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Giovani, cultura e libertà: il programma di Montinaro, presidente ANM Brindisi

Di Marina Poci per il numero 409 de Il7 Magazine
“Da dove comincerò? Diciamo che ho l’imbarazzo della scelta sui temi (violenza di genere, cyberbullismo, educazione stradale, infortuni sul lavoro, intelligenza artificiale, truffe ai danni dei più fragili, criptovalute), ma sicuramente posso dirle che inizierò dalle scuole e dalle università, cercando di avvicinare i giovani a queste emergenze con un linguaggio più vicino a loro, uscendo dalla logica arcaica della lezioncina frontale. Una modalità di approccio superata, che non aiuta a diffondere il messaggio di legalità a cui l’ANM, per definizione, è chiamata. L’Associazione Nazione Nazionale Magistrati, a livello di Giunta centrale, sta studiando con un gruppo di esperti proprio le forme di comunicazione più idonee ad approcciarsi ai cittadini a seconda delle età e dei diversi contesti sociali. Faremo tesoro delle indicazioni che ci daranno e, a partire da settembre, divulgheremo alle scuole il programma che intendiamo portare avanti, in modo che gli istituti interessati, in un’ottica di collaborazione, potranno organizzare le attività basandosi sulle linee guida da noi fornite. E mi permetto di aggiungere che tra le mie intenzioni c’è anche quella di coinvolgere personaggi pubblici seguiti dai ragazzi sui social, ovviamente personaggi che abbiano messaggi positivi da divulgare, e renderli parte del grande progetto che ho in mente. Mi scusi, sto parlando troppo?”.
Raggiunto al telefono durante una pausa del suo lavoro da sostituto procuratore della Repubblica di Brindisi, il dottor Pier Paolo Montinaro è un fiume in piena: l’impressione, sentendolo parlare mentre elenca i temi che come nuovo presidente della sottosezione brindisina dell’Associazione Nazionale Magistrati intende affrontare, è che il pensiero gli corra talmente veloce da non riuscire a stargli dietro con le parole.
Laurea in Giurisprudenza all’università di Pisa e ingresso in magistratura con il D. M. del marzo 1997, Montinaro ha iniziato a lavorare come sostituto procuratore alla Pretura circondariale di Brindisi sino a quando, una volta soppressa quest’ultima, è arrivato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale.
Ricorda la sua prima udienza?
“La prima udienza ufficiale fu in Pretura: ricordo l’emozione di parlare davanti ad un magistrato esperto come il dottor Lisi e il timore di non essere all’altezza. Ma in realtà, durante il tirocinio a Lecce, avevo già fatto qualche udienza da solo. Quell’anno saltò la nomina dei vice procuratori onorari, per cui tutte le udienze in Pretura risultarono scoperte. Allora, con un’incoscienza da vero e proprio kamikaze, mi permisi di suggerire al Procuratore Giannuzzi che quelle udienze avremmo potuto coprirle noi giovani magistrati in tirocinio”.
Una bella palestra.
“Sì, senz’altro. Ricordo in particolare che sostenni l’accusa per una truffa e un reato ambientale alla Pretura di Otranto. Fu un ottimo allenamento”.
Ha sempre voluto fare il magistrato?
“Sì, dal primo anno di università. All’esame di Diritto Pubblico c’era una parte speciale dedicata alla magistratura, un libricino molto breve, il cui studio mi affascinò al punto da indirizzare la mia scelta di vita”.
In un momento storico in cui la magistratura è sotto attacco da parte di una certa politica e spesso è percepita come lontana dai cittadini, cosa significa assumere la guida di una sottosezione dell’ANM? Peraltro in un territorio nel quale le criticità sono molte e forse, rispetto a qualcuna, possiamo anche registrare qualche recrudescenza?
“Mi lasci innanzitutto dire che non avverto il contesto locale come particolarmente ostile nei confronti dei magistrati e questo clima consente a me e a tutti i colleghi di lavorare con serenità per assicurare la tutela dei diritti al meglio delle nostre possibilità. In generale, il periodo è quello che è: siamo oggetto di attacchi quotidiani, il più delle volte strumentali. Nessuno è esente da errori, d’altronde i magistrati sono uomini, ma niente a che vedere con quello che si vuole fare intendere per alimentare la sfiducia nei nostri confronti. È chiaro che assumere questo incarico in questo particolare contesto è un impegno gravoso. Ma io sono molto motivato, perché l’idea di portare nella società civile un’idea di magistrato più umana e più vicina ai cittadini mi intriga e mi emoziona moltissimo. Vorrei ringraziare il dottor Giuseppe De Nozza, che mi ha preceduto, rispetto al quale mi pongo in continuità da tanti punti di vista, e il dottor Antonio Ivan Natali, rieletto come segretario”.
