di Giovanni Membola
Il dramma cristiano dalla Passione del Cristo raggiunge il momento culminante durante la Settimana Santa con la rappresentazione dei riti e delle manifestazioni popolari, ancora molto intensi in diverse località del meridione d’Italia. Fra gli elementi che compongono il racconto evangelico, il canto e la musica assumono una rilevanza particolare nell’accompagnare le varie celebrazioni religiose e folcloriche popolari, con un repertorio ricco di ritmi lenti e marce funebri. È soprattutto la rievocazione e la meditazione sull’afflizione della Madre di Gesù, strettamente collegata ai testi della Stabat Mater Dolorosa, la preghiera-sequenza liturgica medievale attribuita a Jacopone da Todi (XIII secolo), ad aver ispirato nei secoli numerosi musicisti, appartenenti a diverse espressioni artistiche, nella composizione di brani di enorme valore musicale. Altrettanto ricca è la tradizione locale, con numerosi canti devozionali dal carattere fortemente narrativo, incentrati quasi esclusivamente sull’angoscia di una Madre che partecipa alle sofferenze del Figlio e lo vede morire sulla croce, la tragedia più atroce che possa colpire la vita di una persona. Testi poetici che evocano il dramma umano e divino con un linguaggio fortemente carico di enfasi, coinvolgente nella spiritualità e nel misticismo dell’evento religioso.
Ai canti religiosi della Passione è stata dedicata una importante rassegna musicale popolare organizzata nei paesi della Grecìa salentina, un evento che ha raccolto cantori provenienti da diverse parti dell’Italia e del bacino del Mediterraneo per uno straordinario dialogo tra culture diverse che raccontano lo stesso tema. Anche a Brindisi, in passato, si è cercato di conservare e tramandare alcuni di quei linguaggi espressivi della nostra tradizione pasquale, sia nell’ambito teatrale che nel canto e nella poesia, ricevendo una risposta partecipativa di grande interesse, un percorso rievocativo emozionale e coinvolgente caduto però in disuso da qualche tempo, mettendo fine ad una parte importante delle nostre memorie sacre e cultuali. Purtroppo, non siamo stati capaci di fermare quell’impetuoso processo di rifiuto di certe tradizioni ereditate, considerate simbolo di ignoranza e retaggio di un’epoca oscurantista, perdendo una parte consistente del patrimonio folcloristico che poi abbiamo cercato faticosamente e nostalgicamente di recuperare.
Grazie all’impegno e alle ricerche di alcuni studiosi locali si è riusciti a conservare, insieme ai diversi riti religioso-popolari, anche un antico e straordinario Canto della Passione, tramandato oralmente per generazioni e annoverato a giusta ragione tra i più espressivi della poesia religiosa pugliese. Il suo titolo, “Sciuvitia Santu”, è da sempre dibattuto: per alcuni autori era riferito alle vicende del Giovedì Santo e al disperato tentativo di Maria di trovare il Figlio incarcerato e condannato a morte, per altri invece la poesia era intitolata “Vinirdia Santu”, forse perché la Vergine trascorse l’intera notte tra il giovedì e il venerdì in cerca di Gesù. Il testo, di cui non si conosce l’autore, qualche anno fa è stato ricostruito, musicato e riportato all’originale dal Canto Antico della Nostra Terra, e come tanti altri canti popolari, descrive “con suggestiva vivacità le diverse scene della crudele tragedia – scrive Luigi Sada nella raccolta di inediti dello studioso Saverio La Sorsa pubblicati nel 1978, dove i versi in vernacolo del componimento brindisino si trovano tradotti insieme ad altre motivi popolari tra i più significativi della nostra regione. Tali narrazioni, “espressi sovente in forma rozza ed inelegante, spesso sconnessi ed oscuri, hanno qualche cosa di vivo e di singolare – spiega l’Autore del saggio – e rivelano sentimenti delicati e sinceri; hanno una forza intima e misteriosa, che solo anime ardentemente religiose possono sentire”.
Secondo alcuni esperti in materia, molte composizioni religiose furono scritte da sacerdoti o comunque da persone legate alla chiesa, utilizzando un linguaggio di facile comprensione ai quali i contadini e pastori prendevano parte, arricchendo drammaticamente il contenuto con inserimenti poco attinenti alle dottrine religiose, ma tollerati poiché necessari per entrare nell’anima semplice ed ingenua del popolo, ed accrescere il pathos nella rievocazione degli avvenimenti, con “profondo spirito ascetico, ardore religioso, che commuove e rattrista”. Anche nel contenuto e nella struttura dell’antico canto brindisino, che di seguito si riporta in versi originali affiancati dal corrispondente significato, si conservano le due tipiche forme individuate dai ricercatori delle tradizioni antiche, “quella colta e quella popolare, senza che nessuna delle due abbia col tempo soppiantato completamente l’altra”.
Il breve “dramma sacro” della nostra tradizione racconta il momento in cui la Madonna Addolorata, lasciata sola e affranta dal dolore, indossa un mantello per coprirsi dal freddo della notte e va in giro per la città in cerca del Figlio; durante il suo triste vagare incontra l’apostolo Pietro, che con fare grezzo e indelicato le chiede il motivo del suo pianto continuo. L’atteggiamento inconsueto e popolano del Santo si ripete anche nel successivo ammonimento, come se l’autore del testo avesse voluto schernire il fragile discepolo dopo che, secondo i vangeli, per ben tre volte aveva rinnegato il Signore prima di pentirsi.
Nella parte finale del canto si incontra anche l’insolita figura della zingara, un personaggio inedito nella tradizione della Settimana Santa: nel brano brindisino, come in uno simile diffuso nel tarantino, la zingara assume un ruolo crudele e spietato, viene accusata di essersi sostituita malvagiamente al fabbro ferraio per poter realizzare quei pochi chiodi, lunghi e spuntati, che causarono maggiori sofferenze a Gesù durante la crocifissione. La frase finale del canto, relativa la maledizione inflitta dal Cristo e che costrinse la zingara a vagare per sempre sperduta nel mondo, veniva ripetuta in coro – come una nenia – dalle donne al termine della narrazione, e lo facevano con un profondo e partecipato disprezzo, come ricordano gli ultimi testimoni di questa antica evocazione.