
di GIANMARCO DI NAPOLI per il7 Magazine
La sensazione è che la Procura distrettuale antimafia di Lecce abbia impresso un’accelerata improvvisa a un’inchiesta che era destinata a concludersi sì con ordinanze di custodia cautelare, ma probabilmente solo tra alcuni mesi o forse più. E ha fatto benissimo, perché a San Pietro Vernotico la situazione rischiava di degenerare in maniera tragica: se ne aveva la sensazione e oggi se ne ha la certezza, leggendo il sunto delle indagini che hanno portato al fermo di quattro persone, ma soprattutto all’individuazione di chi, seppur rinchiuso in un carcere di massima sicurezza, aveva messo sotto scacco un intero paese, per questioni personali (la rabbia contro la sua ex moglie e contro la famiglia con la quale si era ricostruita una vita) e per questioni criminali ed economiche (gestione del racket delle estorsioni e dello spaccio di cocaina).
Cristian Tarantino, 36 anni, da alcuni mesi recluso nel carcere di Secondigliano, era talmente potente che mentre i suoi uomini, qualche settimana fa, massacravano di botte il fratello della sua ex moglie per strada, durante la festa patronale di San Pietro Vernotico, a due passi da autorità civili, militari e religiose e dalla statua del santo, lui assisteva in diretta alla scena dalla sua cella, grazie a una videochiamata fatta da uno dei complici.
Era talmente potente, e privo di qualsiasi inibizione, che – sempre dall’interno del carcere (all’epoca quello di Sulmona) – si era fatto un profilo Tik Tok come un qualsiasi libero cittadino, con il suo nome e pubblicava storie, foto e video con i quali non sono affermava il suo potere completo, ma in maniera irridente rivendicava gli attentati, minacciava, si faceva beffe delle istituzioni. Nella sua cella sono stati trovati uno smartphone di ultima generazione e un computer portatile con tanto di valigetta.
Era talmente potente che si era messo in testa di rifondare la Sacra corona unita, almeno quella che era un tempo la frangia tuturanese, tentando di mettere da parte il boss ergastolano Francesco Campana, ma persino aspirando ad assumere un ruolo preminente rispetto a Raffaele Renna, detto Puffo, considerato da anni il numero uno della criminalità organizzata a San Pietro Vernotico.
Era talmente convinto di restare impunito che ha ordinato le ultime due azioni criminali contro la sua ex moglie (l’aggressione al fratello e l’incendio all’auto della madre) all’indomani della condanna a ulteriori sette anni e otto mesi di reclusione per le minacce gravissime nei confronti della donna e della sua avvocata, Egle Tatiana Ignoni.
In un’atmosfera surreale degna di una puntata di Gomorra (ma qui è tutto vero), la vicenda ruota intorno a una giovane coppia che si conosce, si innamora e decide di avviare un progetto di vita insieme. Entrambi sono molto coraggiosi e consapevoli di ciò cui andranno incontro: qui non ci sono famiglie che osteggiano la loro relazione, ma lei è l’ex moglie di quello che viene considerato un boss del paese, poco più che trentenne ma con condanne che lo dovrebbero tenere in cella per altri vent’anni. Lui le ha già fatto sapere che mai e poi mai accetterà comunque che possa rifarsi una vita con un altro uomo. Resterà sua a vita, anche se non stanno più insieme, anche se lui è recluso in carcere. Così la pensano i boss. La loro relazione tra i due giovani inizia in maniera clandestina, come se fossero due amanti, ne sono messi a conoscenza solo i parenti più stretti. Sono facilitati dal fatto che lui, che fa l’operaio, per un certo periodo lavora a Roma e quindi nessuno li vede insieme. Ma poi rientra a San Pietro dove il padre e lo zio gestiscono una salumeria. Lei scopre di essere incinta, una gioia che preferisce tenere nascosta perché sa che dal carcere Tarantino potrebbe perdere definitivamente la testa.
Ma il paese è piccolo e le voci corrono. La coppia capisce che ormai la storia d’amore è pubblica quando il padre di Tarantino, dipendente pubblico, smette di frequentare la salumeria e taglia i rapporti con lo zio e il padre del nuovo compagno dell’ex nuora.
