Da Milano a San Vito alla ricerca della tomba del nonno grazie a un passaporto

Il mio nome è Giovanni Ruggiero. Vivo in provincia di Milano, dove esercito la mia professione di medico legale. A marzo, nel pieno della pandemia da Covid-19, approfittando della sosta dovuta al lockdown, mi sono dedicato a mettere ordine nel mio studio. Ho trovato un vecchio passaporto appartenente a mio nonno, Giovanni Valentino Ruggiero, nato il 7 settembre 1889, deceduto nel 1963, sepolto a San Vito dei Normanni. Dopo qualche giorno, ho saputo che per un inaspettato impegno professionale a Brindisi, sarei dovuto venire in Puglia alla fine di giugno. Sarebbe potuta essere una fugace gita lavorativa fuori regione, come tante me ne capitano, ma ho immediatamente percepito che quello che mi apprestavo a iniziare non sarebbe stato soltanto un viaggio di lavoro: il nonno Giovanni, del quale con grande orgoglio mio e suo porto il nome, mi stava chiedendo di andare a trovarlo e non potevo assolutamente sottrarmi a questo invito”.
Potrebbe essere l’incipit di un monologo teatrale di successo, cui segue un brano musicale d’impatto capace di creare la giusta attesa negli spettatori, prima che l’attore, passeggiando avanti e indietro sul palco, ricominci a recitare e arricchisca di nuovi particolari la storia. Invece, è quanto il dottor Giovanni Ruggiero, radici sanvitesi per parte di padre ma nato e cresciuto in Lombardia, racconta tutto d’un fiato per telefono, rievocando gli eventi che lo hanno visto protagonista all’inizio di questa speciale estate 2020: la risistemazione effettuata in studio a causa del lockdown, nel corso della quale è avvenuto il ritrovamento del passaporto del nonno, e l’inatteso incarico professionale ricevuto proprio a Brindisi gli hanno regalato l’opportunità di compiere una passeggiata a ritroso nella memoria, culminata nell’ideale ricongiungimento con i nonni. Dopo quasi sessant’anni, testimone la lapide di marmo di una curatissima cappella gentilizia sanvitese, il nonno Giovanni Valentino, la nonna Maria e il piccolo Giovanni si sono ritrovati tutti e tre insieme, come se non fosse mai finito il tempo in cui il nipotino saltellava loro sulle ginocchia e li accompagnava per lunghe camminate.

Per potersi mettere alla ricerca della cappella nella quale gli amati nonni riposano, il dottor Giovanni Ruggiero ha addirittura anticipato di qualche giorno la partenza per la Puglia, in modo da avere il tempo necessario a rintracciare la tomba, della quale non ricordava l’ubicazione: “Mio nonno è morto nel 1963 a Legnano, in provincia di Milano, dove risiedeva da qualche anno. Io avevo soltanto sei anni e gli ero molto legato. Lui stravedeva per me: il fatto che portassi il suo stesso nome ha creato tra noi un rapporto particolare”, rivela Ruggiero. “Prima di morire, ha chiesto ai figli (mio padre Ruggero, mio zio Giuseppe e le mie zie Teresa ed Emilia) di essere seppellito nella sua San Vito, che amava moltissimo. Io ricordo di avere partecipato al funerale, ma probabilmente non sono stato portato al cimitero per la tumulazione. La prima volta che sono entrato nella cappella è stata sicuramente qualche giorno fa”. Poi la voce gli si incrina, mentre prosegue: “Le confesso che restai molto colpito quando, al termine della funzione funebre, ci mettemmo in fila sul sagrato della chiesa per stringere la mano a tutti coloro che avevano partecipato alla messa e a una quantità incredibile di gente che aspettava fuori. Ho sempre ricordato con affetto quel particolare, perché qui al Nord non si usa fare così. In quel momento, in attesa di ricevere le condoglianze di tutte quelle persone, ho capito quanto mio nonno fosse stimato e quanto la sua morte avesse toccato l’intera comunità di San Vito dei Normanni”.

Quella che Giovanni Ruggiero spiritosamente chiama “la caccia alla tomba” è stato un impervio percorso a ostacoli, costellato da deviazioni e binari morti, che ha poi trovato il suo felice epilogo grazie alla gentilezza di un impiegato dell’ufficio Anagrafe di San Vito dei Normanni (“purtroppo non ricordo il nome, ma lei per favore lo scriva, in modo che si riconosca e sappia che gli sarò eternamente riconoscente”) e ai dipendenti della società di servizi “SESA di Cosimo Scrascia & C. s.a.s.”, cui il Comune di San Vito dei Normanni ha appaltato i servizi cimiteriali. Giuseppe Bernardini, Angela Spina e Cosimo Roma si sono prodigati per risalire alla cappella (“abbiamo ristretto il cerchio a tre, poi, incrociando altre informazioni, siamo riusciti a individuare quella giusta”) e conservano l’emozionato ricordo della vicenda.

