Contro-convention di procura e polizia: la risposta vincente alla teatrale passerella sulla criminalità

di GIANMARCO DI NAPOLI

L’arresto di Alessandro D’Errico (non certo per il modesto spessore criminale del personaggio, ma per l’eco che il suo gesto aveva provocato) e soprattutto la conferenza-stampa che questa mattina è stata tenuta per raccontarne i retroscena, rappresentano la risposta più silenziosamente deflagrante al carrozzone mediatico del “Consiglio comunale contro la criminalità” e ai suoi stereotipati relatori.

Lì, il 28 novembre, si era avuta la presunzione di attribuire alla politica il ruolo di determinare le strategie di una lotta alla criminalità i cui contorni in realtà essa non è nelle condizioni neanche di valutare, con il rischio di fornire all’opinione pubblica una visione eccessivamente allarmistica o quantomeno falsata di quello che sta avvenendo.

Qui c’è stata la concreta risposta di chi a quella passerella mediatica non era stato invitato a partecipare (il questore e gli “sbirri”), o si era volutamente sottratto (il procuratore Dinapoli). Hanno preso l’attentatore del sindaco, e lo hanno fatto attingendo esclusivamente al “bagaglio professionale del poliziotto”, collocando nella giusta dimensione il suo gesto, (un caso di criminalità individuale), un episodio gravissimo ma isolato, escludendo che esista una struttura malavitosa che trami tutta insieme contro la comunità. Pensiero di fondo che invece trasudava dalla convention al teatro Verdi.

Si giocava una partita importante intorno a quell’auto bruciata. Poteva sembrare un attacco frontale alle istituzioni, alle quali in certi periodi può far comodo sentirsi sotto assedio, soprattutto quando a loro volta avvertono la pressione della magistratura. E dunque un clima di allarme sociale, di insicurezza, in cui si chiede a inquirenti e investigatori di dedicarsi con maggiore attenzione alla malavita (anche se questa è ormai ben lontana da quella che segnò questa terra nel ventennio 1980-2000) può dare fiato a una politica e a una pubblica amministrazione che troppo spesso negli ultimi mesi sono state segnate da piccole e grandi disavventure giudiziarie.

Non è stato un caso che la platea del “Verdi” era popolata da personaggi che più o meno recentemente sono stati indagati, o addirittura arrestati, per reati commessi proprio nell’esercizio delle loro funzioni pubbliche. E che battevano i pugni, in quella kermesse, chiedendo una risposta dura alla malavita. Ma qual è la malavita?

Persino l’unico magistrato presente, il procuratore antimafia Cataldo Motta, quello che più di tutti ha contribuito a distruggere la Sacra corona unita nel Salento, leggeva inquietanti verbali in cui si raccontava di antiche alleanze mafiose che sembravano disegnare scenari ormai quasi nostalgici per chi viveva di pane e mafia. Ma che nulla hanno a che fare con la malavita sciatta e disorganizzata di oggi.

Mimmo Consales, dopo l’attentato, si era rivolto ai carabinieri per cercare di risalire all’autore. Ma a catturarlo sono stati i poliziotti della Digos di Vincenzo Zingaro, ossia gli stessi che da due anni indagano su di lui e le cui inchieste lo hanno portato davanti ai giudici.

Ed ecco allora che questa sorta di contro-convention che prende vita in Procura offre uno spaccato completamente diverso. In cui il piccolo criminale si può permettere il lusso di avere in rubrica il numero telefonico del sindaco, di inseguirlo per oltre un anno dopo essersi impegnato per lui (così racconta) nella campagna elettorale, di minacciarlo anche in maniera esplicita senza mai però essere da lui denunciato. “Mi ha concesso appuntamenti in alcuni bar e a palazzo Nervegna”, racconta l’attentatore. “Mimmo mi diceva di non preoccuparmi che si stava adoperando per trovare lavoro”.

Ecco, l’idea che viene fuori dall’arresto di D’Errico e dalle misurate parole del procuratore Marco Dinapoli, è che ci troviamo in una situazione diametralmente opposta a quella messa in scena al teatro Verdi. A Brindisi sembrano esserci una piccola criminalità e una classe politica ancora più piccola, che non vanno a braccetto ma le cui strade spesso si incrociano e qualche volta si sovrappongono. Come in questo caso.

Per questo capita che gli sbirri che danno la caccia agli uni a volte finiscono poi per doversi occupare anche degli altri. E a scanso di equivoci è meglio tenerli a distanza.