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Il clamoroso “cold case” di Cairo e Spada e la Brindisi degli ultimi 30 anni nel podcast “Doppio fondo”

Di Marina Poci per il numero 426 de Il7 Magazine
“O vendevi padelle, o eri in cassaintegrazione dal Petrolchimico, o lavoravi “alle sigarette”: in quegli anni a Brindisi si viveva di questo”: in questa battuta asciutta, amara e lucidissima il brindisino Carlo Annese, giornalista e produttore di successo, residente a Milano dal 1986, condensa “Doppio fondo”, il podcast in sei puntate in uscita ogni venerdì a partire dal 14 novembre, realizzato insieme al collega Gianmarco Di Napoli, anche lui brindisino, che nelle viscere di quella realtà sospesa tra il sogno industriale, il contrabbando (successivamente “assorbito” dalla Sacra Corona Unita”) e la vendita porta a porta di casalinghi ha affondato il suo quotidiano passo di cronista capace di racconto e riflessione.
Due voci che si annodano piacevolmente (il timbro dolce di Annese e quello più gutturale di Di Napoli), due approcci complementari che si fondono (più speculativo quello di Annese, più concreto quello di Di Napoli), due visioni che si intersecano a partire dagli omicidi (risolti dopo più di vent’anni) di due dei più abili e audaci “padellari” (così venivano chiamati in zona, con un certo spregio della loro attività, i venditori di pentole e corredi), la cui intraprendenza – almeno stando a quanto stabilito dalla sentenza di primo grado emessa dalla Corte d’Assise messapica – fu soffocata con violenza mortale da chi in quel settore, volendo affermare il proprio monopolio, non ne tollerava le ottime capacità imprenditoriali.
Con testimonianze inedite dei protagonisti di quegli anni (famigliari, ex amministratori locali, giornalisti e scrittori) e passaggi direttamente estratti dalle udienze, il podcast ricostruisce le uccisioni di Salvatore Cairo e Sergio Spada, riconducibili ai fratelli ex contrabbandieri Cosimo ed Enrico Morleo, che ne furono rispettivamente mandante ed esecutore materiale, e, sviscerando accuratamente lo sviluppo criminale del territorio e le dinamiche socio-economiche che vi furono sottese, offre uno spaccato accurato di circa un trentennio di storia brindisina. Non un semplice prodotto di cronaca nera e giudiziaria, dunque, ma la pregiata dissezione di un’epoca e di un territorio che, lontana dal solco voyeuristico che imperversa attualmente nella trattazione del “crime” sui mass media, restituisce l’immagine genuina e per niente edulcorata di una città che Annese definisce “dal potenziale immenso, ma ancora in gran parte inespresso”.
Annese e Di Napoli condividono un passato nella redazione brindisina di quello che adesso è il Nuovo Quotidiano di Puglia, entrambi alla corte del maestro Vittorio Bruno Stamerra. Poi Annese, sconvolto dall’omicidio del fratello di una compagna di classe delle medie, lasciò Brindisi per trasferirsi a Milano: per oltre vent’anni alla Gazzetta dello Sport, prima come inviato e poi come responsabile delle pagine “Altri Mondi” e per oltre sei anni vicedirettore del mensile GQ, nel 2016 ha fondato Piano P, il primo network di podcast giornalistici di qualità in Italia, e dal 2020 è il produttore di Corriere Daily, il podcast quotidiano del Corriere della Sera. Di Napoli è invece rimasto a Brindisi, in quello stesso Quotidiano in cui aveva messo piede appena 19enne, potendo contare sull’esempio di Annese, di qualche anno più grande, che ha sempre considerato un punto di riferimento. Più tardi avrebbe fondato il quotidiano cartaceo Senza Colonne, dopo diventato una testata regionale esclusivamente online, Senza Colonne News, collegata al settimanale Il7 Magazine, che approfondisce le vicende più strettamente brindisine.
