Sottacqua di notte: incontri ravvicinati di ogni tipo nel magico mare brindisino

Di Alessandro Caiulo per il numero 410 de Il7 Magazine
Sfuggire al caldo soffocante che ci ha angustiato per tutto il giorno e riuscire a ritagliarsi qualche ora, anche se in tarda serata, per andare a mare al termine di una pesante giornata lavorativa, potrebbe apparire una stravaganza od un lusso ma, in realtà, per chi vive in una città marinara come Brindisi è una cosa comune, almeno a giudicare da come appariva, al tramonto, la costa a nord della città, ancora piena di gente che approfittava dell’ultima fioca luce del sole ormai sotto la linea dell’orizzonte, per concedersi un bagno rinfrescante prima di far ritorno a casa.
Se poi si ha la passione per le immersioni subacquee e si dispone delle giuste attrezzature, oltre che di una buona e vivace compagnia, l’immergersi di notte viene ad essere l’occasione per scoprire un mondo sommerso diverso ed ancora più affascinante rispetto a quello già bellissimo e coinvolgente che siamo abituati ad ammirare nel corso delle consuete escursioni sottomarine diurne.
Ad esempio, è possibile scoprire ed osservare, nel loro habitat, animali marini con abitudini prettamente o esclusivamente notturne che difficilmente si riuscirebbero ad incontrare di giorno quando sono ben rintanati e meglio mimetizzati. Illuminati dal fascio di luce della torcia subacquea, poi, i colori sono più vivi e naturali, addirittura brillanti, in quanto la luce artificiale non è soggetta al fenomeno della distorsione che caratterizza i raggi solari quando penetrano nel mare e che viene ad altera quella che è la nostra percezione dei colori, facendo, letteralmente, comparire il rosso, l’arancione e poi il giallo, fino a ridurre, ma mano che si scende in profondità, il paesaggio quasi ad una indefinita poltiglia verde-grigiastra. E, infine, la pace ed il silenzio che regnano negli abissi, che già costituiscono uno dei principali piaceri della subacquea, ma qui si tratta di gusti e reazioni personali in quanto in taluni provoca angoscia e timore per l’ignoto se non proprio fobia, mentre in altri – e mi ci metto fra questi – risultano amplificati dall’atmosfera che regna nel mare di notte e la mente si sgombera a tal punto di ogni preoccupazione che ci si riesce a concentrare unicamente su ciò che di bello ed interessante il fascio di luce riesce ad illuminare.
Insomma, detto in breve e con una certa qual nota poetica, è un qualcosa che, citando padre Dante, “mostrasi sì piacente a chi la mira, che dà per li occhi una dolcezza al core, che ‘ntender no la può chi no la prova.”
La serata è quieta, non c’è un alito di vento nè una increspatura nel mare che è caldo come non lo è mai stato alla fine giugno: ben 27 gradi, laddove eravamo abituati negli anni scorsi a temperature di almeno un paio di gradi inferiori, ma che già erano notevoli rispetto al passato più remoto, tant’è che qualche squilibrio si comincia anche a notare.
Il punto prescelto è la rientranza di un’insenatura scogliosa situata affianco alla Conca di Materdomini, molto facile da raggiungere e che offre il non indifferente vantaggio di avere un fondale subito profondo alcuni metri che degrada presto a una dozzina di metri, seguendo una parete rocciosa particolarmente frastagliata e piena di anfratti ricchi di vita sottomarina tale da consentire – per usare un termine fin troppo abusato per indicare il negozietto sottocasa – una stupenda immersione “a chilometri zero”.
Anziché descrivere, per filo e per segno, tutto ciò che siamo riusciti ad ammirare nell’ora e mezza passata sott’acqua, essendo anche difficile tenere il conto della gran quantità di pesci ed altri organismi marini incontrati, proviamo a dedicarci a quelli di essi che, per una ragione o un’altra, hanno maggiormente catturato la nostra attenzione.
