Dieci anni fa lo scandalo Tangentopoli

Dieci anni. Dieci anni da allora. Il calendario segnava la stessa data riportata oggi: 9 ottobre. Giovedì 9 ottobre 2003. Un giorno marchiato a fuoco nelle pagine della storia di Brindisi. Il giorno dell’infamia, il giorno in cui la città perse la sua innocenza e scoprì, destata all’alba dal suono di sirene e dal tintinnio di manette, la sua tangentopoli. Soldi sporchi, soldi passati di mano in mano, di tasca in tasca, di conto in conto per oliare la macchina degli appalti e favorire chi più pagava. A incassare le stecche, secondo i sostituti procuratori Giuseppe De Nozza e Adele Ferraro che condussero le indagini, politici e amministratori. Di destra e di sinistra.

Una cricca che aveva in lui, nell’istrionico Giovanni Antonino, nel sindaco del ribaltone, nel “padrone della vita politica e amministrativa di Brindisi” (parole dei giudici)  il suo capobanda. Furono arrestati in otto quella mattina. Antonino non era a Brindisi. I carabinieri lo buttarono giù dal letto di una stanza d’albergo, l’Empire Hotel, a Roma. Destinazione, il carcere capitolino di Regina Coeli.

Ma non fu il solo. Quella mattina l’ordinanza d’arresto fu notificata anche al mastelliano presidente del Consiglio Ermanno Pierri; al consigliere regionale di Forza Italia Marco Pezzuto; all’assessore comunale Nicola Siccardi; agli imprenditori Giovanni Di Bella, Luca Scagliarini e Biagio Pascali; al braccio destro di quest’ultimo Rocco Errico. Ma nelle maglie dell’inchiesta rimasero imbrigliati altri 20 tra funzionari comunali, politici e non solo. Dall’ex sindaco Giuseppe Marchionna al ras degli allora Democratici di Sinistra Carmine Dipietrangelo, autore del celebre ribaltone realizzato in tandem con Antonino, passando per il consigliere comunale della Margherita Luigi De Michele e il dirigente comunale Carlo Cioffi.

Tutti coinvolti nella maxi inchiesta che ha scoperchiato un sistema tangentizio nel quale le mazzette fungevano da olio per lubrificare talune decisioni della macchina amministrativa: dal carbone necessario per le centrali (con annesso “tesoro” scovato su un conto in Svizzera), al terminal container proposto dalla Bti (di Mario Salucci, accusatore attendibile dell’ex presidente del Consiglio comunale), alle case di Tuturano.

Tuttavia in pochissimi, nonostante la possente mole di prove raccolta dagli inquirenti, saranno giudicati a processo ultimato effettivamente colpevoli. Su 24 imputati, solo uno, Luca Scagliarini, sarà condannato con sentenza definitiva, ma quasi totalmente coperta dall’indulto: 16 saranno gli assolti, 5 se la caveranno con la prescrizione, 2 i rinvii, 3 i patteggiamenti.

 

Nell’ordine, otto furono assolti in prima battuta dal tribunale di Brindisi: Nicola Siccardi, ingiustamente accusato e arrestato con l’accusa di aver chiesto una tangente al calciatore Mino Francioso per la realizzazione di un centro sportivo; Giovanni Di Bella, anche lui ingiustamente accusato di concussione in danno di Antonio Benarrivo, in qualità di socio della New House, in relazione alla cessione del complesso immobiliare nel rione Paradiso; i dirigenti comunali Carlo Cioffi e Mario Scioscioli, e i funzionari Fabio Lacinio e Luana Cosmai, coinvolti nel filone sulla realizzazione del centro commerciale “Aliotto”, Giuseppe Roma e Teodoro Marinelli. La Procura di Brindisi impugnò in Appello le assoluzioni di Siccardi e Cioffi, ma i giudici di secondo grado non cambiarono idea.

E anzi, smantellarono le precedenti condanne contenute nel verdetto di primo grado, aggiungendo all’elenco degli innocenti anche il consigliere regionale di Forza Italia Marco Pezzuto, ingiustamente accusato di aver imposto all’imprenditore Mario Salucci una stecca da 1 miliardo di lire per far partire il terminal su Costa Morena; Antonio Rizzo e Fabrizio Vezzani, rispettivamente presidente e vicepresidente del Cda della società “Aliotto”; assolti anche Marco Bertolin e Fabrizio Criscuolo (1 anno a testa in primo grado) dall’accusa di truffa ai danni della finanziaria “Daimler Chrysler Capital Services Debis Italy spa” (della Mercedes), in relazione all’operazione immobiliare di Tuturano; Antonio D’Oriano dall’accusa di finanziamento illecito in favore di Antonino e Dipietrangelo; assolti anche Giovanni Faggiano e Stefano Barletta.

Assoluzioni confermate dalla Corte di Cassazione che ultimò l’opera dichiarando prescritti i reati dei pochi condannati in secondo grado Carmine Dipietrangelo e Luigi De Michele (2 anni e 2 mesi per corruzione in Appello), Biagio Pascali, Rocco Errico e Francesco Leoci (2 anni e 6 mesi in Appello). Annullate con rinvio anche le condanne per Gerardo Vero e Giuseppe Marchionna. Ridotta la pena per l’unico condannato dopo il triplice filtro dei tre gradi di giudizio, Luca Scagliarini: 3 anni e 6 mesi a fronte dei 5 anni incassati in primo grado e ai 4 in Appello, per l’affare carbone: storia di bustarelle che portò gli inquirenti fino in Svizzera, dove individuarono un conto segreto, denominato “Indobrindo”.

Un pozzo nel quale  confluirono i proventi delle mazzette sul combustibile di origine indonesiana (fino a 2 miliardi di lire) grazie al sovrapprezzo imposto a Edipower: dai 20 ai 50 centesimi per tonnellata di combustibile importata e alienata alla Edipower da Col Trade spa (società di Scagliarini ed Ercolani). Mosso da insaziabile “cupidigia” e “insensibile all’interesse comune” era lui, Scagliarini, secondo i giudici di primo grado il mediatore tra Antonino e gli imprenditori più spregiudicati.

A differenza degli altri imputati Giovanni Antinino preferì non battersi per dimostrare la propria innocenza. Sapeva che sarebbe stato inutile. Le mazzette le aveva prese, punto. Optò quindi per il patteggiamento, concordando con l’accusa una condanna a 3 anni e 6 mesi di reclusione. Stessa strada per Ermanno Pierri (2 anni) e il mediatore Massimo Ercolani (1 anno e 6 mesi).