Il «gaffone» di Bruno e la corsa di quattro cavalli con le carte napoletane

Editoriale di Gianmarco Di Napoli

L’unico sussulto a una campagna elettorale emozionante quanto una corsa dei quattro cavalli con le carte napoletane è arrivata da una gaffe (il principe de Curtis vorrà perdonare la citazione) “una grossa gaffe, un gaffone”, del consigliere regionale del Pd Maurizio Bruno, già segretario provinciale del medesimo partito nonché ex presidente della Provincia di Brindisi e sindaco di Francavilla Fontana.
Tutt’altro che un pivello alle prime armi, dunque.Bruno, intervenendo alla presentazione ufficiale dei candidati consiglieri delle cinque liste che sostengono il candidato del centrosinistra Roberto Fusco (appoggiato da Pd e M5S), ha esordito rivolgendosi a quest’ultimo con un “caro Riccardo”, lapsus che rimandava al sindaco tutt’ora in carica e sostenuto sino a qualche settimana addietro da quello stesso Pd che ora ha scelto Fusco. Resosi conto del “gaffone”, Bruno tra i sorrisi dei presenti si è corretto, ma ha inanellato poi il secondo gaffone, forse ancora più fragoroso del primo, perché per giustificarsi ha sospirato: “Che volete, il cuore è cuore”, legittimando dunque qualche sospetto sulla sua totale elaborazione di quella candidatura.
Ma la confusione che in quell’attimo regnava nella mente di un politico navigato come Bruno non è solo un banale incidente da liquidare con una risata e un applauso di incoraggiamento, ma l’emblema di una confusione ben più grande, che coinvolge una fetta importante dell’elettorato del capoluogo, soprattutto quella priva degli strumenti necessari per un’analisi politica adeguata, che si trova ad affrontare una competizione elettorale complessa perché svuotata dei tradizionali punti di riferimento politici.Il gaffone di Bruno alla convention del centrosinistra sarebbe potuto avvenire anche sul versante opposto: “Caro Lino, no scusate caro Pino”, anche perché entrambi gli attuali candidati del centrodestra erano a loro volta appendice del poliedrico Pd nei tempi non così lontani della giunta Consales, quando Luperti era assessore ai Lavori pubblici e Marchionna vicesindaco. Insomma non due qualunque, in quella giunta di centrosinistra.
Tra sole quattro settimane si entrerà nei due giorni di silenzio elettorale e poi, il 14 e 15 maggio, si andrà alle urne. C’è pochissimo tempo a disposizione. E i candidati sindaco di Brindisi hanno un dovere al quale non si possono sottrarre, ancor prima di tentare la scalata allo scranno più alto del palazzo di Città: devono essere chiari e onesti nei confronti dei cittadini, andando a compensare la confusione che tutti gli schieramenti politici, nessuno escluso, hanno creato negli ultimi mesi, facendo una guerra interna per la scelta del candidato, senza mettere a punto un vero progetto di governo della città.
Infatti solo il cosiddetto “Terzo Polo”, affidandosi all’ex M5S Gianluca Serra, ha lavorato su un progetto reale. E non ha espresso un proprio candidato sindaco.
I quattro aspiranti sembrano invece avere già bypassato una fase fondamentale, ossia quella di spiegare ai cittadini perché dovrebbero scegliere uno di loro, andando a pescare nel Bignami della campagna elettorale classica, quella che al limite può avere un senso a sei mesi prima del voto, non a sole quattro settimane. Fusco annuncia che andrà a parlare con le istituzioni e i cittadini, Marchionna pubblica sei o sette foto in cui passeggia solitario per le periferie “per conoscerle”, Luperti tira fuori la consunta e classica menata del “chiunque diventa sindaco si riduca lo stipendio”, Rossi arroccato nella quotidianità dei suoi comunicati stampa da sindaco a fine mandato. Sarebbe necessaria a tutti una boccetta di Sympatol.
Nel frattempo i candidati al Consiglio comunale, loro sì che corrono, avendo poco tempo a disposizione per raccogliere voti nel loro orticello elettorale che, come quasi sempre accade, viene coltivato a prescindere dalla collocazione politica. Mai forse come in questa tornata, il puzzle del Consiglio comunale sarà privo di una propria identità politica e formato, a macchia di leopardo, da elementi che garantiscono un certo numero di voti più che reali capacità di fornire un contributo politico alla coalizione di riferimento.
Le liste sono state formate con ritardi clamorosi, pescando spesso nomi solo all’ultimo momento.A Brindisi, dunque, ci saranno così due appuntamenti elettorali ben distinti: il primo, il 14 e 15 maggio, vedrà opposti più le liste che i candidati sindaco sui quali convergeranno, spesso solo di riflesso, le preferenze attribuite ai singoli consiglieri.
E’ quasi scontato che nessuno dei quattro potrà ottenere la maggioranza assoluta (il 50 per cento dei votanti più uno) e così l’ordine d’arrivo del primo turno, potrebbe essere ribaltato al ballottaggio dove, venuti meno i voti ai consiglieri, c’è il rischio concreto che i veleni che hanno diviso al loro interno i due schieramenti si ripercuotano sulle indicazioni di voto che i due candidati sconfitti al primo turno daranno ai loro elettori.
Ecco perché è fondamentale che Fusco, Luperti, Marchionna e Rossi se hanno davvero un progetto per far riprendere quota a Brindisi devono chiarirlo bene, invece di balbettare promesse generiche, pescare nel kit di pronto intervento del piccolo candidato, annaspare nei melensi slogan tipo cettolaqualunque.
Perché in questo momento di estrema confusione, in dirittura d’arrivo di una campagna elettorale che non è mai iniziata, alla vigilia di cinque anni che possono determinare il rilancio o il definitivo declino di una città che si sta perdendo, chi rappresenta meglio gli elettori brindisini è proprio lui: Maurizio Bruno.