Da quel momento è un incubo che dura quasi due anni: gli uomini di Tarantino tentano di piazzare un Gps sull’auto del giovane per monitorarne i movimenti. Il 16 ottobre 2022 una prima bomba viene collocata davanti alla salumeria del padre “Sapori mediterranei”. Il 6 febbraio 2023 un altro ordigno distrugge l’ingresso del locale le cui saracinesche, solo due settimane dopo, vengono crivellate con 15 colpi d’arma da fuoco. Il 16 maggio 2023 viene incendiata e distrutta l’auto di lei, una Citroen C3. Il 5 dicembre 2023 viene recapitata ai proprietari della salumeria una lettera minatoria con la quale vengono chiesti 30mila euro. L’1 maggio 2024 una terza bomba viene fatta esplodere all’ingresso della salumeria, causando ingenti danni.
Poi ci sono gli ultimi due episodi, quelli che hanno convinto la DDA di Lecce (che da oltre un anno monitorava le conversazioni di Tarantino con i suoi complici) ad accelerare i tempi perché la situazione sembrava ormai degenerare ulteriormente, dopo la condanna a sette anni e otto mesi di carcere per le minacce alla ex moglie e alla sua avvocatessa. La sentenza è stata pronunciata il 25 giugno 2024. Quattro giorni dopo, in piena festa patronale, il fratello della ragazza viene attirato fuori da un locale e massacrato di botte. Finisce in ospedale con quindici giorni di prognosi. Uno degli aggressori riprende con il telefonino la scena non per farci un video ma perché è in videochiamata con Tarantino che dal carcere di Sulmona si gode la scena. L’8 luglio successivo la Golf della madre della giovane donna viene data alle fiamme in via Fanin dopo che da qualche ora si era verificato un misterioso black-out con buio totale nella zona.
In tutto questo stillicidio di attentati, di minacce, di aggressioni lei non ha ceduto: nonostante viva nell’incubo e sotto la tutela delle forze dell’ordine, ha deciso di portare avanti la sua vita, con il suo uomo. Anche la famiglia di lui ha dimostrato uno straordinario coraggio: nonostante gli attentati subiti e il fatto che gli affari non vadano più bene come un tempo perché nei confronti di quell’attività commerciale – colpita dall’ostracismo di un presunto boss mafioso – non si vende più come un tempo. Ma questo non ha impedito a lavoratori onesti non solo di condividere le scelte fatte dal figlio, ma di avere il coraggio di denunciare ai carabinieri tutto, senza nascondere nulla di quello che stava accadendo.
Probabilmente la giustizia avrebbe potuto muoversi con maggiore celerità visto che sin dalle prime conversazioni intercettate, ormai più di un anno fa, era chiaro che la banda che fa capo a Tarantino era responsabile della persecuzione ai danni della nuova famiglia della ex, e che contemporaneamente strozzava le attività commerciali con attività estorsive e tentava persino di legittimare l’immagine del comandante della stazione dei carabinieri di San Pietro Vernotico, mettendo in circolazione un fotomontaggio con il quale speravano di metterne in discussione l’immagine.
Mentre Tarantino è stato spostato da Sulmona a Secondigliano, in carcere a Brindisi sono finiti Omar De Simone, indicato come il luogotenente di Tarantino e che avrebbe ricevuto le disposizioni attraverso i contatti avuti con i telefoni e i computer; Carmine Fellini, con il ruolo di nascondere l’esplosivo, eseguire gli attentati e le spedizioni punitive; Daniele Poso avrebbe fornito a Tarantino le informazioni sulle persone da colpire; e Antonio De Michele accusato di avere collocato l’esplosivo e di tentate estorsioni. Rispondono tutti di associazione mafiosa. Nelle ultime ore sono scattati altri due fermi, disposti dalla procura per i Minori di Lecce, nei confronti di due minorenni ritenuti responsabili dell’aggressione avvenuta durante la festa patronale, ma anche di estorsioni e attentati, sempre commissionati da Tarantino.
Ora si attendono le prossime decisioni dei giudici e probabilmente l’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare complessiva che metta un punto fermo su questa vicenda.
Per dare un po’ di serenità a una famiglia devastata e a quella parte della comunità di San Pietro Vernotico che non ha fatto finta di nulla e che è rimasta dalla parte delle vittime.