Il professor Gatti è morto annegato: addio al medico rigoroso e umano

Di Marina Poci per Il7 Magazine
La notizia è arrivata, inaspettata e deflagrante, nel pomeriggio di domenica 31 dicembre, a ridosso dei preparativi per il cenone di Capodanno, mentre già si sentivano e vedevano scoppiettare i primi petardi di benvenuto al 2024: il professor Pietro Gatti, 59 anni, primario dell’Unità Operativa Complessa di Medicina Interna dell’ospedale Perrino di Brindisi e direttore del Dipartimento di Area Medica di Asl Brindisi, ha perso la vita in una battuta solitaria di pesca subacquea, sua grande passione, nei pressi del pontile di Rosa Marina di Ostuni. Sui siti di informazione online l’annuncio è rimbalzato ad una velocità sorprendente, considerata l’imminenza dei festeggiamenti, mentre i commenti di colleghi, collaboratori, amici e pazienti si sono rincorsi senza sosta: incredulità, sgomento e profondo dolore si sono mescolati al ricordo del suo amore per il mare e la pesca e alle pubbliche lodi delle doti professionali e umane di un uomo che si è speso per la medicina senza risparmiare nemmeno una stilla della sua forza e della sua preparazione. Tanto da meritare, per l’opera prestata in qualità di coordinatore per l’Asl di Brindisi dell’emergenza da Covid-19, l’Onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana, conferitagli con decreto del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e consegnatagli durante una cerimonia tenutasi il primo giugno 2023 nella Prefettura di Bari. Gatti (di cui tutti ricordano la sincera emozione all’arrivo, nell’atrio dell’ex ospedale di Summa, del primo lotto di vaccini, che definì “il nostro futuro, la nostra speranza”), valorizzando il gruppo che gli era stato accanto nelle prime drammatiche settimane di diffusione del virus, in quella occasione aveva commentato dicendo: “Questa onorificenza rappresenta il riconoscimento per il lavoro di squadra realizzato durante l’emergenza Covid. Nello stesso tempo è anche un pungolo per un impegno continuo che io vorrei dedicare a tutta la sanità in provincia di Brindisi”.
Per tutta la sera, e nei giorni successivi alla morte, sui social network si è parlato di “tragedia inspiegabile”, “destino infame”, “morte ingiusta”, “vuoto incolmabile”, “Asl orfana”. Pazienti ed ex pazienti, commossi, hanno reso pubblici (mettendo da parte il pudore personale) dettagli privati di percorsi diagnostici e terapeutici in cui Gatti si è distinto per l’approccio gentile, la disponibilità a elargire suggerimenti e informazioni e, soprattutto, la capacità di intuire problematiche ignorate o sottovalutate da altri professionisti (“Gli devo la vita”, “Senza di lui mia madre non sarebbe qui”, “Ha curato mio padre sino all’ultimo momento, adesso li immagino insieme a parlare di pesca”, “Quando tutti mi dicevano che avevo un problema psicosomatico, il dottor Gatti mi ha prescritto l’esame dal quale si è visto un nodulo al fegato”, “Sono andata a Milano per sentirmi dire dopo due settimane quello che Gatti aveva capito subito”, “Dottor Gatti, con te se ne va uno dei pochi medici di valore con cui si deve confrontare questo territorio”).
Il messaggio della direzione strategica della Asl di Brindisi è stato pubblicato intorno alle 19 del 31 dicembre, appena due ore dopo la conferma che era proprio quello di Gatti il corpo recuperato in mare al largo di Rosa Marina e trasportato sulla banchina di Sant’Apollinare in attesa che arrivassero il medico legale (che avrebbe riscontrato una ferita da trauma al naso) e il sostituto della Procura di Brindisi. Alla fine, anche se l’ipotesi più probabile è apparsa sin da subito quella dell’annegamento per un malore nel corso dell’immersione, la pm Livia Orlando ha disposto che fosse effettuata l’autopsia, svolta mercoledì 3 gennaio 2024, per i cui risultati definitivi ci sarà da attendere qualche settimana. “Abbiamo da poco appreso la tragica notizia della morte del dottor Pietro Gatti, direttore del reparto di Medicina interna e del Dipartimento di Area Medica, a causa di un incidente in mare avvenuto oggi”, hanno scritto dall’Asl, aggiungendo “Perdiamo un uomo di grande umanità e soprattutto un valido professionista: profondamente colpiti da questa immane tragedia, partecipiamo con vivo dolore al lutto della famiglia e di chi gli ha voluto bene”.
