Bagagli razziati in aeroporto: vigilantes a processo

Si dirama lungo tre direttrici diverse il cammino giudiziario di sette dei nove indagati finiti agli arresti domiciliari nell’aprile del 2012, accusati d’aver razziato e svuotato i bagagli di alcuni passeggeri all’interno dell’aeroporto di Brindisi. Si tratta di sei guardie giurate dell’Ivri e di un operaio aeroportuale della ditta Oasis filmati a loro insaputa da una telecamera nascosta dagli investigatori mentre s’intascavano contanti, profumi, cellulari e perfino cartoline trovati nei bagagli che avrebbero dovuto solo controllare per ragioni di sicurezza.

La brindisina Cinzia Angolano, 38 anni, assistita dagli avvocati Gianvito Lillo e Vito Epifani, ha optato per il rito abbreviato, così come la collega Antonella Negro, 26 anni, anche lei di Brindisi, (legale Marcello Petrelli); Donato Tasco, 46 anni, difeso dall’avvocato Marcello Manfreda ha invece avanzato richiesta di patteggiamento col pm Milto De Nozza titolare dell’inchiesta per un 1 e 10 mesi di reclusione.
Rito ordinario infine per gli altri tre imputati Antonio Binetti, 38 anni di Brindisi; Andrea Torino, 24 anni di Brindisi; Claudio Malvaso, 34 anni di Mesagne e Antonio Lazzoi, 27 anni di Brindisi, tutti difesi dagli avvocati Livia Orlando, Santo Giorgio Dellomonaco, Giuseppe Negro, Rolando Manuel Marchionna e Danilo Di Serio. Per loro il processo avrà inizio il 2 aprile.

I fatti contestati si sono svolti fra il 12 luglio e il 15 agosto del 2011. In quelle quattro settimane, 5 furti andarono a segno e 4 fallirono. Fuori dall’elenco un decimo “colpo” da 12 mila euro risalente al febbraio del 2009 ai danni di un viaggiatore cinese, scoperto solo due anni dopo grazie a un’intercettazione ambientale.
I vigilantes, secondo quanto accertato dagli inquirenti, agivano due per volta: un “palo” teneva d’occhio l’ingresso della stiva, l’altro, chiuso all’interno dello stanzino, apriva i bagagli e rovistava indisturbato a caccia di beni di valore.

Stando a quanto ricostruito le guardie giurate puntavano solo ai bagagli da imbarcare, scelti dopo una prima cernita operata attraverso il “radiogeno computerizzato”. Il filtro serviva a individuare le valige interessanti dalle altre. Puntate le prede i vigilantes, spesso con l’aiuto di un operatore portuale, passavano al prelievo dei bagagli che, una volta portati nella stiva, venivano controllati e svuotati, prima di essere nuovamente chiusi e riposti sul nastro trasportatore.

Il gruppo operò con una certa ingordigia, senza curarsi del rischio che così tanti furti avrebbero finito per destare i sospetti di qualcuno, e le indagini di qualcun altro. E così fu. Raccolta una fitta mole di denunce la polizia passò all’azione, piazzando all’interno della stiva due mircocamere e altre “cimici”. Il resto venne da se. Ignari degli occhi e delle orecchie elettroniche che li spiavano, le guardie continuarono a rovistare tra i bagagli. Soprattutto in quelli appartenenti a passeggeri cinesi: solitamente gravidi di denaro, la cui scomparsa veniva raramente denunciata. Ma oltre ai contanti i vigilantes non disdegnavano monili, collane, preziosi di ogni genere e fattura, profumi, telefoni cellulari con annessi i caricabatterie.

Poi, il 15 agosto, la svolta. Uno degli agenti di polizia privata notò la microcamera nascosta dagli investigatori. E come d’incanto, da allora, s’interruppe la catena di furti. Il 17 aprile del 2012 successivo, scattarono le manette.