Proiettili, spari, un incendio e un gambizzato: 4 episodi in 8 giorni. E un solo filo conduttore

Prima, il 18 ottobre, la gambizzazione di Enrico Colucci; due giorni dopo, l’incendio dell’auto di Vincenza Passaseo, sorella del pentito Scu Giuseppe Passaseo; il 21 ottobre è la volta delle fucilate contro il bar Café Monik di Vito Passaseo, fratello dello stesso collaboratore di Giustizia. Ora, i proiettili in busta chiusa destinati al pubblico ministero Milto De Nozza, al capo della Squadra mobile Alberto Somma, all’ispettore della sezione antiracket Giancarlo Di Nunno e a un terzo poliziotto.

Una scia di intimidazioni che non ha precedenti nella storia recente brindisina. Certo, scavando, nemmeno troppo in profondità, affiorano omicidi, attenti, incendi, danneggiamenti. Ritorsioni e vendette di ogni tipo. Ma non si ha memoria di una serie così impressionante e martellante di episodi. Quattro avvertimenti dal chiaro timbro mafioso, in una sola settimana. E, da quel che sembra emergere, tutti legati da uno stesso filo rosso. Dietro ogni episodio si allunga infatti l’ombra di una ben precisa vicenda criminale brindisina: quella culminata con l’operazione antimafia denominata “Berat”, che nel 2007 portò in carcere i fratelli Giovanni e Raffaele Brandi, Viktor e Arben Lekli, Giuseppe Gerardi, Franco Contestabile e altri presunti membri di un’associazione di tipo mafioso dedita alle estorsioni e al traffico di droga.

Il processo si è chiuso in primo grado con pesanti condanne (fino a 16 anni di reclusione) inflitte ai presunti capi e manovali del sodalizio. E, prima coincidenza, proprio in questi giorni, il 18 ottobre scorso, si sarebbe dovuta tenere la seconda udienza del processo d’Appello, poi rinviata al prossimo 8 novembre.  E proprio il 18 ottobre l’ex contrabbandiere Enrico Colucci viene ferito alla gamba da un colpo di pistola. Colucci è tra le persone arrestate e poi condannate (a 10 anni di reclusione) nel processo Berat. Non solo. Titolare del fascicolo nel giudizio a carico dei fratelli Brandi e soci è il pubblico ministero Milto De Nozza: lo stesso Milto De Nozza destinatario dei proiettili intercettati nei giorni scorsi a Bari.

Fu lui a chiedere di condannare a pene ben più pesanti di quelle poi inflitte dal tribunale i sodali del clan. A chiudere il cerchio ci sono gli attentati di lunedì e mercoledì ai danni di Vincenza e Vito Passaseo: auto incendiata e fucilate contro il bar. I due sono il fratello e la sorella di Giuseppe Passaseo, collaboratore di Giustizia, le cui dichiarazioni rese ai magistrati sono state utilizzate nel processo Berat contro l’associazione criminale capeggiata dai fratelli Brandi.

Agli inquirenti Passaseo ha raccontato di essere stato affiliato alla Scu col grado di “camorrista”. “Sono stato nel gruppo a partire dal ’97 e sono stato affiliato a Pasquale Santoro che apparteneva ad Antonio ‘patana’ di Tuturano (alias di De Nicola, condannato all’ergastolo). Santoro era fratuzzo di Toni Miccoli di Cellino San Marco. Sono stato affiliato poi con Roberto Attanasi, detto l’americano e con Francesco Campana, a ottobre-novembre 2009”. Campana sarebbe stato legato a Rogoli e in nome dei vecchi tempi avrebbe rispolverato i contatti e gli incontri con la famiglia Buccarella.

Riguardo ai fratelli Brandi, ai loro presunti sodali e alle attività estorsive svolte Passaseo ha raccontato quel che ha visto e vissuto in prima persona: “Personalmente sono andato a chiedere soldi al titolare di una sala giochi di Brindisi che si trova giù al porto e ci sono andato per conto di Francesco Campana e quello (il titolare, ndr) mi disse che continuava a fare il pensiero ai Brandi”. “Riferii – si legge nel verbale – a Francesco Campana quanto mi era stato detto e lui imprecò nei confronti dei Brandi che, nonostante fossero tutti detenuti, ancora continuavano a percepire soldi”.

Parole e circostanze che da sole confermerebbero le attività criminali svolte dai due fratelli e dal sodalizio che avrebbe fatto loro capo. Ma Passaseo va oltre, descrivendo nel dettaglio il gruppo: “E’ composto innanzitutto dai fratelli Giovanni e Raffaele Brandi, è formato inoltre da Enrico Colucci, poi ci sono gli altri che affiancano, tipo Mario Andriola e il fratello di Gerardi, Cosimino presumo che si chiami”. E ancora: “Nel 1999 ci fu un incontro, diciamo un meeting, ci incontrammo io, Pasquale Santoro, Tonino Luperti buonanima, Giovanni Brandi per conto del fratello Raffaele, Gianfranco Presta in rappresentanza di Salvatore Buccarella, al distributore di carburanti”. In quella riunione, secondo Passaseo, si decise che i mesagnesi non dovevano entrare a Brindisi. “Quando parlo dei mesagnesi, mi riferisco a Massimo Pasimeni, D’Amico, lu neru e altri del loro gruppo”. I brindisini invece erano quelli di Francesco Campana.

Dichiarazioni quelle di Passaseo che, assieme alle prove raccolte e approdate in dibattimento, hanno avuto un loro peso nella sentenza di condanna. Ma il processo è tutt’ora in corso. L’appello è alle sue battute iniziali e tutto può ancora cambiare fino al pronunciamento definitivo della Cassazione. Magari inducendo qualcuno, con le buone e le cattive, ad abbassare il tiro, a chiudere la bocca. E perché no, a ritrattare. Ma queste sono solo supposizioni.

Emilio Mola