“Mia figlia, uccisa dalla Sacra corona perché voleva distruggerla”

di GIANMARCO DI NAPOLI

BARI – Marisa Fiorani tiene stretta tra le mani una vecchia agenda. Marcella Di Levrano, la sua secondogenita, non se n’era separata mai. Sino a quel giorno, l’8 marzo 1990, festa della donna. Marcella scomparve e la ritrovarono qualche giorno dopo in un bosco tra Brindisi e Mesagne, con il volto sfigurato a colpi di pietra.
Ora Marisa è tornata in Puglia, per raccontare la figlia, quasi un quarto di secolo dopo, per la prima volta. Ha scelto Bari perché forse per Mesagne è troppo presto, la ferita sanguina ancora ma tornerà presto, laddove tutto iniziò e tutto finì. Lo fa invitata da “Libera contro le mafie”. L’associazione fondata da don Luigi Ciotti è riuscita a far inserire proprio in questi giorni il nome di Marcella nell’elenco del ministero dell’Interno che comprende le vittime di mafia, dando un senso a quella morte. Quando viene uccisa una tossicomane si ha fretta di chiudere il fascicolo, di voltar pagina, una drogata in meno, una storia da dimenticare.
Ecco, la mamma racconta un’altra storia. Quella di una ragazza che cercava disperatamente di uscirne e che va incontro, forse consapevolmente, alla morte. E che ogni mattina scriveva sul calendario a casa della nonna: “Signore, aiutami”.
La vita di Marcella e delle due sorelle cambia nel 1968 quando la madre decide di lasciare il marito: una decisione inconcepibile in quegli anni in un paese di rigida cultura contadina. “Era l’unico modo per salvare me e le mie figlie da un uomo violento e per dare loro la possibilità di avere una cultura. Dovetti prendere le distanze non solo da lui, ma anche da mio fratello che non mi perdonò quella scelta”.
Marisa si trasferisce con le tre bambine a Torchiarolo, dove trova lavoro in fabbrica. “Marcella aveva undici anni e restava spesso a Mesagne con i nonni. Mio padre era sulla sedia a rotelle per un incidente e lei era la sua compagnia giocosa. Poi ci fu una tragedia: mio fratello Attilio morì a 24 anni di incidente stradale e a casa dei miei mi fecero capire che il lutto non era più compatibile con l’allegria della bambina. Me la portai a Torchiarolo e poco dopo ci trasferimmo tutte a Brindisi.
Il calvario di Marcella comincia a 15 anni: “Andava al Magistrale e un giorno non tornò a casa. La cercammo dappertutto e quando la trovammo non era più lei”. Marisa Fiorani racconta di corse in ospedale, lavande gastriche, promesse di smettere e poi il ritorno al buco. “Chiesi aiuto al maresciallo dei carabinieri di Torchiarolo perché mi trovai in casa uno con una faccia terribile, mi dissero che era della Sacra corona unita. Ma il maresciallo mi disse di lasciar perdere, che non ne valeva la pena”.
Nel 1984 sembra che tutto possa cambiare: “Mi disse che era incinta, ma anche che il suo ragazzo non voleva quel figlio. Decise di tenere lo stesso il bambino anche se sapeva che non sarebbe stato facile per entrambi”. E finalmente Marisa apre quell’agenda che aveva tenuto stretta tra le mani e legge un pezzo del diario di Marcella. È il momento di maggiore commozione. Nella sala Murat di piazza del Ferrarese, nel cuore di Bari, quelle parole risuonano malinconiche e sinistre. (Clicca qui).
La nascita di Sara cambia per un po’ la vita di Marcella ma è solo una breve parentesi. Torna a bucarsi, a frequentare le solite compagnie, prigioniera della ricerca disperata della dose. “Aveva cercato il padre della sua bambina ma lui l’aveva cacciata a pedate. Riprese a drogarsi e a quel punto non ce la feci più. Trovai lavoro a Padova. Dissi a Marcella di raggiungermi con la bambina. Ma non venne mai. Dopo un mese era di nuovo fuori di sė, le tolsero la figlia e la diedero in affidamento a Rita, la sorella maggiore. L’ultima volta che la vidi viva fu a capodanno dell’87. Alla fine del 1989 chiamai a casa di mio fratello e me la passarono: “Mamma, qua si stanno ammazzando tra loro ma io non c’entro niente. Vado in comunità a disintossicarmi e mi riprendo Sara. Andò in ospedale ma poi scappò via di nuovo”.
Marcella sapeva che era in pericolo: “Aveva deciso di parlare con i carabinieri, andava in caserma, a Mesagne, e raccontava tutto. Ma non le davano nessuna protezione. E quelli avevano capito che andava lì ad accusarli. L’hanno lasciata sola”.
La ragazza sparisce a 26 anni l’8 marzo 1990: “Quando andammo a denunciarne la scomparsa in caserma ci dissero non vi preoccupate, tanto poi tornano, quasi a dire è la solita drogata. Io invece capii che prima di uscire da casa sapeva che non sarebbe più tornata. Aveva lasciato la borsa e questa agenda dalla quale non si separava mai”.
Marcella Di Levrano venne trovata con la testa fracassata in un bosco tra Brindisi e Mesagne. “In obitorio, accanto al suo corpo mi lasciarono la pietra con la quale l’avevano uccisa. C’erano ancora il suo sangue e i suoi capelli. Era quello il modo di fare le indagini? Il magistrato mi disse: se abbiamo notizie la chiamiamo per telefono. Me ne andai a Milano e mi portai la bambina. Aspetto ancora quella chiamata, 24 anni dopo”.

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