
Di Marina Poci per il numero 403 de Il7 Magazine
Si trova sulla scrivania della Giudice per le indagini preliminari Barbara Nestore, al terzo piano del palazzo della Procura della Repubblica di Brindisi, il fascicolo nel quale sono contenute le emergenze investigative sino ad ora raccolte in relazione alla morte del giovane Mirko Conserva, il ventenne brindisino vittima di un incidente stradale poco prima delle quattro del mattino di domenica 15 settembre, quando, a bordo del proprio scooter T-Max, stava percorrendo via Caduti di Via Fani per raggiungere l’ospedale Antonio Perrino, presso cui lavorava come dipendente di un’impresa di pulizie.
Sarà in base agli atti di quel fascicolo, tra i quali spicca l’esperimento giudiziale mediante cui – con tutte le criticità rilevate dalla difesa della famiglia della vittima – è stato riprodotto il sinistro, che la dottoressa Nestore valuterà se sia fondata – o meno – l’opposizione dei parenti di Conserva alla richiesta di archiviazione formulata dal PM Francesco Carluccio, e se siano effettivamente necessarie le ulteriori indagini richieste per accertare – o escludere – la responsabilità penale del dirigente del settore Lavori Pubblici del Comune di Brindisi, Stefano Fabio Lacinio, difeso dall’avvocato Roberto Cavalera, che nel procedimento risponde di omicidio colposo.
Una archiviazione che la Procura ritiene doverosa essenzialmente per due ordini di ragioni, la prima delle quali riguarda la circostanza che le condizioni di dissesto del manto stradale (per via delle radici affioranti degli alberi piantati ai due lati della via Caduti di via Fani), unitamente alla insufficiente illuminazione e all’asfalto reso scivoloso dalla presenza di un tappeto di aghi di pino, sarebbero stati soltanto una concausa del sinistro. Intanto perché Conserva procedeva ad una velocità superiore di più del doppio di quella consentita su quel tratto stradale (ovvero a più di 100 chilometri orari, laddove il limite, prima che, dopo l’incidente l’amministrazione comunale lo abbassasse a 30, era fissato a 50). E poi perché non è possibile escludere, in assenza di un esame autoptico e di accertamenti ematochimici, che vi siano state altre cause a turbare la condotta di guida della vittima (un malore improvviso, ad esempio, o uno stato di alterazione psicofisica dovuto a qualsivoglia motivo, o semplicemente una distrazione determinata dal cellulare). Considerazioni tutte compendiate nell’assunto, più che perentorio, che il consulente tecnico nominato dal PM, l’ingegner Maurizio Sagace, nella propria relazione ha messo nero su bianco: “Le radici hanno rappresentato una concausa del sinistro la cui causa principale è da attribuire all’eccessiva velocità di marcia del Conserva”.
La seconda ragione a supporto della richiesta di archiviazione riguarda, a detta del sostituto procuratore Carluccio, la “inesigibilità” in capo all’indagato, del dovere di provvedere alla manutenzione della strada in cui si è verificato l’incidente: in altri termini, l’ingegner Lacinio era sì tenuto, nella sua qualità di dirigente dell’Ufficio, a disporre la realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali. E tuttavia, non avendo egli effettivi poteri di spesa a causa della mancanza delle risorse necessarie da parte del Comune di Brindisi, la trasgressione dei doveri derivanti dalla sua posizione di garanzia non può essere sanzionata penalmente. È bene precisare che, stando alla normativa vigente, i proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni previste dal Codice della Strada devono essere devoluti (nella misura del cinquanta per cento) all’ente proprietario della strada stessa che, per questa ragione, diventa il responsabile della sicurezza della viabilità cittadina. Una mancanza che, a Brindisi, era stata rilevata già a partire dal 2013 dai dirigenti dell’Ufficio Lavori Pubblici e Mobilità Urbana, che avevano fatto presente ai sindaci e agli assessori succedutisi gli obblighi giuridici previsti. Nonostante le molteplici relazioni informative e le richieste di stanziamento di risorse finanziarie (alcune formulate dallo stesso dirigente indagato), però, la mancanza di fondi (o comunque il mancato utilizzo degli stessi per le finalità di sicurezza stradale) avrebbe impedito all’indagato di intervenire adeguatamente.
