Con una condanna definitiva del questore Pietro Antonacci a 15 anni e mezzo di carcere per l’omicidio dello scafista Vito Ferrarese, avvenuto nella notte tra il 13 e il 14 giugno 1995, si chiude per sempre il capitolo più buio nella storia della polizia a Brindisi. E’ stata la Corte di Cassazione, a sezioni riunite, a emettere la sentenza 17 anni dopo gli arresti che sconvolsero l’Italia.
Resta da definire, ma probabilmente si concluderà con una sentenza di non luogo a procedere per sopravvenuta ingiudicabilità dell’imputato, la posizione del questore Franco Forleo, da anni finito nel limbo di una gravissima malattia neurodegenerativa. Da tempo nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il personaggio principale della vicenda, l’ispettore Pasquale Filomena che sta scontando la condanna definitiva a nove anni e due mesi di carcere.
Presto potrebbe essere raggiunto da Antonacci in difesa del quale c’era stata anche una raccolta di firme a Mesagne, la sua città, con la richiesta di tener conto del contesto socio ambientale in cui il delitto avvenne. E si sottolineava che Antonacci era stato insignito della medaglia d’oro al valore civile, un riconoscimento riservato a pochissimi rappresentanti delle forze dell’ordine in vita. Inoltre aveva ricevuto un encomio solenne, 14 Encomi e 14 Lodi, tutti riconoscimenti pere la lotta alla criminalità organizzata del territorio brindisino. Ferrarese fu ucciso da pallottole esplose da un elicottero della polizia che era all’inseguimento dello scafo.
Il processo è stato celebrato due volte in Appello e due in Cassazione. Dopo una infinità di perizie balistiche si è accertato che Antonacci sparò con la mitraglietta M12 e non con la pistola di ordinanza, prelevata abusivamente dal deposito della questura di Brindisi, estremamente potente e precisa nel colpire il bersaglio. E sparò a raffica. Questo ha determinato l’attribuzione dell’aggravante della consapevolezza di uccidere.
I giudici della Corte d’Assise d’Appello ribaltarono le sentenze di primo grado del Tribunale di Brindisi e di secondo grado della Corte d’Assise di Lecce che avevano ritenuto quella di Antonacci, del questore Forleo e delle altre persone che si trovavano sull’elicottero solo una condotta colposa.
Su quell’elicottero c’erano i vertici della questura brindisini ma era stata nascosta la presenza del questore Forleo. Si scoprì poi che non era stato lui a uccidere materialmente lo scafista. Filomena e i suoi uomini avevano provveduto a piazzare una mitraglietta sul motoscafo del contrabbandiere morto per giustificare il fatto che la polizia avesse aperto il fuoco. Antonacci era destinato a diventare uno dei più giovani questore italiani e avviato a una brillantissima carriera. Forleo quando fu arrestato era questore di Milano e sarebbe stato nominato capo della polizia.
Per vent’anni l’avvocato Pino Lanzalone, legale della famiglia Ferrarese, ha combattuto perché venisse riconosciuto che lo scafista non aveva mai sparato contro l’elicottero della polizia e che era stato vittima di un vero e proprio omicidio.
La sentenza della Cassazione pone per sempre fine a quella storia. Ma non la spiega ancora del tutto.