A un anno dalla scomparsa di Salvatore Legari nessuna novità, la sorella: “Cercate ancora”

Di Marina Poci per il numero 359 de Il7 Magazine
Che qualcuno avesse fatto del male a suo fratello Salvatore, Nunzia Legari l’ha presagito immediatamente, incurante delle maldicenze (al limite della calunnia) che lo davano per fuggito su un’isola tropicale insieme alla sua ultima conquista o scappato chissà dove per evitare pagamenti che in quel momento non poteva permettersi: è per questo che, una volta in contatto con gli inquirenti che stavano indagando sulla sua scomparsa, Nunzia li ha pregati di non prendere minimamente in considerazione l’ipotesi dell’allontanamento volontario e di esplorare ogni pista possibile, non lasciare spazio all’intentato, agire con tempestività.
Oggi, a distanza di quasi un anno da quel pomeriggio nel corso del quale dell’imprenditore edile cinquantaquattrenne originario di San Pancrazio Salentino si sono inspiegabilmente perse le tracce nel Modenese, la preghiera che Nunzia, piegata da un dolore che non conosce riposo, rivolge alle forze dell’ordine e alla magistratura è ancora la stessa: “Non arrendetevi. Salvatore merita di ottenere giustizia. E anche noi, che da un anno abbiamo perso la pace del cuore, la meritiamo. Abbiamo il diritto di sapere cosa gli sia stato fatto. Nostro fratello non era un incosciente e non era un vigliacco: era una persona forte, con una grande capacità di reagire alle difficoltà. Non abbiamo mai avuto dubbi sul fatto che la sua scomparsa non sia stata una sua scelta. Non avrebbe mai lasciato i suoi due figli e i nostri genitori senza una spiegazione”.
Salvatore Legari è scomparso da Lesignana, frazione di Modena, a metà pomeriggio del 13 luglio dello scorso anno. Si trovava lì, in località Quattro Ville, nell’abitazione del trentasettenne Alex Oliva: ci era andato per riscuotere il compenso (una somma di denaro ammontante, forse, a 16mila euro) per i lavori di efficientamento energetico che vi aveva svolto nelle settimane precedenti e per recuperare gli attrezzi edili che aveva lasciato. Con una parte di quella somma Salvatore avrebbe dovuto saldare gli operai che avevano lavorato insieme a lui (anche su altri cantieri), mentre il resto avrebbe dovuto dividerlo con il suo socio d’impresa, il rumeno Doru. In quella villetta si è scavato, invano, in più di un’occasione: coadiuvati dalle unità cinofile, Carabinieri, Vigili del Fuoco e Protezione Civile, seguendo il fiuto dei cani molecolari, hanno cercato il corpo di Salvatore o qualche traccia della sua presenza sul terreno che circonda l’abitazione nella quale è arrivato sulle proprie gambe e dalla quale nessuno sa come sia uscito (sempre che ne sia uscito). “Per noi è stato traumatico vedere quelle immagini. Le forze dell’ordine non ci hanno avvertito, lo abbiamo saputo dai giornali e dai telegiornali locali. Non che avessimo speranza di poterlo riabbracciare e certamente capiamo che ci sono procedure da rispettare, ma essere preparati ci sarebbe stato d’aiuto”, racconta Nunzia.
“È stata la sua giovane compagna ad avvertire una delle mie sorelle: le ha telefonato la mattina del 14 luglio per dirle che Salvatore non rispondeva né ai messaggi né alle chiamate dal pomeriggio precedente. Penso sia superfluo dire che, da quel momento, la nostra vita si è fermata. La compagna, quando ha sentito mia sorella, aveva appena sporto denuncia, anche perché il cellulare di mio fratello, che sino ad una certa ora aveva squillato a vuoto, dopo un po’ aveva iniziato a risultare spento”, rievoca con angoscia Nunzia Legari.
