Un caffè per il commissario Merlo – Racconti al balcone

Furono anticipati dall’arrivo di un’auto che si arrestò davanti a loro. Ne uscì una donna che si precipitò nella casa del morto. Un agente cercò di trattenerla senza riuscirci. La seguirono dentro. La figlia era ferma sull’uscio, con le mani che le coprivano la bocca. Fusco le poggiò una mano sul braccio e la accompagnò a sedersi su una poltroncina del salone. Le chiese se volesse dell’acqua ma lei si schermì. “Chi ha fatto questo” chiese. “Stiamo indagando, signora” disse Fusco, “lei sa se qualcuno poteva avercela con suo padre?”. Scosse la testa con violenza: “Deve essere stato qualche balordo, qualcuno che si è approfittato di un povero vecchio. Avete visto se hanno rubato qualcosa? Teneva i soldi nel cassetto del comò. Gli ho detto tante volte che doveva trovare un nascondiglio più sicuro, ma niente. Non è servito neanche fargli fare l’accredito in banca, così prendeva poco per volta. Doveva tenere sempre la scorta per gli imprevisti. Che per lui erano la visita dei nipoti. All’uscita dalla scuola, certe volte passavano dal nonno, lo sapevano che gli allungava sempre qualcosa. Chi gli doveva volere male?”. Nel frattempo, era arrivato anche il marito.
“Sono riuscito a parcheggiare”, spiegò, sedendosi accanto alla moglie, “chi l’ha trovato?”. “La signora della porta accanto” disse Merlo. “Ecco, quella ficcanaso, sempre qui dentro. Figurati se non continuava ad approfittare di quel poveretto. Si sentiva la padrona solo perché lo conosceva da quando era bambina”. I due ispettori si scambiarono una rapida occhiata ma non lo interruppero. “Voleva vendere la casa, ma senza quella di mio suocero non valeva niente e finché campava nessuno si sarebbe sognato di portargliela via”. “E voi come la pensavate?” intervenne Fusco, “con due figli, l’università, qualche soldo conveniva anche a voi”. La moglie afferrò il polso del marito: “Noi ce la caviamo, non abbiamo bisogno dell’aiuto di papà. Ve l’ho detto, era testa dura. Gli ho chiesto tante volte di venire a vivere con noi. A Mesagne si sta bene, piccola ma ci sono tante cose da fare, anche per lui. Però non voleva lasciare casa sua”. Gli addetti della mortuaria si affacciarono sulla porta. “Il dottore ha detto che possiamo portar via il cadavere” disse quello più alto. Merlo lo riconobbe, anche se era bardato come un astronauta. Lo salutò con la mano, prima di seguirlo in cucina. Un agente era impegnato a fotografare la scena, si interruppe vedendolo: “Il medico legale è andato via, aveva fretta. Dice che è una sola coltellata, anche se ci sono graffi sospetti intorno e nessun segno di difesa. Vi farà sapere. C’è una cosa strana.
Nella foto accanto al comodino c’è una donna, penso possa essere la moglie. Ma nello studio stava dipingendo il ritratto di un’altra persona, con al collo la stessa collana”. Merlo annuì, gli piaceva chi aveva spirito di osservazione. Si augurò che l’agente avesse voglia di fare carriera. Entrò nella camera da letto e prese la foto, poi uscì nel cortile. Qualcuno aveva versato dei croccantini in una ciotola e ora il gatto era intento a leccarsi i baffi. Lo studio era un prefabbricato di legno, grande quanto un ripostiglio. In un angolo era stato ricavato un piccolo lavello, nel quale c’era un barattolo pieno di pennelli. Uno sgabello striato da vari colori era davanti al cavalletto. Il ritratto era quasi finito. Una donna di una età indefinita, di quelle alle quali attribuire quell’orribile definizione di giovanile. Probabilmente una sessantina d’anni, forse di più. Il tocco dell’artista poteva essere stato generoso, pensò Merlo. Al collo aveva una catena d’oro piuttosto spessa con un medaglione raffigurante un cupido alato. Lo confrontò con la foto, era identico. Tornò in casa. Il corpo era stato rimosso. La figlia piangeva. Aspettò che si calmasse. “Vorrei mostrarle una cosa” le disse. La donna lo seguì, accompagnata dal marito e da Fusco. Le lacrime scomparvero di fronte al dipinto, ma le labbra continuarono ad essere serrate. “Sa chi è?”, chiese Merlo. “No, mai vista”. “La collana è della sua famiglia?”. “Di mia madre. Era il regalo che le aveva fatto quando sono nata io. Non ha mai voluto darmela. Quando muoio, diceva, allora potrai avere tutto. Dovrebbe essere nel portagioie sul comò”. Fusco si allontanò. “Non c’è”, disse dopo pochi minuti. La donna si precipitò in camera da letto, cominciò a frugare nei cassetti. Qualcosa di impercettibile spinse Fusco a chiedere al marito: “E lei la conosce?”. Un’esitazione: “Mi sembra di averla vista insieme a mio suocero, ero venuto a prenderlo per il pranzo della domenica. Uscivano dalla chiesa”. “Deve averla osservata bene” incalzò Fusco. “Sembravano in confidenza, mi ero incuriosito”. “E suo suocero cosa le ha detto?”. “Cosa doveva dirmi? Io non gli ho chiesto niente, ma lui mi ha spiegato che era un’amica, frequentavano la parrocchia, cose benefiche, comitati. I vecchi devono distrarsi in qualche modo, no?”. “Perché non mi hai detto niente?” intervenne la moglie. “Che dovevo dirti? Non mi sembrava importante”. “Intanto magari quella ha la collana mia. Come si può fare a rintracciarla?” chiese, rivolta a Fusco. “Di questo non si deve preoccupare” rispose l’ispettore, “ci penseremo noi”. Li accompagnò fuori dalla casa.
La figlia voleva restare, per non lasciare le cose più preziose incustodite, ma Merlo le disse che dovevano finire i rilevamenti del caso e che l’avrebbero avvisata solo al termine. “Avete trovato il cellulare?” chiese Merlo, rientrando in cucina. L’agente aveva finito di fotografare la scena, prese una busta di plastica sigillata e gliela porse. “Avevo pensato di preservarlo per le impronte”, il tono era esitante. “Ben fatto” lo rassicurò Merlo, “dobbiamo controllare le ultime chiamate e te lo restituisco”. Non c’erano molti numeri in rubrica, ma la cronologia riportava con molta frequenza il nome Tilde. “Ogni mattina e ogni sera da qualche mese, poi si interrompono una decina di giorni fa. Molto più di una conoscenza da oratorio” commentò Fusco. “Luigi? Ti avevo chiesto di non chiamarmi più”, la voce dolce contrastava con le parole pronunciate. “Buongiorno signora, sono l’ispettore Fusco della Questura di Brindisi, potrei sapere con chi parlo?”. Le accennò ad un problema generico e le chiese il nome e l’indirizzo.

(2 - Continua)