affiatato, esperto e profondo conoscitore del fondale brindisino, con una predilezione per le immersioni sottocosta, in parole povere: visto che giocavamo in casa, essendo solamente in quattro e dovendo operare una scelta sul dove e come intervenire, abbiamo scelto di non intervenire sui rifiuti diversi dalla plastica, né su quelli giacenti a poca profondità, decisamente più semplici da asportare nel momento in cui potrà essere fatta una campagna di pulizia con un maggior numero di partecipanti.
Appena scesi sul fondo ci siamo diretti pinneggiando oltre la lingua di roccia che ingloba la vecchia condotta in disuso che partiva dall’aeroporto per arrivare fino al mare e, lì dove il fondale degrada fino ai dieci metri di profondità, ci siamo dedicati alla raccolta della tanta plastica che oltraggia quel fondale, non solo stazionando sulla sabbia in balia delle correnti, ma insinuato ed incastrato da anni, in maniera anche pervicace, fra le fessure degli scogli in coabitazione con pesci, crostacei, molluschi e cefalopodi dei più vari generi è diventato quasi un tutt’uno con il paesaggio sottomarino.
Per dirla in breve, in nemmeno un’ora di intenso lavoro non solo abbiamo riempito le quattro grosse sacche a rete che avevamo in dotazione, ma arrangiandoci come meglio potevamo con la mano libera, abbiamo faticosamente tirato a riva anche una grossa tanica, svariati metri di pompa ed un paio di gambe di un tavolo di plastica.
A voler fare una statistica di questa pesca miracolosa, circa il 70% di quello che avevamo riposto nelle sacche era costituito da bottiglie di plastica ed il 20% da buste, retini e lenze aggrovigliate, mentre, per il resto, da segnalare un pallone, una bella pinna arancione, qualche sandaletto da mare spaiato, il tutto per circa 80 chilogrammi di plastica che, dopo aver caricato in auto, abbiamo conferito in un’isola ecologica.
Discorso a parte meritano le stoviglie di plastica, piattini e bicchieri, per intenderci, che sono un vero flagello e che è anche difficile raccogliere in quanto, dopo un certo periodo di giacenza in mare tendono a disgregarsi in mille frammenti quando si cerca di afferrarli, inquinando irrimediabilmente il mare e la sabbia al pari delle famose microplastiche – particelle create appositamente per essere inserite in dentifrici, creme, detersivi in polvere, per aumentarne il potere pulente o esfoliante, ma con conseguenze disastrose per il mare e le sue creature, come microplastiche sono anche le fibre rilasciate durante il lavaggio di capi d’abbigliamento contenenti poliestere e altri materiali sintetici-
È cosa nota che le minuscole particelle di plastica disperse nel mare vengono scambiate dai gamberetti del plancton per cibo ed entrano così nella rete alimentare e, attraverso i pesci che se ne cibano, finiscono nella stessa catena alimentare che ha come terminale l’uomo.
Non è un caso che lo scorso 7 marzo 2019 la Regione Puglia, la prima in Italia a farlo, ha ufficializzato il divieto di introdurre stoviglie in plastica nei lidi pugliesi già dalla prossima estate mentre, purtroppo, non ha avuto gli attributi di vietare anche la vendita delle bottigliette d’acqua, laddove sono proprio queste a costituire la stragrande maggioranza dei rifiuti plastici che finiscono in mare ad opera di incivili.
Che la plastica sia una tragedia ed una emergenza per il nostro mare è reso evidente anche dalla circostanza che si è scomodato perfino il Segretario Generale della Nazioni Unite Antonio Guterres per sensibilizzare la popolazione mondiale sull’argomento e ad affermare a gran voce :”Se non cambiamo rotta, nei nostri mari potrebbe presto esserci più plastica che pesci” laddove in alcune zone, anche del nostro bel Salento è già così, e, ancora “l’80% dell’inquinamento marino proviene dalla terra, inclusi 8 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica che ogni anno finiscono in mare soffocando corsi d’acqua, danneggiando le comunità che dipendono dalla pesca e dal turismo, uccidendo tartarughe e uccelli, balene e delfini, riuscendo a raggiungere le zone più remote del pianeta e la catena alimentare da cui dipendiamo”. Di qui l’esortazione: “Ognuno di noi deve fare la propria parte attraverso azioni semplici come usare bottiglie di vetro, bicchieri e borse della spesa riutilizzabili, riciclare la plastica, evitare prodotti che contengano microplastiche e fare volontariato per pulire le aree locali dai rifiuti. Se ognuno di noi fa la sua piccola parte – conclude -, le nostre azioni combinate possono avere un impatto enorme”.
L’impatto devastante della plastica abbandonata in maniera incontrollata in mare, utilizzato da taluni, anche alle nostre latitudini, come una immensa discarica, è davvero tremendo anche per la fauna marina ed anche a noi sub è capitato spesso di incontrare carcasse di tartarughe e delfini aggrovigliate in residui di reti e di lenze che ne hanno causato la morte, anche a prescindere dai chili di plastica involontariamente ingeriti e finiti nei loro stomaci.
