“In carcere affrontiamo l’emergenza tutelando i detenuti”

La situazione nell’istituto di pena di Brindisi non ci preoccupa. Confermo che ci sono 11 detenuti e 4 agenti penitenziari che, venuti in contatto con un soggetto risultato positivo al coronavirus, sono stati isolati, gli uni in un’ala apposita del carcere e gli altri presso il loro domicilio. Nessuno di loro al momento presenta sintomi. Due degli agenti, residenti in provincia di Lecce, sono già stati sottoposti a tampone e risultano negativi. Gli altri due saranno sottoposti al test nella giornata del 30 aprile. Tutto è sotto controllo”.
Esordisce con poche, semplici e chiare parole, la dottoressa Anna Maria Dello Preite, direttrice della casa circondariale di Brindisi: è un messaggio che libera il campo da equivoci e da eventuali speculazioni e che tranquillizza non soltanto popolazione carceraria ed agenti di polizia penitenziaria, ma anche le loro famiglie e i soggetti che per i più svariati motivi hanno accesso all’istituto, i politici che hanno mostrato interesse per la vicenda, i magistrati, gli avvocati e l’opinione pubblica tutta.
La procedura di isolamento è iniziata quando, nel pomeriggio di venerdì 24 aprile, la direzione del carcere è venuta a conoscenza del fatto che un operaio dell’impresa che distribuisce il vitto all’interno dell’istituto è risultato positivo al Covid-19.
Immediatamente sono state attuate, di concerto con il medico competente, tutte le misure idonee a scongiurare la diffusione del contagio, identificando i contatti stretti e ponendoli in quarantena. I detenuti coinvolti (si tratta di persone facenti parte della commissione del controllo vitto, che lavorano in cucina e si occupano della distribuzione dei pasti all’interno delle sezioni) hanno avuto circa 10 giorni addietro contatti diretti con l’operatore positivo e, allo stato, risultano asintomatici. Tuttavia, tutti e 11 nella giornata del 28 aprile sono stati sottoposti a tampone e, in attesa dell’esito che dovrebbe arrivare a breve, sono stati individuati i detenuti che li sostituiranno nelle attività lavorative in cui erano impegnati.
Benché fosse rientrata a casa da poco, immediatamente dopo essere stata informata che una persona positiva al Covid-19 era stata in carcere, la direttrice Dello Preite è tornata in istituto per incontrare sia le persone che stavano per essere isolate, sia il resto della popolazione carceraria e rassicurare personalmente che non c’è ragione di allarmarsi.
Considerato che per tutti coloro che entrano in carcere è quotidianamente verificata la temperatura corporea tramite termoscanner, si presume che l’operatore dell’impresa incaricata del vitto, poiché ha superato il triage, fosse asintomatico nel momento in cui ha effettuato l’accesso in istituto.
Sì, è così. Come tutti gli uffici pubblici, ci siamo attrezzati per la misurazione della temperatura. Ogni mattina tutti noi dipendenti, me compresa, all’arrivo in istituto non timbriamo il cartellino se non viene accertato che la nostra temperatura sia inferiore ai 37,5°. Oltre a ciò, ogni giorno siamo obbligati a sottoscrivere una autocertificazione nella quale ognuno di noi attesta di non essere venuto in contatto con situazioni potenzialmente a rischio. Posso assicurare che tutte le procedure anticontagio si svolgono nel rispetto delle prescrizioni e nulla viene lasciato al caso.
Nella situazione di emergenza sanitaria che stiamo vivendo, chi può entrare in istituto?
Devo dire che, da quando è esploso il virus, gli ingressi di soggetti estranei all’organizzazione sono veramente pochi, essendo sospese le attività scolastiche e trattamentali ed essendoci divieto dei colloqui in presenza con i famigliari. Non abbiamo sospeso i colloqui visivi con gli avvocati, purché si presentino muniti di mascherine, ma nella maggior parte dei casi i legali preferiscono i colloqui via Skype o tramite telefonata.
Esiste un’ala specifica dell’istituto destinata ai soggetti che debbano eventualmente essere posti in isolamento?
