Roma affonda. In mare e a terra

di Giancarlo Sacrestano

L’armistizio firmato a Cassibile, in provincia di Siracusa, il 3 settembre, era costituito di 13 condizioni, tutte dettate dalla volontà degli anglo americani. Nel testo non si fa menzione ad alcuna delle esigenze che il Re e Badoglio, attraverso il generale Castellano, ritenevano imprescindibili per intraprendere con i nuovi alleati una guerra contro i vecchi e temuti alleati tedeschi.

Il cambio di casacca, comportava solo doveri e non tutti, perché altri se ne sarebbero aggiunti, così come espressamente riportava il testo della dodicesima condizione.

La tredicesima condizione, ovvero quella che l’armistizio sarebbe stato reso pubblico solo dopo l’approvazione del comando supremo delle forze anglo-americane, contiene in sé la mina vagante della paura. Nessuna data e nessuna ora. Inutile il tentativo, risultato estremo, di garantire almeno Roma, la capitale, per cui gli alleati si erano resi disponibili ad una particolare azione di sostegno attraverso il lancio di almeno duemila paracadutisti. Gli italiani, attraverso il generale Carboni – capo del corpo d’armata a presidio della capitale, ma anche indecifrabile capo dei servizi segreti militari italiani – dichiaravano la loro impotenza. Non disponevano neppure di quelle forze su Roma, di copertura necessarie ai lanci.

La posizione del generale italiano viene letta come l’ennesimo tentativo di prendere tempo; gli alleati sospendono quindi l’iniziativa di lancio di paracadutisti, prevista da lì a poche ore ed annunciano via radio  l’esistenza di un armistizio tra le forze anglo americane e l’Italia.

8 settembre 1943, ore 18,30 – Algeri gli alleati annunciano l’armistizio dai microfoni di Radio Algeri.

8 settembre 1943, ore 18,35 – Palazzo del Quirinale, Roma – Il re, dopo aver letto un bollettino della Reuters, decide di confermare l’annuncio degli americani.

8 settembre 1943, ore 18,42 – Roma – Il Presidente del Consiglio, Pietro Badoglio, legge a la radio l’annuncio dell’armistizio con gli alleati anglo-americani.

L’ora che segna lo strano orologio della storia è quella della confusione più totale. L’Italia è senza una direzione. Il re deve lasciare Roma. Il governo pure, ma neanche le alte cariche militari si sentono al sicuro e scappano pure loro. A capitale conta a sua difesa almeno 60mila soldati italiani, i tedeschi 24mila. Nessuno comanda, nessuno coordina. Dopo due giorni di scontri per le vie cittadine, la città viene occupata dai tedeschi.

Se la confusione regna in Italia, è la morte che invece è la vera signora di questo tempo. Dolore e morte dispensate con munificenza, sono il binomio costante della guerra, di ogni guerra.

(NdR) – “Se questo ricordo dei fatti trascorsi 70 anni fa, ha valore, è solo perché in essi si raccontano e si riuniscono valori ed affetti che fondano il nostro Paese. Dalla fine della II guerra mondiale, l’talia ha partecipato e con onore, a decine di missioni di pace e con i suoi uomini in divisa o con volontari, ha portato nel mondo un modello di affidabilità e di professionalità tra i più prestigiosi. Nel dare scrittura al ricordo della tragedia che coinvolse la corazzata “Roma” oltre che orgoglio della marina, luogo di vita professionale per migliaia di marinai, voglio ricordare che a quella classe di professionisti, seri e preparati, di cui ci fregiamo, appartengono i due fucilieri della Brigata Marina San Marco di stanza a Brindisi Massimiliano La Torre e Salvatore Girone, ancora oggi, trattenuti in India”.

Qualche ora prima dell’annuncio via radio dell’armistizio, l’ammiraglio Raffaele De Courten, capo di stato maggiore della regia marina, informa telefonicamente l’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante delle forze navali da battaglia delle condizioni previste dal trattato e che le navi presenti a La Spezia e Genova, per sottrarsi al prevedibile imminente contrattacco tedesco, dovevano lasciare i porti italiani per raggiungere Malta e mettersi a disposizione delle forze alleate anglo-americane. Durante il trasferimento, le navi non avrebbero dovutoammainare il vessillo nazionale, ma innalzato, in segno di resa, pennelli neri sui pennoni e disegnato due cerchi neri sulle tolde.

L’ammiraglio avverte che per accordi presi con gli alleati, la flotta avrebbe fatto scalo a La Maddalena, dove avrebbe trovato il Re.

Della squadra navale ancorata a La Spezia, comandata dall’amm. Carlo Bergamini, fanno parte le corazzate “Roma”, “Italia”, “Vittorio Veneto”, gli incrociatori “Eugenio di Savoia”, “Montecuccoli”, “Attilio Regolo”, i cacciatorpediniere “Legionario”, “Grecale”, “Mitragliere”, “Fuciliere”, “Carabiniere”, “Velite”, “Artigliere”, “Oriani” e le unità in avanscorta “Pegaso”, “Orsa”, “Orione”, “Impetuoso”.

Della squadra navale ancorata a Genova, al comando dell’ammiraglio Luigi Biancheri, fanno parte gli incrociatori “Garibaldi”, “Duca D’Aosta”, “Duca degli Abruzzi” e la torpediniera “Libra”.

8 settembre 1943, ore 23,45 – Roma – Supermarina ordina alle navi di La Spezia e Genova di salpare immediatamente per La Maddalena.

9 settembre 1943 ore 3,13 – L’ammiraglio Bergamini emana l’ordine: “A tutti, Salpate!”.

9 settembre 1943, ore 13,00 – mentre le navi attraversano le Bocche di Bonifacio, arriva la notizia che il porto di La Maddalena è occupato dai tedeschi.

9 settembre 1943 ore 15,42 – La corazzata “Roma” viene colpita da una prima bomba PC-1.400X nella parte centrale.

9 settembre 1943 ore 15,52 – una seconda bomba PC-1400X determina i danni irreparabili.

9 settembre 1943 ore 16,11 – La corazzata, così gravemente colpita, si capovolge spezzandosi in due tronconi che affondano verticalmente.

Muoiono 1393 uomini accomunati in un abbraccio eterno che stringe tutti partendo dal loro comandante l’Ammiraglio Carlo Bergamini per giungere all’ultimo della lista, ma solo per ordine alfabetico, il segnalatorre Zeuna Antonio. 

 

28 giugno 2012, nel golfo dell’Asinara a 1.000 m di profondità ed a circa 16 miglia dalla costa sarda, viene rinvenuto il relitto della corazzata “Roma”.

 

La prossima puntata sarà pubblicata martedì 10 settembre