Il ricordo di Fabio ora è per sempre nel mare

di Alessandro Caiulo per IL7 Magazine

Il ricordo di Fabio Lodispoto, medico ortopedico di indiscussa professionalità e grande uomo di sport e di cultura, deceduto nel pomeriggio del 14 giugno scorso, a seguito di sincope anossica, nel corso di una discesa in apnea sul relitto della nave Attilio Deffenu, al largo di Casalabate, è ancora molto vivo in quanti hanno avuto modo di conoscerlo e il dolore per la sua scomparsa è ancora lancinante per i suoi tanti amici.
Gente come lui va onorata e ricordata con rispetto, per questo, quando il suo amico fraterno e compagno di tante immersioni, Carlo Caliandro, ha avuto l’idea di far forgiare una targa ricordo, a lui intitolata, questa idea ha raccolto il consenso unanime di tutti quanti. Tale scritto, da apporre sul relitto a sua imperitura memoria recita: “Viviamo nell’illusione del tempo e con l’angoscia della morte. Ma l’Eterno è senza tempo. Perchè ieri è già un ricordo, e domani la speranza di oggi. E la Morte non ci incontrerà mai”.
Quando Claudio Nimis, istruttore subacqueo di lungo corso e suo amico personale, il quale si è preso l’incarico di provvedere, scendendo a 30 metri di profondità, con l’ausilio di bombola ed autorespiratore, alla materiale apposizione della targa sulla nave, nel punto preciso dove fu rinvenuto, esanime, il corpo di Fabio, ha deciso di coinvolgermi per prestare assistenza e provvedere a riprendere ed immortalare l’evento con la mia macchina fotografica scafandrata, ho accettato anche io, con entusiasmo, di partecipare a questa cerimonia.
L’appuntamento, per tutti quanti, è stato al Porticciolo Turistico di Brindisi dove, dopo la foto di gruppo con la targa ricordo, a bordo di alcuni natanti, hanno preso posto oltre al sottoscritto e Claudio Nimis e gli amici apneisti Carlo Caliandro, Teddy Sciurti ed Antonio Palmisano, anche Miriam Cavallo, Alessandro e Stefano Quarta, Giampaolo Carriere, Bruno Scelsi, Cosimo De Donno, Valeria Secchi, Sabrina Epifani, Angelo Tedesco, Antonio Triani, Patrizia Triani, Concetta Belfiore e Nello Sciurti.
Giunti sopra al relitto, dopo circa quaranta minuti di navigazione, le prime lacrime di commozione sono sgorgate sui volti dei partecipanti quando Carlo Caliandro ha rilasciato in mare una corona di fiori dedicata all’amico fraterno scomparso; dopo di che, calata in mare la pesante targa in lega di acciaio inossidabile, da apporre sul relitto, mentre gli amici apneisti vigilavano dall’alto, con Claudio abbiamo cominciato la lenta discesa verso il relitto che, dopo pochi minuti, è cominciato ad apparirci in tutta la sua immensità: si tratta, infatti, di un grosso incrociatore ausiliario, lungo 100 metri, affondato dagli inglesi durante la secondo guerra mondiale, che da allora giace adagiato sul fondo a circa 30 metri di profondità in perfetto assetto di navigazione.
Individuato, non senza un profondo senso di angoscia, il punto preciso dove Fabio ha reso la vita al Creatore, Claudio ha cominciato le operazioni, non certo semplici da compiersi in acqua, di fissaggio della targa su un pezzo di balaustra che ne assicurava sufficiente stabilità: nel frattempo Carlo, Antonio e Teddy, quasi a yo-yo, scendevano in apnea, soffermandosi per qualche secondo fino alla nostra profondità, per vedere da vicino dove e come stavamo sistemando la targa.
Terminata questa operazione, siamo rimasti, un momento, in contemplazione e preghiera fino a quando mi sono reso conto che il computer subacqueo da polso cominciava a segnalare il superamento della curva di decompressione ed anche l’aria nella bombola stava per giungere a livelli di guardia, per cui mi sono trovato costretto ad intervenire su Claudio, completamente, assorto davanti alla targa, per comunicargli che era ora di cominciare le operazioni di risalita.
Liberata l’ancora ed allontanandoci dal relitto, seguendo la corrente che spostava lateralmente il natante di appoggio verso cui pinneggiavamo per farvi ritorno, ci giravamo per un ultimo sguardo sulla targa posta sul relitto e luccicante quasi di luce propria; ma l’esperienza più incredibile doveva ancora avvenire: quando, infatti, il relitto della enorme nave, ormai non si vedeva più, inghiottito come era dal buio degli abissi, un raggio di sole penetrato nel mare e giunto sino ai 24 metri di profondità a colpire la targa, ne faceva rimbalzare fino a noi il lucente bagliore.
Probabilmente è esagerato e fuori luogo parlare di esperienza mistica, ma, confrontandoci appena usciti dall’acqua, sia io che Claudio non abbiamo potuto fare a meno di pensare ad un estremo saluto di Fabio ai suoi amici.
Subito dopo, Claudio mi ha confidato: “Avevo perso completamente il senso del tempo, stando laggiù a contemplare la targa ed a rivolgere in preghiera un saluto a Fabio, io che sono sempre così attento e preciso al computer, ai tempi di immersione, alla decompressione ed all’aria residua nella bombola, tanto che se non mi avessi preso per il braccio facendomi segno che era ora di risalire, me ne sarei ancora rimasto lì, contro ogni regola di prudenza”.
A Carlo Caliandro, il suo amico fraterno, artefice coinvolgente di questa riuscitissima cerimonia, che per due mesi si è dato da fare perché tutto filasse – come in effetti è stato – alla perfezione, ho chiesto come è stata scelta la frase, davvero toccante, incisa sulla targa: “Fabio scriveva dei racconti di fantasia, a volte anche sotto pseudonimo e questa era una frase contenuta in una prefazione che Alessandro Bambini, collega ed amico di Fabio, ha ricordata a noi amici e su cui è bene soffermarsi a riflettere un attimo per capire quanto è profonda: un intero concetto che riassume la vita di Fabio e la sua aspirazione verso l’Infinito, racchiusa in una frase”.