“Con Gianmarco siamo rimasti in contatto sporadico per anni, osservandoci a vicenda da lontano. La storia dei “padellari” l’ho seguita attraverso quello che scriveva la stampa del territorio e, soprattutto, lui. Ad un certo punto, mano a mano che la vicenda investigativa e processuale andava delineandosi con più chiarezza, ho sentito la necessità di tornare indietro e mettere in fila tutta una serie di suggestioni, per fare ordine dentro la mia memoria e tutto ciò che si era accumulato leggendo le cronache locali. Allora ho compreso come in questa storia ci fosse tutto, proprio tutto, ciò che riguarda la Brindisi degli ultimi tre decenni… e forse anche più. A quel punto, pur partendo dagli omicidi, ho avvertito l’esigenza di andare oltre il crimine per raccontare, innanzitutto ai ragazzi, che fortunatamente non hanno vissuto quei tempi, e poi a tutti coloro che vivono Brindisi e dintorni dal punto di vista turistico, che questo posto è meraviglioso, ma avrebbe potuto esserlo ancora di più. E spiegare loro perché questa città stupenda, ancora oggi, tende a ripiegarsi sempre di più su se stessa, sulle proprie pigrizie, sulla incapacità di iniziativa e organizzazione dell’imprenditoria locale di creare un indotto e, infine, sulla disillusione, mai elaborata, causata dalla mancata realizzazione in loco del più importante polo chimico europeo. L’intenzione è di far riflettere come su questi atteggiamenti rinunciatari facilmente possa innestarsi il pensiero criminale: il contrabbando e la SCU non sono stati esclusivamente un fenomeno delinquenziale all’attenzione delle Procure, dei Tribunali e delle forze dell’ordine, erano una cultura, un modo di stare al mondo. I contrabbandieri, e più tardi i sacristi, sono stati uomini con una eccezionale capacità di penetrazione nel tessuto sociale, tale da radicarsi senza incontrare particolari resistenze. Anche perché, probabilmente, quel contropotere illegale ha offerto a 5mila famiglie, tante erano quelle che vivevano del traffico di sigarette, un’occasione di sostentamento che le istituzioni tutte non sono state in grado di garantire. Nel ricostruire tutti questi scenari, Gianmarco Di Napoli è stato imprescindibile: senza il suo sguardo così addentrato, non avrei potuto realizzare il podcast”, racconta Annese tutto d’un fiato.
Salvatore Cairo, 36 anni, sparì la mattina del 6 maggio del 2000, tra il chiacchiericcio di chi riteneva fosse scappato su un’isola caraibica con l’amante di turno e la certezza, poi tradottasi in verità processuale (sebbene non ancora definitiva), della moglie Elvira Stano, che alla tesi dell’allontanamento volontario non ha mai creduto. Fu visto vivo per l’ultima volta in contrada Santa Lucia, nella zona industriale di Brindisi, in quella che all’epoca era la sede dell’azienda della sua ex socia, moglie e prestanome di Cosimo Morleo, da cui si era separato pochi anni prima, insidiandone di fatto il predominio nel commercio dei casalinghi. Cosimo Morleo era il sesto i dodici figli della più potente famiglia di contrabbandieri brindisini: fu il primo, nel clan, a intuire che il contrabbando, da attività in grado di produrre un volume d’affari che garantiva il sostentamento di almeno 5mila famiglie, si stava limitando, anche per effetto dell’efficace azione di contrasto di magistratura e forze dell’ordine, ad essere un business residuale, fagocitato dal più redditizio traffico di sostanze stupefacenti gestito dalla Sacra Corona Unita. La sua azienda di casalinghi fu una delle prime “lavatrici” del denaro accumulato attraverso le attività di contrabbando: l’ex contrabbandiere e il padellaro separarono i loro interessi dopo la morte della prestanome e Morleo impose al giovane imprenditore un patto capestro di non concorrenza, che Cairo finse di accettare ma poi infranse, stringendo un accordo parasociale con un imprenditore leccese per la nascita di una nuova azienda. Per questo fu ucciso, sezionato, dato alle fiamme e buttato in un pozzo.