Il primo pescetto, degno di citazione, lo incontriamo sul fondale sabbioso appena entrati in acqua: si tratta di un Pesce lucertola (Synodus saurus), che ci crea qualche apprensione in quanto, per livrea, forma e dimensione è assai simile alla temibile e più comune Parasaula (Tracina drago) ma, privo come è delle insidiose spine velenifere su opercoli e pinna dorsale, è assolutamente inoffensivo per gli uomini, anzi è nel suo destino, le rare volte che viene, per caso, pescato, finire bollita in qualche ricca e fantasiosa zuppa di pesce. Il suo nome è dovuto essenzialmente alla forma allungata, la testa piatta e la bocca larga con dentini aguzzi che tanto ricorda la comune lucertola terricola.
Alla base del costone roccioso che abbiamo alla nostra sinistra vi sono, ben distanziati tra loro, a parecchi metri l’uno dall’altro, degli spettacolari Spirografi (Sabella spallanzanii), il cui aspetto fa pensare ad un bellissimo fiore quando, in realtà, si tratta di un verme – un anellide, una sorta di lombrico che, però vive rintanato in un tubo di consistenza cartacea, da lui stesso prodotto, in cui si rifugia in caso di pericolo – si nutre di placton e residui di cibo in sospensione che cattura con la sua corona di tentacoli che fuoriescono dal tubo e che fanno pensare a dei sottilissimi petali.
Altrettanto suggestivo è l’incontro con i grossi maschi adulti di Tordo pavone che riposano adagiati in anfratti della roccia e che, quando sono illuminati dalla torcia palesano una colorazione molto più vivace, varia e brillante di quella verdastra (da cui il nome locale Verdesca, anche se non ha nulla a che vedere con l’omonimo squalo) che sembra sfoggiare di giorno, a causa del sopra citato fenomeno dell’alterazione dei colori in profondità e che, comunque, lo caratterizza quando giace esanime nel “panaro” di un pescatore o sul banco di una pescheria.
Non poteva mancare l’incontro, sempre gradito, con un grosso Paguro bernardo (Dardanus calidus), detto anche “eremita”, di color rosso corallo, col suo bel carico di Anemoni (Calliactis parasitica), dette anche Attinie del paguro, ben fissati sulla conchiglia scelta come dimora. Quella della simbiosi mutualistica, che porta cioè reciproci vantaggi a tutt’e due le specie, è una storia d’amore che merita di essere raccontata. Il Paguro è un crostaceo con l’addome molle, per cui sarebbe estremamente vulnerabile se non si impadronisse, per abitarle, di conchiglie vuote capaci di contenerlo e proteggerlo. Man mano che cresce, cambia conchiglia scegliendone di volta in volta una più grande adatta alle sue esigenze. Accade che ad un certo punto, alcuni paguri cominciano ad abbellire la loro casetta con degli Anemoni che staccano loro stessi dal substrato su cui si trovano e delicatamente adagiati sulla conchiglia a cui si fissano ben volentieri. Il Paguro usufruisce dello straordinario strumento di difesa costituito dai tentacoli urticanti dell’Anemone che scoraggiano i possibili predatori, mentre il vantaggio per il suo ospite consiste nell’acquisire quella mobilità, che vuol dire maggiore possibilità di cibarsi, di cui madre natura non l’aveva dotato, dal momento che il paguro, spostandosi, gli offre la possibilità di raggiungere nuove zone, ma anche di nutrirsi dei resti delle prede del paguro e delle particelle di cibo che vengono smosse e che cattura con i suoi tentacoli vischiosi. Quando il crostaceo è costretto a cambiar conchiglia, provvederà, con delicatezza, al trasloco sul nuovo tetto anche delle sue amate attinie, per cui si tratta di un matrimonio che può durare anche tutta la vita. Non è un caso che gli insegnanti di ogni ordine e grado e di tutte le scuole del mondo utilizzano proprio questo esempio per spiegare agli alunni cosa è la simbiosi mutualistica e che un esempio di tal fatta rimanga impresso per tutta la vita!
Altro incontro notturno molto atteso è stato quello con una giovane Murena (Murena helena) che faceva capolino dal suo rifugio con la bocca, munita di denti aguzzi, spalancata ed ansimante non già, come molti sono tentati a credere, per spaventare i malintenzionati e suggerire loro di tenersi alla larga dalle sue feroci fauci, bensì per soddisfare una semplice esigenza fisiologica vitale, cioè respirare. Non essendo munite, come invece la stragrande maggioranza degli altri pesci, di opercolo branchiale, per poter respirare le murene devono pompare acqua all’interno delle branchie attraverso la bocca che, necessariamente, tengono aperta anche quando sono in posizione di riposo. I suoi denti aguzzi bene in mostra, rendono il suo aspetto estremamente aggressivo tanto da farne, nei racconti della gente di mare, uno degli animali marini più leggendari, subalterno solo allo squalo assassino ed alla piovra gigante.