Colleghi e collaboratori, ancora a distanza di giorni, appaiono smarriti e addolorati: Gatti, originario di Ceglie Messapica ma residente a Modugno insieme alla moglie, con la quale era sposato da quasi trent’anni, era un punto di riferimento, anche oltre il territorio provinciale, per moltissimi professionisti.
Laureato in Medicina e Chirurgia nel 1995 e specializzato in Oncologia Medica nel 1999 presso l’Università Aldo Moro di Bari, le sue aree di specializzazione riguardavano principalmente la medicina interna, l’epatologia, la gastroenterologia e l’oncologia gastroenterica. Era considerato un luminare nel trattamento della steatosi epatica (l’accumulo anomalo di grassi nelle cellule del fegato), delle malattie dell’apparato digerente e dell’epatite. La sua esperienza nell’esecuzione di ecografie e biopsie epatiche ne faceva uno dei massimi esperti nella diagnosi delle patologie oncologiche benigne e maligne del fegato. È stato ideatore di tecniche interventistiche innovative ed era particolarmente esperto nella termoablazione (una tecnica che prevede l’uso del calore per indurre la necrosi delle cellule tumorali), nonché in trattamenti locoregionali ecoguidati di tumori primitivi e secondari epatici effettuati attraverso utilizzo di radiofrequenze, microonde, elettroporazione irreversibile, alcolizzazione percutanea. Il suo curriculum, facilmente reperibile in rete, è costellato da decine e decine di pubblicazioni su prestigiose riviste scientifiche nazionali e internazionali. I suoi studi sono stati presentati non soltanto in Italia, ma nel corso di convegni in Europa e negli Stati Uniti, occasioni nelle quali amava confrontarsi sulle procedure tecnologicamente più avanzate con colleghi provenienti da tutto il mondo. Amava insegnare: lo scrivono i medici più giovani, ai quali non faceva mai mancare il suo punto di vista dentro e fuori al suo reparto, e lo testimoniano gli studenti della Facoltà di Medicina (dove era stato titolare della cattedra di Semeiotica) e dei vari corsi per professioni sanitarie nei quali era stato docente e ricercatore, in particolare presso il Dipartimento di Scienze Biomediche ed Oncologia Umana dell’Università degli Studi di Bari (diretto dal Prof. Franco Dammacco).
Uno dei primi colleghi ad intervenire pubblicamente, proprio mentre la notizia della morte è iniziata a circolare, è stato il dottor Saverio Cinieri, presidente della Fondazione AIOM (Associazione Italiana Oncologia Medica), direttore dell’Unità Operativa Complessa di Oncologia Medica dell’Asl di Brindisi e della relativa Breast Unit e recentemente autore del libro Dalla condanna alla guarigione, che ripercorre la storia degli ultimi cinquant’anni di cure per il cancro al seno. Durante le presentazioni del suo volume nella provincia brindisina, Gatti è sempre stato l’interlocutore privilegiato di Cinieri, che a proposito del collega ha parlato di “notizia sconvolgente”, commentando con “perdiamo un grandissimo professionista e un vero amico”. E ancora, “Ucciso da quel suo mare che amava tanto”, ha scritto il dottor Francesco Legrottaglie, medico di famiglia. E “Il mare, che Lui amava sopra ogni cosa, si è portato via Piero Gatti”, ha annunciato il chirurgo in pensione Lello Di Bari. I riferimenti al mare si ripetono in molti dei messaggi: al selfie prima dell’ultima immersione dell’anno non rinunciava mai, era diventato un rito atteso e apprezzato dai contatti di Facebook, rinnovatosi anche il giorno della morte, appena qualche ora prima dell’allarme lanciato dalla moglie che non lo ha visto rientrare.
Due i tributi più recenti al suo impegno nella professione medica: l’incarico, conquistato proprio pochi giorni fa, nel Comitato tecnico-scientifico dell’intergruppo parlamentare “Dieta mediterranea: nutrizione, prevenzione e cultura” (nato con l’obiettivo di promuovere le innovazioni in ambito medico e farmacologico alla dieta mediterranea e di sostenere la ricerca su nutraceutica, alimentazione e salute) e il riconoscimento, da parte della comunità scientifica, dello studio sulla sindrome da long-Covid, a seguito del quale aveva ideato, insieme alla startup farmaceutica tarantina Officina Speziale, un integratore alimentare a base di coenzima Q10 e acido alfa lipoico, efficace nell’alleviare i sintomi della stanchezza cronica che molti pazienti accusano dopo avere contratto la malattia.