Sergio Spada, 46 anni, forse il più famoso e il più facoltoso degli imprenditori di casalinghi della zona, fu ucciso il 19 novembre 2001: il suo corpo senza vita fu rinvenuto in una stazione di servizio IP in disuso lungo la circonvallazione di Brindisi, con un colpo di pisto alla testa. Spada, proprietario della “Diamanti”, una fabbrica di stoviglie e accessori da cucina con sede nel rione Santa Chiara, era scomparso la sera precedente, prelevato davanti alla sua abitazione nel rione Casale. Aveva appena aperto con il telecomando il cancello d’ingresso della villa, ma non fece mai in tempo a entrare: il cancello, infatti, si chiuse automaticamente, e di lui si persero le tracce sino al mattino dopo. In sede dibattimentale, più di vent’anni dopo, la moglie riconobbe in Enrico Morleo l’uomo che, poco prima del rientro dell’imprenditore, sostava con fare circospetto nella via di residenza della coppia. La Fiat Uno verde di cortesia che utilizzava in quei giorni. mentre la sua vettura principale era in riparazione, fu ritrovata poche ore dopo completamente bruciata nelle campagne alle porte della città. Secondo la ricostruzione emersa nel processo di primo grado, Spada venne punito per aver avviato contatti commerciali con due società fornitrici di casalinghi in quel momento legate a Morleo con un rapporto di esclusiva.
A legare i due omicidi, attribuendoli a Cosimo ed Enrico Morleo, fu il fratello Massimiliano che, arrestato per traffico di sostanze stupefacenti, pensò bene di limitare l’impatto di quella indagine a proprio carico vuotando il sacco su un segreto a lungo custodito in famiglia.
“Un pregiudicato che diventa collaboratore di giustizia e accusa di duplice omicidio due dei suoi fratelli; la riapertura delle indagini a distanza di più di vent’anni ad opera della stessa squadra di investigatori coordinata dallo stesso pubblico ministero della Direzione Distrettuale Antimafia, Milto De Nozza, che ad un certo punto era stato costretto a chiedere l’archiviazione; l’ipotesi che dietro la sparizione di Cairo e l’uccisione di Spada vi fossero la stessa mano e la stessa mente; la Corte d’Assise che, con una decisione clamorosa del presidente Maurizio Saso, si sposta in aperta campagna, sul luogo dove c’era il pozzo in cui uno degli imputati del processo confessa di avere occultato i resti carbonizzati di una delle vittime, che aveva fatto a pezzi con una motosega: questa vicenda, ancora prima di diventare un podcast, rappresenta un unicum nella storia delle esecuzioni criminali avvenute a Brindisi a partire dalla fine degli anni Ottanta”, spiega Di Napoli, riassumendo in pochi nitidi passaggi di presente storico la peculiarità di avvenimenti che hanno immediatamente mostrato una potenzialità mediatica eccezionale.
“Perché le vittime non erano delinquenti e non svolgevano attività illecite, ma ebbero l’unica colpa di incrociare gli interessi di chi, nel loro stesso campo, aveva investito i proventi del contrabbando di sigarette”, continua il direttore di Senza Colonne News, “E anche le modalità con cui, dopo vent’anni, si è riusciti a identificare e arrestare i presunti (lo sottolineo, perché per il momento abbiamo soltanto una sentenza di primo grado) responsabili, sono inconsuete. Basti pensare che, per stringere il cerchio sui killer, è stata necessaria una specie di messinscena, che poteva rivelarsi un salto nel buio e invece è diventata decisiva”.
