Chiese aiuto al boss per proteggere la sua rivendita, poi lui voleva diventarne il padrone: il retroscena dei 5 arresti

Delle due l’una: o la malavita brindisina è finita così in basso che colui il quale viene indicato dai pentiti come un personaggio di spessore legato alla Sacra corona unita è ridotto talmente male da incaponirsi, esponendosi in prima persona,  per impossessarsi di un chiosco di fiori. O dietro c’è una storia più complessa che è finita a carte quarantotto perché questa gente vive di metodi spicci e di violenza. E per chi minaccia, pesta e ricatta il carcere resta l’unica medicina.

Vi è finito Donato Borromeo, 41 anni, da almeno venti protagonista delle cronache (nere) di questa città. Era ai domiciliari in casa della compagna, Serena Lorenzo, di 27 anni, arrestata con lui questa mattina. In manette anche il fratello più grande di Borromeo, Giovanni, 45 anni, insieme a Luca Ferrari, 38 anni, ex marito della fioraia vittima delle estorsioni. E infine Francesco Palma, 36 anni, “scudiero” di Borromeo.

Gli arresti sono stati eseguiti questa mattina dai poliziotti della Digos e dai carabinieri del Nucleo investigativo del reparto operativo di Brindisi. Le accuse sono di associazione per delinquere finalizzata a rapina ed estorsione, aggravata dal metodo e dalle finalità mafiose.

La storia è vecchia quanto la rivendita ambulante “Piante e fiori” aperta nel 2010 in via Ticino, alle spalle del cimitero comunale. La proprietaria ha raccontato che sin da subito cominciarono le minacce da sgherri inviati da boss mesagnesi della Scu affinché lasciasse la bancarella.

Attraverso colui il quale all’epoca era il marito, Luca Ferrari, dipendente della Monteco, invece di rivolgersi alla polizia o ai carabinieri, aveva fatto contattare Donato Borromeo (anch’egli dipendente della ditta per la raccolta dei rifiuti, ma soprattutto noto negli ambienti della mala) perché intervenisse a tutela della rivendita.

Borromeo si mise immediatamente in azione, i mesagnesi scomparvero e la fioraia e Ferrari ripresero a lavorare serenamente. Ma non essendo il pregiudicato un benefattore, non trascorse troppo tempo che passò all’incasso. Prima chiese un “premio” di 300 euro, poi varie forniture gratuite di fiori che ritiravano puntualmente la donna del capo (Serena Lorenzo) e parenti vari. Poi iniziò a chiedere un obolo mensile di 50 euro e quando Borromeo finì in carcere, la convivente costrinse la fioraia a recarsi con lei presso un negozio d’abbigliamento intimo per rifornire di biancheria il proprio uomo. Spese 500 euro che dovette pagare a rate. Indumenti solo di marca perché – spiegava la Lorenzo – Donato usava solo  mutande griffatissime.

Piante e fiori in omaggio, biancheria e prodotti alimentari da mandare in carcere: man mano che trascorreva il tempo, quell’intervento chiesto a Borromeo costava sempre di più ma ancora il peggio doveva arrivare. Perché, quando uscì dal carcere, si mise in testa di diventare lui il padrone della rivendita di fiori che nel frattempo aveva ottenuto uno dei box realizzati intorno al cimitero.

Spedì Palma e lo stesso Ferrari, che nel frattempo si era separato dalla fioraia, a fare pressioni affinché cedesse gratuitamente la rivendita. Prese a pugni il nuovo compagno della donna, che lavora con lei nel negozio, e arrivò ad impossessarsi della sua corrispondenza, con la complicità di un postino, Marco Schirinzi (denunciato a piede libero).

Il 2 novembre scorso, infine, la rivendita era stata data alle fiamme. Forse avevano saputo che la donna, già nel maggio scorso, aveva denunciato tutti ai carabinieri.

Questa mattina le manette. Le ordinanze sono state firmate dal gip Annalisa De Benedictis ed eseguite all’alba: i quattro uomini sono stati rinchiusi nella casa circondariale di Brindisi, la donna in quella di Lecce.

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