A proposito di piovra, animale non esistente in natura, bensì nome che viene comunemente affibbiato ai polpi cresciutelli, molto frequente di notte è l’incontro con esemplari più o meno grandi di Polpo comune (Octopus vulgaris) che approfittano del buio per venir dalle tane in cui si rifugiano di giorno, per andare a caccia di granchi, gamberi, molluschi e vari piccoli pesci di cui si nutrono e, al tempo stesso, vengono a fungere da prede per murene, gronghi e cernie.
Sono ben due gli esemplari di Magnosa o Cicala greca (Scyllarides latus) che riusciamo a scorgere, a poca distanza l’uno dall’altro. Si tratta di un crostaceo dalle abitudini notturne, lungo fino ad una quarantina di centimetri per un paio di chili di peso, che è considerato particolarmente prelibato ma che, in quanto corre pericolo di estinzione, è sottoposto a particolare tutela, tant’è che quelli posti in vendita nelle nostre pescherie provengono dall’estero, dove la loro pesca non è soggetta a restrizioni e vengono venduti a prezzo più caro anche delle aragoste e degli astici di cui sono parenti.
L’incontro notturno più suggestivo e coinvolgente è stato certamente il penultimo in ordine cronologico, con protagonista un pesce predatore, non a caso definito il re del mare, il Dentice (Dentex dentex) che di solito riusciamo a vedere solamente di sfuggita in quanto appena “fiuta” un essere umano si tiene alla larga allontanandosi alla velocità della luce. Questa volta, invece, un grosso esemplare della lunghezza di ben più di mezzo metro ed un peso presunto di almeno una mezza dozzina di chili, che stazionava alla base del costone roccioso in compagnia di una bella Triglia di scoglio (Mullus surmuletus), non solo non è fuggito via, ma se ne è stato tranquillo e senza manifestare, almeno in apparenza, alcun disagio, tant’è che siamo stati noi, dopo alcuni minuti di reciproca osservazione, ad allontanarci lentamente, quasi con rimpianto. Non so se abbia un istinto così sviluppato dal sapere intuire e discernere le intenzioni più o meno bellicose che animano il subacqueo che si trova a fronteggiare e spero, sinceramente, per il suo bene, che non mostri altrettanta confidenza e fiducia, oltre un briciolo di strafottenza, verso chi si cala in acqua munito di fiocina e fucile subacqueo.
Proprio poco prima di risalire in superficie, a pochi metri di profondità, sbirciando in una fessurazione della roccia colonizzata da coralligeno, abbiamo scoperto e potuto immortalare in uno scatto un bell’esemplare di Gamberetto meccanico (Stenopus spinosus), detto anche Alifantozza rosa, un crostaceo il cui corpo di colore rosso-arancio è lungo pochi centimetri, ma è dotato di lunghissime antenne bianche e di un paio di chele che, per forma, ricordano le tenaglie di un meccanico, e questo ne spiega il nome; anche il fatto che quando si muove pare che lo faccia a scatti rende onore al suo nome comune. Questo gambero Passa la vita in ambienti bui e lascia la tana, per avventurarsi all’esterno dell’anfratto solamente nel pieno della notte, quando va in cerca di vermetti, larve, piccoli molluschi e minuscoli crostacei di cui si nutre e cerca a sua volta – nella perenne lotta per la sopravvivenza che anima tutte le bestie selvatiche anche se non soprattutto quelle chi vivono in fondo al mare, di non divenire, a sua volta, nutrimento per altri animali.
Questi che abbiamo provato a descrivere sono solo alcuni degli animali marini, più o meno comuni, che abbiamo incontrato nel corso di una singola immersione notturna nel mare di Brindisi quando, essendo tutto più quieto e tranquillo, ci è stato possibile davvero mettere il nostro naso a pochi centimetri da loro, incrociando i loro sguardi e riuscendo quasi a captarne, umanizzandole, le loro sensazioni.