La messinscena a cui Di Napoli si riferisce è il sopralluogo di sabato 22 gennaio 2022 nel luogo in cui si trovavano il deposito di legna e quello di casalinghi dei Morleo, attualmente occupato da una ditta estranea al caso dei “padellari”: quella mattina lui, insieme a una decina di giornalisti delle altre testate locali e regionali, era lì, insieme a un imponente dispiegamento di poliziotti che setacciarono il posto pur sapendo che, a distanza di così tanto tempo, nulla di determinante sarebbe emerso. In realtà ciò che premeva agli investigatori era sondare la reazione degli indagati rispetto al blitz: Massimiliano Morleo, il grande accusatore dei due fratelli, aveva già parlato e, in virtù di quella testimonianza, la camera da letto di Enrico era sottoposta a intercettazione ambientale. Vennero captate le sue conversazioni con la moglie, i sospetti sull’esito del sopralluogo, il timore che l’unico testimone oculare, che per due decenni aveva taciuto, messo alle strette, potesse incastrarlo. Ma ciò che si rivelò dirimente rispetto all’accelerazione delle indagini fu il pezzo pubblicato da Il7 Magazine il 27 gennaio 2022, proprio a firma di Gianmarco Di Napoli: per la prima volta veniva indicato Massimiliano Morleo come nuovo collaboratore di giustizia e venivano forniti dettagli sulle sue rivelazioni agli inquirenti, compresi i nomi dei presunti autori degli omicidi di Salvatore Cairo e Sergio Spada. L’ambientale registrò la preoccupazione di Enrico mentre la moglie gli leggeva l’articolo, l’ordine alla donna di cancellarlo dal cellulare, per evitare che fosse scoperto il loro interesse per la vicenda, gli sfoghi successivi dell’uomo, che iniziò a esporsi senza più alcuna cautela, arrivando a tirare in ballo il fratello Cosimo come possibile mandante degli omicidi. Dalle indagini emerse inoltre che, dopo la pubblicazione del pezzo, il fratello Pino Morleo, considerato dagli inquirenti il vero capo della famiglia, avrebbe chiesto a Enrico, di “accollarsi” entrambi gli omicidi per tenere Cosimo indenne dai sospetti.
Quell’articolo, citato tanto nel provvedimento di custodia cautelare in carcere a carico di Cosimo ed Enrico Morleo a firma del PM De Nozza, quanto nella sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Brindisi (relatore il presidente Saso), riveste un’importanza capitale nella storia dei “padellari” fungendo da “detonatore giudiziario” in grado di far saltare, nel giro di pochi giorni, più di un ventennio di omertà familiare e coperture.
Di tutto questo vi è nel podcast un racconto dettagliato, che allaccia l’esperta capacità di Annese di mettere sapientemente a sistema le dinamiche politiche, sociali, economiche e criminali strutturali al territorio con l’intelligente attitudine di Di Napoli a scandagliare e illuminare le contingenze, gli eventi dei singoli, i buoni e i cattivi protagonisti di quella Brindisi nella quale maturarono le vicende tragiche di Salvatore Cairo e Sergio Spada: è il “Doppio fondo” della narrazione verticale e cronachistica delle vicende individuali, che incrocia e attraversa la narrazione orizzontale, storica e collettiva, della città, ma anche il doppio fondo delle migliori padelle in acciaio inox, dei camion nei quali venivano occultate le sigarette di contrabbando, del pozzo di campagna che per ventuno anni custodisce i resti di Salvatore Cairo, recuperati dopo diverse ore di immersione.
“Noi sappiamo molto bene che questo racconto ci espone al rischio di essere definiti distruttori, approfittatori, sciacalli magari. Ecco, mi preme sottolineare che non c’è stata affatto questa intenzione: siamo consapevoli degli sforzi che i brindisini per bene hanno fatto e continuano a fare per migliorare la nostra città, resistere agli assalti del crimine, rendere Brindisi un posto gradevole e tranquillo da visitare. Semplicemente vogliamo raccontare che c’è stato anche altro e che tutto questo “altro”, una parte importante, anche se non esclusiva della città, deve essere conosciuto”, conclude Annese.