Il vero rischio è l’assuefazione, la resa, la disposizione d’animo a considerare tutto questo come “normale” e farci il callo. Ma non c’è nulla di “normale” in quello che sta accadendo da mesi a Brindisi. Quindici rapine in appena due mesi hanno poco di “fisiologico”, di statisticamente accettabile. Sono semplicemente troppe.
Quella messa a segno domenica sera alla Conbipel è stata solo l’ultimo anello di una catena che si allunga ogni giorno di più. Mercoledì mattina un’anziana costretta sulla sedia a rotelle si è trovata in casa due uomini incappucciati e armati di pistola in via Farinata degli Uberti, che l’hanno rapinata dei soldi e dei gioielli che aveva con sé. Poco più tardi, in via Porta Lecce, a due coniugi di ritorno a casa è toccata analoga sorte. Il 21 ottobre è stata la volta del clamoroso assalto alla Dok a ridosso dell’incrocio della morte, conclusosi con la fuga dei banditi inseguiti da due funzionari della polizia che casualmente si trovavano nello stesso supermercato. Uno dei rapinatori è stato arrestato poche ore dopo; il complice è ancora uccel di bosco.
Due sere prima, le immancabili rapine del sabato sera: prima al “Meta” del rione San Paolo, poi al “Maxi Sidis” del rione Commenda. In entrambi i casi gli autori hanno agito in coppia, armati di pistola e con i caschi calati sulla testa. E non sono stati nemmeno i soli assalti del 19 ottobre. Quella stessa mattina altri due rapinatori, un uomo e una ragazza, hanno fatto irruzione nella gioielleria “Della Rocca”. Polizia e carabinieri sono però arrivati prima che potessero fuggire, arrestandoli in flagranza di reato.
L’11 ottobre è stato il turno dell’Eurospin di via Monte Sabatino, il 9 ottobre della Dok del rione Bozzano, il 5 ottobre della pizzeria Santa Chiara.
Impressionante anche l’elenco di assalti messi a segno a settembre, con la sequenza di rapine inanellate dalla cosiddetta “banda dello scooter” che il 10 ha fatto irruzione – uscendone però a mani vuote – nella macelleria Leo di viale Aldo Moro. Riusciti invece i successivi colpi del 14 settembre al “Metà” di Largo Angioli; del 18 ad “Acqua e Sapone” di viale Aldo Moro; del 20 all’Eurospin di via Enrico Fermi.
Le rapine, si sa, creano allarme sociale, sono violente, improvvise, messe a segno da individui senza volto, armati, dai nervi tesi o saldi – difficile capire chi faccia più paura – nelle intenzioni pronti anche a premere il grilletto. Si consumano sotto gli occhi terrorizzati di più persone, spesso di intere famiglie in coda alla cassa, nei discount, nei negozi, nelle macellerie, nelle tabaccherie, valicando i confini del privato per divenire pubbliche. Le rapine si vedono e si raccontano. E sono per questo uno dei principali termometri di quel che accade in una comunità.
Sono gli zampilli che affiorano in superficie di un fiume carsico ben più imponente e nascosto che scorre tumultuoso sotto la città, consumandola, corrodendola, svuotandola.
Un fiume imponente fatto di furti, di appartamenti svaligiati, di auto rubate, di dosi di droga cedute agli angoli delle strade o davanti ai locali, di estorsioni, di ritorsioni, di usura, che restano per lo più nell’ombra. Non si vedono, ma ci sono. Se quindi a fare da contorno a questa impressionante sequenza di rapine fosse raccontato anche quel “resto” che rimane sottaciuto, allora sarebbe più chiara, cristallina, l’emergenza in atto.
Basti pensare a quanto accaduto solo poche ore fa nel cinema Andromeda. E’ stato necessario che i ladri colpissero noette tempo la più grande multisala della provincia, calandosi dall’alto e uscendone con in dote 100mila euro chiusi in una cassaforte perché il colpo assurgesse agli oneri della cronaca. Ma tanti altri, con altrettante vittime, si consumano ogni giorno.
Le forze dell’ordine e la magistratura fanno quel che è nelle loro possibilità. Lo fanno bene. Ci sono e lo dimostrano. Ma non hanno la possibilità di intervenire prima che un reato sia consumato, soprattutto con le poche risorse e mezzi a disposizione. La prevenzione è altra e più articolata materia. La concomitanza di questa recrudescenza con l’aumento della disoccupazione, la violenza strisciante della crisi economica fotografata proprio dalla miriade di cartelli “vendesi” e “affittasi” posti agli ingressi delle attività commerciali vuote, non è un caso. Così come non lo è la posizione sociale di chi finisce nella rete della giustizia per furti e rapine. Forse è lì che bisognerebbe agire. Il prima possibile.