Un messaggio di grande apprezzamento professionale, che anche all’impegno contro il Covid fa riferimento, è stato vergato dal cardiologo Gianni Spennati: “La sua prematura e ingiusta scomparsa rappresentano una grande perdita per la comunità medica e per tutti coloro che hanno avuto il privilegio di conoscerlo. Il Professor Gatti è stato un luminare della medicina, un professionista dedicato e un mentore per molti. La sua passione per la cura dei pazienti e la sua competenza hanno lasciato un’impronta indelebile nella comunità medica della Provincia di Brindisi. … Ha svolto un ruolo fondamentale nella formazione di nuove generazioni di medici, condividendo la sua vasta conoscenza e la sua esperienza preziosa. La sua gentilezza, la sua umiltà e la sua dedizione al lavoro hanno ispirato molti colleghi e pazienti. Il suo grande contributo alla lotta al Covid resterà sempre impresso in tutti noi. In questo momento di lutto, voglio rendere omaggio a Pietro Gatti e al suo straordinario contributo alla medicina. La sua eredità vivrà attraverso il suo lavoro e l’impatto che ha avuto sulle vite di tante persone”.
La stima e il cordoglio dei colleghi da un lato, la tenerezza e l’affetto di pazienti e famigliari dall’altro, perché il rigore e l’avvedutezza dello scienziato non hanno mai sopraffatto la dimensione profondamente empatica dell’uomo. Lo sa bene il signor Raffaele Croce, nella cui testimonianza dolorosa la vita e la morte di Gatti si annodano fatalmente alla vita e alla morte della sua mamma, ricoverata per circa quindici giorni nella UOC di Medicina Interna del Perrino e presa in cura proprio dal medico cegliese: “Mia madre è arrivata nel suo reparto il 4 dicembre ed è morta il 20 a causa di un carcinoma renale con metastasi. Di lui ricordo la disponibilità a conferire con i parenti dei pazienti in qualunque momento: nonostante tutti gli impegni che aveva, non ci ha mai fatto tornare a casa senza rispondere alle nostre domande. Ci è capitato di aspettare, ma siamo sempre stati ricevuti. Il professor Gatti è stato con noi molto chiaro: pur nella gentilezza dei modi, ci ha fornito tutti i dettagli della patologia, facendoci capire con molto tatto che la situazione era critica, ma rispettando le nostre speranze. Anche quando ha capito che il suo compito era terminato e che non c’era più molto che potesse fare, si è adoperato per creare le condizioni migliori per il ricovero in un reparto di lungodegenza di un altro ospedale. L’ha fatto nonostante fosse certo che sarebbe stata questione di ore. E in effetti ha avuto ragione: mia mamma è morta al Perrino, senza mai arrivare in lungodegenza. Ma la sua disponibilità, così rara, resterà per sempre nel cuore della mia famiglia”.
Il racconto di Croce si interrompe per un istante, la voce gli si incrina al ricordo dei giorni drammatici segnati dalla perdita, sembra quasi che non abbia più voglia di continuare, poi però riattacca, raccontando quello che più lo inquieta: “L’ho visto l’ultima volta il 30 dicembre, il giorno precedente alla morte. Sono stato al Perrino per richiedere la cartella clinica di mia madre e ho pensato di passare a salutarlo. Volevo ringraziarlo per tutto quello che, malgrado l’esito infausto, ha fatto per mamma. Non ricordo come e perché, ma siamo finiti a parlare di destino e di fatalità. Ad un certo punto, si è tirato su le maniche del camice e mi ha mostrato delle cicatrici molto evidenti sul braccio destro, dicendomi di essere stato vittima, qualche tempo fa, di un incidente in mare dal quale era uscito indenne. Ricordo con precisione le sue parole: “Raffaele, sono uscito vivo da sotto alle eliche di un motoscafo, sono un miracolato. Ognuno ha il suo destino, evidentemente il mio non era quello di morire così”. “È andata bene, professore”, gli ho detto allora. E lui, di rimando, con un sorriso che non dimenticherò mai, mi ha risposto: “Sì, quella volta sì, è andata proprio bene”. La sera dopo ho letto dell’incidente e da allora non riesco a togliermi dalla testa quelle sue parole. Mi turba molto che ci abbia lasciato proprio in quel modo”, conclude Croce.
“Medico e uomo generoso”, è stato scritto sul suo manifesto funebre, sul quale non è mancato un riferimento alla sua grande passione: “Amavi il mare ed è lì che sei volato per raggiungere orizzonti che non riesco a scorgere”.
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