Due sparatorie in 12 ore per liti private: una città che non può essere riconsegnata alla violenza. E stavolta tocca a noi più che alla polizia

di Gianmarco Di Napoli

Una sparatoria alle prime luci dell’alba davanti a un bar affollato di ragazzi che mangiano un cornetto prima di andare a dormire dopo una notte in discoteca, un’altra nel pomeriggio lungo la litoranea, tra genitori e ragazzini in ciabatte inzaccherate di sabbia dopo una giornata al mare: in dodici ore, per due volte, i poliziotti della Scientifica repertano sangue e bossoli sull’asfalto infuocato di luglio. E ciò che sconvolge, ancor più dell’improvviso ritorno alle armi, è il movente che pare abbia innescato entrambe le due azioni criminali: liti banali, forse nate per questioni di donne, o semplicemente per dissidi in spiaggia, alimentati magari dal cocktail di sole e alcol.
Il primo novembre dello scorso anno, per una banale lite nata la sera precedente tra giovani genitori in difesa di figli coccolati con gelati e pistole sul comodino, Mino Tedesco, padre di famiglia e nonno, venne trucidato al rione Sant’Elia e il suo ragazzo si salvò per miracolo.
Non è una coincidenza, e probabilmente sbaglia chi pensa che questa improvvisa impennata di vendette private a suon di pallottole coincida con un risveglio della malavita. Quest’ultima segue un proprio percorso ciclico e autonomo e in questo momento vive un periodo tutt’altro che glorioso, arrabattandosi tra furti di rame e negli appartamenti, alimentando il piccolo spaccio di stupefacenti o rapinando la povera cassiera di turno. Reati odiosi nella percezione comune ma che nelle fredde statistiche elaborate dai ministeri restituiscono una città nella quale episodi legati alla criminalità organizzata, racket delle estorsioni (con annessi attentati) e omicidi sono quasi ai minimi storici. E dunque lontana dalla necessità di potenziarne, con uomini e mezzi, polizia e carabinieri.
Ma il fatto che le due sparatorie di sabato non siano probabilmente un sintomo di rinvigorimento della malavita non può consolare e rendere meno preoccupante la situazione. Anzi.
Il ricorso sempre più frequente alla violenza per risolvere le quotidiane diatribe che possono avvenire nel condominio, per strada, al mare, tra i banchi di scuola, è lo specchio di un inquietante decadimento dei valori, di una barbarie che sono molto più di un campanello d’allarme e il cui compito di arginarli non può essere affidato solo alle forze dell’ordine.
In tanti, commentando sulla nostra pagina Facebook le due sparatorie, hanno scritto che Brindisi sembra di nuovo quella di 20 anni fa. Non è così. A differenza degli anni Ottanta e Novanta, quando l’accettazione della violenza, la convivenza con chi impugnava le armi, la sottomissione alla prepotenza e alla prevaricazione erano il risultato di una cultura nella quale l’humus del contrabbando si era insinuato a tal punto nella nostra società da rendere i fuorilegge “gente tali e quali come a noi”, oggi c’è una fiera presa di distanze da chi macchia l’immagine di una città che cerca con fatica di riabilitarsi, cancellando per sempre quella che fu “Marlboro City”.
Non si può prescindere da questa fierezza di essere parte di una coscienza che è cambiata, e da questa dura presa di posizione di chi non vuole ricadere nel passato, se si vuole arginare una violenza gratuita sempre più diffusa e combattere in maniera efficace chi usa la pistola, il fucile o le mani per avere ragione, chi pena che “punire” un’offesa sia una giustificazione per mettere a repentaglio la vita di chi ha la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato, come è accaduto ai bambini che sabato hanno rischiato di essere colpiti al mare.
Troppo semplice scaricare solo sulle forze dell’ordine un compito di responsabilità che riguarda invece tutti noi che abbiamo a disposizione “armi” forse più efficaci persino delle manette. Tocca a noi emarginare definitivamente chi pensa di regolare le proprie questioni con la violenza, relegarlo ai confini della società, non farlo sentire un eroe ma quello che è, cioé un semplice bandito, persino vigliacco. Brindisi non è più disposta a tollerare chi pensa che si possa diventare un idolo semplicemente picchiando più degli altri.
Una “condanna” a non essere nessuno, per i piccoli boss di quartiere, può essere peggio della prigione. E tutti noi ne abbiamo la chiave.