Una ricostruzione giuridico-fattuale, quella del PM, che l’avvocato Giacinto Epifani, nel proporre l’opposizione all’archiviazione nell’interesse di Maurizio Conserva e Anna Brina, genitori del giovane centauro, ha recisamente contestato. Infatti, l’ingegnere Sagace, nella perizia a sua firma, se pure parla delle radici affioranti esclusivamente come di concausa dell’incidente, non esita a cristallizzare che l’ente gestore della strada (cioè il Comune di Brindisi) avrebbe comunque dovuto essere eliminarle, oppure segnalarle con transenne, e che l’area interessata dal dissesto, in attesa di riparazione, avrebbe dovuto essere interdetta alla circolazione con idonea segnaletica di pericolo. Ma a ciò, secondo la difesa della famiglia, si aggiunge una ulteriore considerazione: in una delle sue missive all’amministrazione comunale, datata 21 dicembre 2022, Lacinio stigmatizzando l’assenza di risorse di bilancio, affermava che l’inattuabilità del programma di opere pubbliche a causa della mancanza di dotazioni finanziarie avrebbe comportato la chiusura di una serie di spazi comunali pericolosi (scuole, impianti sportivi, strade, tra le quali certamente rientrava a pieno titolo via Caduti di Via Fani). Chiusura alla quale l’ingegner Lacinio, o chi per lui, non ha mai provveduto. Né alcuno ha mai provveduto a interdire al transito, sia pure parzialmente, la via del sinistro, oppure a transennare il margine destro della carreggiata (cioè almeno quella porzione di strada in relazione alla quale venne poi disposto a ottobre del 2024 il sequestro da parte del PM). Sono tali condotte omissive, che certamente non possono essere addebitate alle scelte dell’amministrazione comunale di non destinare i fondi normativamente previsti alla sicurezza stradale, il perno attorno a cui ruota buona parte dell’impianto dell’opposizione del difensore della famiglia. Secondo il quale, dunque, non coglierebbe affatto nel segno l’argomentazione del PM, che nella richiesta di archiviazione ha sostenuto di non poter ritenere censurabili dalla giustizia penale, in ragione della loro discrezionalità, le decisioni politiche. Perché, per l’appunto, non è la politica ad essere sotto accusa, ma un funzionario che risponde della violazione di precise condotte astrattamente rientranti nel suo dovere d’ufficio.
Ulteriore punto focale è costituito dalla velocità di marcia di Mirko Conserva al momento dell’impatto: una questione che, secondo l’avvocato Epifani, non può essere scissa da quella relativa al punto di immissione della vittima su via Caduti di Fani, giacché proprio in funzione della provenienza del centauro si può ipotizzare con un certo grado di attendibilità a quale velocità il giovane procedesse. Il signor Mattia Leuzzi in sede di investigazioni difensive ha riferito alla difesa della famiglia di aver visto Conserva prima delle quattro del mattino del 15 settembre con il casco indossato e allacciato, in sella al proprio scooter, nel piazzale del centro commerciale Brin Park, in prossimità del fast food McDonald’s, dove – secondo abitudini note anche ai parenti – Mirko spesso faceva colazione. Ebbene, in considerazione di tanto, la difesa sarebbe stata in grado di ricostruire che la vittima, prima di immettersi in via Caduti di Via Fani, avrebbe affrontato la rotatoria non proveniente da un rettilineo, circostanza che avrebbe teoricamente giustificato una velocità relativamente alta, ma dalla strada perpendicolare che collega la rotatoria al Brin Park. Contingenza che rende di fatto incompatibile – per strette ragioni fisiche spiegate nella consulenza di parte a firma dell’ingegnere Michele Zongoli – il dato espresso nella relazione del consulente del PM, secondo cui la velocità di marcia era di oltre cento chilometri all’ora. Proprio in ragione di queste considerazioni, si giustificherebbe l’integrazione probatoria alla base della opposizione alla richiesta di archiviazione, ovvero il rinnovo della consulenza tecnica (con relativa rivalutazione della condotta di guida del ragazzo) e la richiesta di ascolto da parte della Procura di Mattia Leuzzi, le cui dichiarazioni sono – potenzialmente – in grado di capovolgere l’intero impianto accusatorio.
E a proposito della consulenza di parte svolta dall’ingegnere nominato dalla famiglia, interessanti e meritevoli di approfondimento, da parte della magistrata chiamata ad esprimersi, potrebbero rivelarsi le argomentazioni di Zongoli in relazione all’esperimento condotto per riprodurre le modalità dell’incidente, ma realizzato – secondo quanto scritto nella relazione del tecnico di parte – senza alcun criterio scientifico.
L’ingegnere, che ha attribuito la perdita di controllo dello scooter da parte di Conserva alla presenza delle radici degli alberi affioranti sul manto stradale, alla scarsa illuminazione pubblica e alla scivolosità dell’asfalto, dovuta agli aghi di pino (che avrebbero determinato una riduzione del coefficiente di aderenza delle ruote), ha infatti osservato che l’esperimento non sarebbe attendibile intanto perché la moto non era identica a quella di Mirko (ma più recente di vent’anni e quindi molto più performante) e poi perché sullo scooter utilizzato per l’esperimento non sarebbe stato installato nessun dispositivo elettronico certificato per misurare la velocità all’uscita dalla rotatoria e le diverse velocità ed accelerazioni subite quando il veicolo è transitato sulle radici.
Dopo la discussione in camera di consiglio, adesso le valutazioni spettano alla Giudice Nestore: indagato e famigliari ne attendono la decisione, mentre su via Caduti di Via Fani, dove tre giorni dopo la morte di Mirko Conserva fu riparata una buca che forse avrebbe potuto essere utile alle indagini, adesso si può transitare con il limite di velocità posto a trenta chilometri orari.