È stata individuata una sezione apposita, quella che, prima dell’emergenza sanitaria, accoglieva i detenuti semiliberi. Siccome con i DPCM delle scorse settimane i semiliberi sono stati autorizzati a pernottare presso le loro abitazioni, abbiamo un’intera area non più occupata e possiamo utilizzarla per i soggetti che debbano essere isolati. Aggiungo anche che ormai da qualche settimana tutti i detenuti che arrivano da noi (sia che prima fossero liberi, sia che provengano da altri istituti), prima di essere ubicati nelle sezioni ordinarie, per 14 giorni vengono accolti in questa speciale ala, dove vivono la loro quarantena distanti dagli altri. Il primo triage sanitario avviene all’interno di una tenda donata dalla Protezione Civile e allestita nel cortile antistante l’ingresso dell’istituto. Inoltre, entro il settimo giorno dall’ingresso in carcere tutti vengono sottoposti a tampone. Soltanto in presenza di esito negativo, vengono ammessi a vita comune.
Il DPCM datato 8 marzo 2020 ha sospeso i colloqui in presenza con i famigliari, determinando la compressione di un diritto fondamentale della persona che, per quanto giustificata dall’emergenza sanitaria, aggrava la condizione di isolamento dei detenuti. Quali sono state le reazioni dei detenuti e delle famiglie alla notizia che i colloqui in presenza erano stati sospesi? Avete registrato proteste di particolare gravità?
Soltanto nei primissimi giorni, all’indomani del decreto che ha sospeso la possibilità di effettuare i colloqui visivi, c’è stato un momento critico, ma niente di ingestibile. I famigliari si sono limitati a venire una sera nei pressi dell’istituto per chiedere amnistia e indulto, sospinti dal timore che il contagio potesse sfuggire di mano. Ma si è trattato di proteste generiche, che facevano parte di un disegno nazionale e non avevano niente a che vedere con la gestione specifica dell’istituto. Per quanto riguarda i detenuti, dopo una primissima fase in cui è stata dura accettare che le famiglie non potessero più venire a trovarli, sono stati comprensivi e, pur nella sofferenza, si sono adattati alle nuove modalità di svolgimento dei colloqui. Sappiamo bene che, oltre alla privazione della libertà, in questo momento vivono una sofferenza ulteriore causata dalla mancanza di contatti diretti con le famiglie, per questo ci siamo attrezzati per limitare al minimo i danni di questo nuova condizione, soprattutto con l’ausilio della tecnologia, che serve a loro per colmare il vuoto e a noi per gestire con più tranquillità una situazione che, quanto meno all’inizio, è stata difficile.
A proposito di tecnologia, l’Osservatorio Antigone, che – tra le altre cose – si occupa di documentare lo stato dei penitenziari italiani e le condizioni in cui versano i detenuti nelle strutture di pena, ha inserito il carcere di Brindisi tra le criticità, rilevando, a titolo meramente esemplificativo, che c’è una sola postazione Skype per i colloqui con famigliari e avvocati e che i detenuti avrebbero diritto a tre telefonate a settimana. È corretto?
Non è così. Mi sembra di capire che l’Osservatorio Antigone non sia aggiornato. Ho fornito delle informazioni ai primi del mese di marzo, all’inizio dell’emergenza, quando nessun carcere in Italia era preparato ad affrontare la sospensione dei colloqui in presenza. Abbiamo avuto bisogno di qualche giorno per attrezzarci e mi piace sottolineare che, rispetto ad altri istituti, quello di Brindisi si è mosso velocemente ed efficacemente. In ogni caso, smentisco categoricamente che ci sia soltanto una postazione Skype.
Al momento le postazioni Skype sono ben 4, un numero congruo rispetto al numero di detenuti, considerato che i colloqui visivi, consentiti nel numero di sei al mese, sono oggi sostituiti dalle videochiamate. Preciso anche che, al contrario di quanto riportato da Antigone, ogni detenuto ha a disposizione una telefonata al giorno della durata di dieci minuti, oltre alle telefonate straordinarie che vengono concesse nel caso abbia figli minori di dieci anni. Dalle notizie che ho confrontandomi con i direttori degli altri istituti della regione, posso dire che Brindisi sia l’unico istituto ad avere consentito la possibilità della telefonata giornaliera.