La storia, vista con gli occhi di chi per lavoro si occupa di dare un senso al dolore prendendosi cura del luogo fisico dove il dolore viene vissuto, si arricchisce di ulteriori dettagli. Con grande pathos il signor Giuseppe Bernardini, responsabile della SESA, racconta: “Una mattina è arrivato qui al cimitero un signore proveniente da Milano, era molto turbato, cercava la tomba di suo nonno, il dottor Giovanni Ruggiero. Non ricordava dove fosse tumulato, perché l’ultima volta che era stato qui era molto piccolo. Aveva con sé un passaporto vecchissimo ritrovato poco tempo prima, ce lo ha mostrato e ci ha detto che era saltato fuori mentre rimetteva ordine nei faldoni del suo studio professionale, dopo la chiusura dovuta alla pandemia. Ci siamo attivati immediatamente per aiutarlo, controllando il nostro database gestionale, perché il trasporto che provava parlando del suo antenato ci ha commosso moltissimo. Era come se raccontasse di una morte avvenuta soltanto una manciata di giorni prima. In giro per il camposanto di San Vito insieme a noi, il dottor Giovanni Ruggiero si è lasciato andare ai ricordi della sua infanzia legati alla Puglia: le vacanze a Specchiolla, l’anguria ghiacciata, i calzoni ripieni. Dopo una lunga indagine, abbiamo rintracciato la tomba, ma era chiusa a chiave. Non sapevamo a chi rivolgerci per aprirla. Poi un nostro dipendente storico, che conosce bene la storia del cimitero e ha molti contatti in paese, ha avuto l’intuizione di indirizzare il visitatore da quelli che ricordava essere i proprietari della cappella, forse gli ultimi parenti in vita qui a San Vito. A quel punto il dottor Ruggiero è riuscito ad accedere e la commozione ha preso il sopravvento: è stato molto toccante anche per noi vedere un uomo di mezza età piangere in quel modo, mentre accarezzava la lapide con il nome del nonno. Ci ha persino chiesto scusa per avere avuto quella reazione emotiva così forte, ma noi l’abbiamo rassicurato che non c’era alcun problema. Anzi, ci eravamo talmente appassionati al suo racconto, che eravamo molto scossi anche noi. Quando ho raccontato la vicenda a mia moglie, lei mi subito fatto notare come una storia del genere dovesse essere scritta, per essere conosciuta da più gente possibile. Una persona che ritrova un vecchio passaporto e parte all’avventura alla ricerca della tomba del nonno? Non era mai successo. Siamo abituati a gente che da tutto il mondo viene per avere notizie e rintracciare i propri defunti, ma non ci era mai accaduto di incontrare qualcuno che, senza alcun riferimento concreto e con in mano soltanto uno stinto documento degli anni cinquanta, si metta in viaggio per lasciare un fiore sulla tomba di un nonno perso quasi sessant’anni fa”.

Nel racconto di suo nipote, Giovanni Valentino Ruggiero appare come un uomo tutto d’un pezzo e tuttavia capace di grandi slanci d’affetto, figlio dei suoi tempi per ciò che attiene alla condotta matrimoniale e famigliare, eppure anticipatore di tratti di modernità per il dinamismo che lo caratterizzava (come testimoniano i timbri sul suo passaporto, che parlano di frequenti viaggi in Svizzera e in Grecia). Era uno stimato dottore in Biologia che da San Vito dei Normanni si trasferì a Bari come dirigente dell’Acquedotto Pugliese. Nel 1956/57, una volta andato in pensione, si stabilì con la moglie Maria a Legnano, dove avevano trovato lavoro i figli Giuseppe e Ruggero, medico condotto e padre del Giovanni Ruggiero protagonista della storia.
“Mio nonno era un vero e proprio brigante, nel senso pienamente meridionale del termine”, ridacchia il dottor Ruggiero. “Era gelosissimo di mia nonna, che considerava una sua proprietà privata. La nonna Maria aveva una voce bellissima, amava la musica napoletana e, in particolare, la ricordo canticchiare “Luna rossa”. Adesso che glielo racconto, mi sembra quasi di vederli insieme, mentre giocano a scopetta e lui le chiede “Maria, cosa ha fatto il Foggia?”, perché per mio nonno era quasi più importante che perdesse il Foggia piuttosto che vincesse il Bari. Apparteneva all’alta borghesia, per cui aveva la possibilità economica di viaggiare molto e fuori da casa immagino che fosse meno rigido e meno convenzionale, più malleabile con gli altri e più indulgente con se stesso. In casa, invece, teneva tutti in riga, figli e nipoti. A dire la verità, io avevo qualche libertà in più rispetto agli altri, perché portare il suo nome mi aveva fatto guadagnare, entro certi limiti, una specie di diritto alla disubbidienza”, ammette con malcelata soddisfazione il dottor Ruggiero, protagonista, con questo viaggio in Puglia, di una sorta di percorso proustiano alla riscoperta del sé più autentico e dell’età dell’innocenza interrottasi bruscamente con il funerale del nonno.

Proust, dunque, e la sua ricerca di un tempo passato ma in un certo qual modo non ancora finito, con la differenza che, nella storia dei due Giovanni Ruggiero, l’odore in grado di sollevare il sipario sui ricordi non è quello delle madeleine, i morbidi pasticcini al burro evocati nella Recherce dal narratore, ma quello dei calzoni fritti con la cipolla che il dottore, da buon lombardo, chiama panzerotti.
Confida di ripensare spesso alla sequenza degli eventi e di non riuscire a liquidarli come banali coincidenze, pur cercando, da consumato uomo di scienza quale è, di restare razionale. Il ritrovamento del passaporto, donatogli alla morte della nonna Maria nei primissimi anni Ottanta e poi perso di vista nella mole dei documenti che conserva. L’incarico lavorativo a Brindisi, spuntato sorprendentemente poche settimane dopo. Per quanto si sforzi di dare una lettura serena, non appannata dal sentimento che prova, l’unica chiave di volta che riesce a considerare, ha a che fare con una specie di misterioso richiamo ultraterreno cui non gli è stato possibile sfuggire: “È stato come se gli eventi si concatenassero per portarmi a San Vito dei Normanni a ritrovare i nonni il cui ricordo mi accompagna da tutta la vita. Mi hanno cercato e io risposto all’appello, come quando ero piccolo e il nonno Giovanni richiamava noi nipoti intorno a sé per i pranzi di famiglia”.