Qualcosa in proposito ce la può confermare la nostra amica biologa Paola Pino d’Astore che ha avuto modo di vedere da vicino tanti animali vittime di questa ennesima scelleratezza dell’uomo e con cui spesso ci confrontiamo su tematiche faunistiche ed ambientali
Paola, so che ti è capitato spesso di intervenire per tartarughe e cetacei in difficoltà o, purtroppo, deceduti, anche a causa dei tanti rifiuti plastici presenti in mare: vuoi raccontarci qualcosa?
“Dal lungo lavoro svolto nel periodo 2001 – 2016 dal Centro Fauna Selvatica della Provincia di Brindisi, in collaborazione con la Capitaneria di porto, spesso è risultato evidente l’impatto tra la fauna marina e la presenza di rifiuti in mare. I nostri dati si riferiscono a due specie di tartarughe marine la Caretta caretta (tartaruga marina comune) e la Chelonia mydas (tartaruga verde) e a due specie di delfini, il Tursiope e la Stenella striata.
Sia le tartarughe che i delfini emergono dal mare per respirare con i polmoni ed ogni rifiuto ingombrante o attrezzo da pesca (reti o palamito) che li trattiene sott’acqua, oltre il limite della loro resistenza fisiologica, ne causa la morte per annegamento”.
A tutto ciò si aggiungono le morti o le malattie dovute all’ingestione di rifiuto, giusto?
I rifiuti costituiti da piccoli oggetti in plastica o in metallo, una volta ingeriti, come succede anche agli uccelli marini, causano gravi patologie a livello gastrico ed intestinale con conseguente rinvenimento di carcasse o di esemplari in difficoltà. In altri casi, da parte delle tartarughe marine, vi è un’ingestione attiva di ami e di lenze (che formano i braccioli di lunghi palamiti) per la cattura a scopo alimentare delle esche rappresentate da pesci, seppie, calamari e crostacei, che corrispondono ad alcune delle loro prede naturali. Le lenze lesionano l’apparato digerente, determinando occlusione intestinale e se non rinvenute e soccorse in tempo, per le malcapitate tartarughe non vi è più nulla da fare”.
Anche a Brindisi la situazione è così drammatica?
“Pescatori e diportisti hanno osservato, sotto costa o presso la diga di Punta Riso di Brindisi, tartarughe marine che a stento avevano ancora la forza di nuotare in superficie o che andavano alla deriva in quanto aggrovigliate, tra testa e pinne, in un cumulo di rifiuti marini che trasportavano, loro malgrado, come zavorra: pezzi di vecchie reti e di cime, contenitori e pezzi di plastica di vario tipo. Bloccate in superficie, senza poter immergersi e quindi cercare cibo, questi esemplari sono destinati alla morte per inedia. In altri casi gli stessi rifiuti causano profonde lesioni da costrizione a danno delle pinne, tanto da determinare l’auto-amputazione dell’arto natatorio.
L’abbandono scellerato in mare di rifiuti di ogni genere (plastica, idrocarburi, metalli pesanti, sostanze radioattive, ecc..) è un attacco frontale non solo a tutte le specie marine, di cui cetacei e tartarughe marine sono la manifestazione più evidente, ma anche alla nostra stessa salute. Ogni inquinante entra nelle complesse reti ecologiche, entra nelle catene alimentari, si trasforma e rimane nell’ecosistemadi cui noi siamo parte integrante. Senza poi parlare del rispetto della vita, del decoro paesaggistico dell’ambiente sommerso e costiero, del bisogno, per tutti noi, della bellezza incantevole di ogni specie vivente”.
A queste parole di Paola, inevitabilmente, il mio ricordo è andato ad una grossa tartaruga marina, di oltre un metro di carapace, per cui di età prossima al secolo di vita, che, ormai agonizzante, giaceva a circa 30 metri di profondità alla base della Secca di Bocche di Puglia e che con Mauro tentai invano di liberare da un groviglio di lenza impigliato alla roccia che le aveva quasi staccato la zampa dal resto del corpo e che le aveva impedito di risalire in superficie per respirare e mai dimenticherò il fiotto di sangue che uscì dalle sua bocca e dalle sue narici al momento di rendere la sua vita al Creatore.
Da allora, e sono passati più di dieci anni, abbiamo personalmente dichiarato guerra all’abbandono dei rifiuti in mare, guerra che, al momento ed in attesa di auspicati rinforzi, ci vede ancora perdenti, ma non per questo meno decisi a continuare a lottare.
E per essere soldati in questa guerra è sufficiente, come ha più volte sostenuto la dottoressa di ricerca in scienze ambientali Rossella Baldacconi, tarantina, subacquea ed autrice di diverse pubblicazioni che riguardano il mare: “Ognuno di noi nel suo piccolo può far qualcosa per arginare questo stato inaccettabile delle cose e per limitare almeno in parte l’enorme apporto quotidiano di plastica in mare: evitare l’acquisto di oggetti usa e getta in plastica (buste, bottiglie, bicchieri e altre stoviglie), evitare l’acquisto di prodotti con molti imballaggi, controllare che negli ingredienti dei prodotti utilizzati per l’igiene quotidiana non siano presenti polimeri come il polipropilene o il polietilene, evitare di acquistare capi d’abbigliamento in materiale sintetico. Infine, sembrerà assurdo, ma anche raccogliere dal mare un solo rifiuto plastico può salvare la vita a un animale marino!”