Su cosa focalizzerà la sua attenzione come nuovo presidente di ANM Brindisi?
“Sui giovani: sono il mio riferimento costante. La democrazia si fonda su due cardini fondamentali, la cultura e la libertà di pensiero e di espressione. Quando vengono attaccati questi due cardini, e lo dico senza alcun riferimento ad alcun sistema politico in particolare, significa che la democrazia sta iniziando ad assumere una forma diversa, non in linea con la Costituzione. Per questo dobbiamo lavorare insieme ai ragazzi e farli crescere colti e liberi. Io non intendo sottrarmi a questo impegno: voglio lavorare con i giovani nelle scuole e nelle università e dare il mio piccolo contributo di magistrato sui temi di attualità che ritengo più urgenti da affrontare”.
Se dovesse riassumere in tre concetti il programma del suo impegno associativo, quali sarebbero?
“Io direi questi: collaborazione e intesa con il territorio, attenzione alle fragilità e alle criticità del territorio e utilizzo dei nuovi strumenti di comunicazione”.
Lei è il coordinatore del gruppo specializzato in violenza di genere presso la Procura della Repubblica di Brindisi: come è cambiata secondo lei nella percezione dell’opinione pubblica, delle vittime e di forze dell’ordine e magistratura, il concetto di violenza di genere? C’è più consapevolezza?
“C’è un abisso rispetto a quando ho iniziato. Io ho cominciato ad occuparmene quando ancora nemmeno si chiamavano così tutti i reati contro le donne. Poi ho avuto una parentesi di sette anni in cui ho lavorato sui reati ambientali e contro la pubblica amministrazione. Ho vissuto tutta l’evoluzione del concetto, incluso il passaggio in cui è stata resa operativa in Italia la Convenzione di Istanbul. La sensibilità è cresciuta in tutti e in particolare nelle forze dell’ordine e nella magistratura. Poi le normative che negli ultimi anni si sono succedute hanno sicuramente aiutato tanto a formare culturalmente l’opinione pubblica, consentendo di riconoscere i segnali di violenza sin dagli albori”.
Quello della formazione degli operatori delle forze dell’ordine, che rappresentano per la donna il primo contatto con le istituzioni, è un tema focale nella lotta alla violenza di genere.
“Sicuramente è un punto su cui occorre lavorare, però vorrei esprimere il mio apprezzamento per le forze dell’ordine brindisine, rispetto alle quali, avendo la delega per verificare il rispetto delle indicazioni date dal Procuratore, posso registrare un feed-back positivo, sia per la preparazione che per la tempistica con cui intervengono”.
Il Giudice Giovanni Falcone diceva che “i mafiosi sono esseri umani come tutti gli altri, ce ne sono di simpatici e di antipatici”: le è mai accaduto di provare simpatia o empatia per un indagato o un imputato? Come l’ha gestita, dovendo necessariamente conservare il rigore nell’indagine?
“Non ci sono le condizioni perché si possa creare tra pubblico ministero e indagato o imputato una vera e propria simpatia. Però devo dirle che, a pelle, ci sono state occasioni in cui ho provato un sentimento di comprensione nei confronti di qualche indagato e delle motivazioni che lo avevano spinto a commettere il reato che gli stavo contestando. L’ho gestita con gli strumenti che la legge offre al pubblico ministero: chiedendo al giudice la concessione delle attenuanti generiche o l’esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto. Naturalmente io non sono il giudicante, come PM posso fare soltanto fare delle richieste”.
A proposito di questo, ha mai pensato ad essere dall’altra parte? Che Giudice sarebbe?
“Sinceramente non cambierei! Sono nato pubblico ministero, è un ruolo che amo e sento cucito sulla mia pelle”.
Tra qualche settimana più di 13mila ragazze e ragazzi siederanno sui banchi della Fiera di Roma per sostenere le prove scritte del concorso in magistratura: cosa manda a dire a questo esercito di aspiranti alla toga un magistrato con quasi trent’anni di professione alle spalle?
“Coraggio! (ride) Battuta a parte, i nuovi magistrati si troveranno a sopportare sulle spalle un fardello più pesante rispetto a me e ai colleghi della mia generazione: noi abbiamo goduto di un clima di rispetto che adesso è un po’ compromesso. Ma sono certo che, se hanno fatto questa scelta, saranno pronti ad affrontare anche questo aspetto. Perciò, direi ad ognuno di loro: sii forte, perché sicuramente sarai attaccato in quanto appartenente ad una categoria scomoda, e studia, perché la preparazione qualifica e differenzia. E in bocca al lupo, naturalmente!”.