Il pensiero le corre ai genitori, anziani e già ammalati, le cui condizioni di salute si sono ulteriormente aggravate in conseguenza del dolore provocato dalla sparizione del figlio: “Non sono partita immediatamente proprio per non lasciare soli mamma e papà. Così a Modena, all’inizio, ci sono andate mia figlia e mia sorella Floriana. Abbiamo cercato di tenere nascosta la notizia ai nostri genitori quanto più possibile, nel tentativo di proteggerli e di capirne di più. Ci siamo preoccupati di contattare immediatamente gli ospedali della zona, abbiamo chiesto alla Polizia Locale se avessero avuto notizie di incidenti stradali, ma niente. A quel punto non abbiamo più avuto alternative: Salvatore era un figlio presente e affettuoso, sentiva i miei a giorni alterni. Non sarebbe mai stato due giorni di fila senza telefonare a casa per sincerarsi di come stessero i genitori. Lo attendevamo a San Pancrazio per agosto ma, pochi giorni prima di scomparire, ci aveva comunicato che – a differenza degli altri anni – ci saremmo visti a settembre. Stava ultimando i lavori di ristrutturazione dell’appartamento di mio nipote Nicolas, suo figlio, e ne avrebbe avuto ancora per qualche settimana. Su questo rinvio le chiacchiere si sono sprecate. Alcuni ci hanno visto il segnale che qualcosa non andasse per il verso giusto, altri hanno insinuato che si fosse messo nei guai e che temesse la vendetta di qualcuno per chissà quale motivo. Ma noi, che conoscevamo Salvatore, non siamo mai stati sfiorati dal dubbio: era una brava persona e merita di essere ricordato così. I pettegolezzi, soprattutto all’inizio, ci hanno fatto molto male. Poi abbiamo imparato a ignorarli. Per fortuna, accanto a chi chiedeva notizie soltanto per curiosare e sparlare, c’era anche chi ci è stato vicino con affetto e sincerità. Tra loro c’è anche il sindaco Moscatelli che, dopo un primo momento in cui – per rispetto del nostro dolore – non è venuto a trovarci, poi ha tenuto a manifestare a tutta la famiglia la sua solidarietà”.
Al momento l’unico indagato per la scomparsa di Salvatore Legari (con l’ipotesi di reato di sequestro di persona) è proprio Alex Oliva, anche se i motivi di dissidio tra i due (riconducibili a ragioni di natura economica?) non sono del tutto chiari: all’uomo, probabilmente l’ultima persona ad aver visto l’imprenditore il giorno della scomparsa, sono stati sequestrati alcuni dispositivi elettronici (telefono, tablet, computer) per estrarne copia forense e ricostruire i rapporti intercorsi tra lui e Legari, anche in considerazione del fatto che, quel 13 luglio, il telefono di Salvatore, mai ritrovato, ha agganciato sino alle 19,31 la cella sita alle spalle dell’abitazione dell’indagato (squillando a vuoto a partire dalle 16,19), mentre dalla serata del 13 luglio sino alle 10 del giorno successivo, quando si è spento definitivamente, ha agganciato una cella di Sassuolo, corrispondente all’area del centro abitato nei pressi del fiume Secchia nella quale, dieci giorni dopo la scomparsa, è stato ritrovato il suo furgone Citroen Jumpy bianco.
“Chi ha portato lì il furgone di Salvatore? È stato lui o ci ha pensato qualcun altro? Oltre che nel terreno che circonda la villetta di Oliva e nei pressi del fiume, dove si è scavato? Lesignana è una zona di campagna mista a boscaglia, piena di casolari abbandonati, pozzi e canali di irrigazione. C’è persino una porcilaia lì vicino. Cosa hanno controllato? E ancora: sin dall’inizio noi abbiamo chiesto che fossero visionate le telecamere di sorveglianza, almeno quelle relative al tragitto tra la casa di Oliva e Sassuolo. L’inviato della trasmissione di Rai Tre “Chi l’ha visto?” ne ha scoperta una proprio di fronte al punto in cui il mezzo di mio fratello è stato parcheggiato. I Carabinieri hanno acquisito le immagini, ma non sappiamo se siano state d’aiuto. Chiamiamo in caserma a cadenza regolare, in genere una volta a settimana ma, pur essendo tutti molto gentili e comprensivi, non ci dicono nulla. Ci rendiamo conto che c’è il segreto istruttorio, ma noi siamo sfiniti. Adesso confidiamo nella perizia: abbiamo nominato un nostro tecnico e aspettiamo che esamini il tutto e ci tenga informati”, spiega la sorella.