In un ambiente in cui gli spazi condivisi sono molti, come è possibile praticare il distanziamento sociale?
Non è possibile, diciamocelo senza ipocrisie. L’affollamento carcerario è un problema con cui facciamo i conti da decenni e diventa di gestione ancora più difficile in questa fase. Non c’è dubbio che in una stanza detentiva sia impossibile mantenere un metro e mezzo di distanza tra una persona e l’altra. Però cerchiamo di utilizzare tutti gli accorgimenti necessari a preservare la salute dei detenuti, della polizia penitenziaria e dei dipendenti dell’amministrazione carceraria. Tutti i detenuti lavoranti vengono muniti dei dispositivi di protezione individuale adeguati (mascherine e guanti), anche e soprattutto coloro che prestano attività lavorativa all’esterno e devono rientrare nella sezione di appartenenza per la notte.
I detenuti hanno a disposizione otto ore al giorno al di fuori della stanza detentiva, cinque ore di permanenza all’aperto e tre ore nelle sale di socialità, attrezzate con libri, giochi di società e attrezzi ginnici. I detenuti isolati o in attesa di tampone svolgono queste attività in spazi appositi, distanti dal resto della comunità carceraria. Laddove non vi siano provvedimenti di isolamento, si continua a fare vita comune, per cui parlare di distanziamento sociale è complicato.
Secondo lei, per una “Fase 2” realmente efficace per il sistema penitenziario quali interventi sarebbero necessari?
Io ritengo di poter affermare con tranquillità che i colloqui visivi si potrebbero riprendere, anche soltanto ammettendo a colloquio un solo famigliare, con tutte le precauzioni del caso (distanza di un paio di metri, mascherina, guanti). La situazione di Brindisi, sia nel carcere che in città, è tale da poter assicurare che il tutto si svolga senza grandi impedimenti. Rispetto alla ripresa delle attività trattamentali, ricreative e scolastiche, purtroppo temo che, sino a quando la situazione sanitaria non sarà migliorata, sia sconsigliabile: le nostre aule e i nostri laboratori sono talmente piccoli che non saremmo in grado di garantire le distanze di sicurezza. Possiamo soltanto pensare a delle iniziative che coinvolgano un numero esiguo di detenuti per volta, ma sarebbe complicato, e forse anche ingiusto, dover scegliere chi far partecipare. Vorrei però sottolineare che non tutto è fermo. Per coloro che frequentano corsi scolastici si prosegue attraverso la didattica a distanza, con tutti i limiti che questo comporta. Poi qui a Brindisi abbiamo un bellissimo progetto di sostegno alla genitorialità, chiamato “Altrove”, attuato con l’appoggio dell’associazione “Bambini senza sbarre”, grazie al quale un’esperta in counseling a cadenza settimanale incontra un gruppo di detenuti e promuove attività a supporto del ruolo genitoriale, mentre a cadenza quindicinale organizza laboratori che coinvolgono, assieme ai detenuti, i figli minori. Ovviamente il progetto in sè, curato dalla dottoressa Angela Corvino, attualmente è sospeso, ma i referenti si sono comunque messi a disposizione per ricevere le telefonate di famigliari, soprattutto bambini privati della possibilità di incontrare i genitori detenuti, e offrire consulenza psicologica in questo momento così delicato. Il servizio, denominato “Telefono giallo”, è attivo dal lunedì al venerdì dalle ore 10 alle ore 18, telefonando al numero 392/9581328. Mi sembra un bel modo per testimoniare che, nonostante la pandemia, l’istituto è vicino ai detenuti e alle loro famiglie.
Malgrado le difficoltà di gestione che il sistema penitenziario sta vivendo in questi mesi, le chiedo di chiudere con una nota positiva.
Lo faccio volentieri: i detenuti del carcere di Brindisi stanno donando alla Caritas diocesana parte della loro spesa settimanale. È il segno che, nonostante le difficoltà personali, si stanno preoccupando di chi ha meno di loro e questo non può che incoraggiarci.