Nunzia parla pacatamente, di tanto in tanto si interrompe per rifiatare e mantenere la lucidità, ma non recrimina, non accusa, non biasima nessuno: nella sua voce di sorella maggiore che ha perso colui che, per tutta la vita, è stato il suo più tenero compagno di giochi (“Tra noi c’era appena un anno di differenza, siamo cresciuti praticamente come gemelli”, precisa) non c’è rabbia, ma soltanto desiderio di giustizia. La perizia a cui Nunzia Legari fa riferimento è quella tecnico-informatica, i cui risultati sono stati depositati in Procura qualche settimana fa e le cui risultanze sono adesso al vaglio del consulente di parte della famiglia. Quanto agli accertamenti tecnici irripetibili disposti su alcuni oggetti personali rinvenuti all’interno del furgone di Legari, alla famiglia non è ancora stato comunicato nulla: si tratta di un paio di auricolari, dai quali pare che Salvatore non si separasse mai, ritrovati sul sedile passeggero, e di un’agenda e una matita, strumenti che utilizzava per ragioni lavorative, che erano nel cruscotto. Le verifiche sono tese a rintracciare impronte digitali ed eventuali tracce di DNA non riconducibili a Salvatore e, secondo fonti confidenziali, Alex Oliva si sarebbe sottoposto spontaneamente al prelievo di materiale organico finalizzato ad estrarre il profilo genetico da comparare con quello di Legari.
Di Oliva si sa pochissimo. Per esempio che, per evitare il pagamento di un debito, qualche mese prima della sparizione di Salvatore avrebbe aggredito a pugni un altro imprenditore, che lo ha poi denunciato. Che ha un fucile, perché lui stesso lo ha ammesso davanti alle telecamere di Chi l’ha visto?. E che all’inviato della trasmissione che voleva fargli qualche domanda ha urlato “Se vi trovo ancora qua, la macchina ve la prendo e la infilo dentro un fosso”. Circostanze, che in mancanza di prove più concrete, certamente non sono sufficienti a ritenerlo il responsabile della scomparsa di Legari e che, tuttavia, alla famiglia bastano per vivere con inquietudine il pensiero che sia stato proprio lui l’ultimo a entrare in contatto con Salvatore. Stando così le cose, il più grande timore dei parenti è che, passato un anno senza particolari novità, il pubblico ministero non abbia elementi per sostenere l’accusa in giudizio e chieda l’archiviazione del fascicolo: “Noi sorelle, però, non ci arrenderemo. Sino a quando avremo la possibilità, continueremo a chiedere agli investigatori di lavorare per consentirci di riportarlo a casa. Così come chiederemo alla stampa di non smettere di tenere alta l’attenzione sul caso. Lo dobbiamo ai suoi figli, ai nostri genitori e, soprattutto, alla persona splendida che era”, chiarisce Nunzia con la voce piagata dallo strazio di non avere ancora un posto nel quale andare a piangere il fratello.
Accanto a lei c’è la figlia Denise Di Mauro, che le lascia la parola per tutta la durata del nostro incontro telefonico e soltanto verso la fine decide di parlare: “Quando siamo tornate da Lesignana, dove siamo state per sgomberare la casa che lo zio aveva in locazione, ho portato qui con me a San Pancrazio un maglione e una maglietta. Erano due dei suoi indumenti preferiti, glieli ho visti indossare molte volte. Mio zio era molto protettivo con me: scherzando, mi diceva sempre che, quando mi fossi fidanzata, il primo a conoscere il mio ragazzo avrebbe dovuto essere lui. Soltanto se il suo parere fosse stato positivo, avrei potuto continuare a frequentarlo! Era così: disponibile, generoso, divertente. Ironizzava su tutto, ma aveva anche un grande senso di responsabilità, sia nei confronti della famiglia che nel lavoro. Se me lo consente, senza polemizzare, agli inquirenti non voglio rivolgere semplicemente l’invito a proseguire nelle indagini, ma proprio quello di “mettersi una mano sulla coscienza”, come si dice dalle nostre parti: tutti coloro che hanno lavorato al caso di mio zio, sin dall’inizio, sanno precisamente cosa è stato fatto e, soprattutto, cosa si può ancora fare. Ecco, chiederei di ricominciare da lì, da tutto quello che, malgrado sia passato un anno, è ancora possibile fare”, conclude Denise.
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