Di Marina Poci per Il7 Magazine
È passato quasi un mese da quando, nella Chiesa Madre di Fasano, con la presenza di centinaia di persone tra parenti e amici, si sono celebrati i funerali del professore ventinovenne Marcello Vinci, precipitato durante la notte tra il 5 e il 6 marzo scorso dal trentacinquesimo piano di un grattacielo a Chengdu, la città di sedici milioni di abitanti nel sud-ovest della Cina, nella quale il giovane lavorava come interprete in una scuola del Consolato Italiano.
A quelle esequie non è, però, seguita la tumulazione: la salma di Marcello, che la famiglia non ha ancora potuto riconoscere, è arrivata da Pechino stretta dai sigilli internazionali e, soprattutto, in una bara di dimensioni non conformi all’ampiezza dei loculi italiani, tanto che i genitori, che dapprima avevano acquistato un loculo, per rendere dignitoso il riposo eterno del loro prezioso ragazzo sono stati costretti a prenderne in affitto un altro, più spazioso.
La scomparsa di Marcello Vinci, all’esito di un’autopsia i cui costi sono stati anticipati dalla famiglia e il cui referto stringato non dà atto nemmeno di un’adeguata ispezione cadaverica in grado di rilevare eventuali altre lesioni, è stata classificata in Cina con la generica formula di “morte per caduta dall’alto”, attribuendo quel tragico volo di trentacinque piani alla deliberata scelta del giovane di togliersi la vita. A questa frettolosa tesi la famiglia di Marcello non ha mai creduto, ragione per la quale si è affidata ad un avvocato per il deposito presso la Procura della Repubblica di Roma (competente a svolgere indagini per fatti commessi all’estero in danno di cittadini italiani) di un’istanza per il riconoscimento della salma (mai avvenuto, giacché la bara non è mai stata aperta) e lo svolgimento di un’altra autopsia con le garanzie del procedimento penale italiano (prima tra tutte la partecipazione all’esame dei famigliari, in qualità di persone offese, attraverso la nomina di un tecnico di parte che possa interloquire con il perito nominato dal sostituto procuratore investito del caso).
In verità una prima istanza è già stata rigettata dal magistrato romano, che sarebbe orientato per l’archiviazione del fascicolo aperto contro ignoti a seguito dell’esposto dei genitori: si attende al momento l’esito della seconda, mentre un’azione risarcitoria finalizzata al rimborso delle spese di autopsia (anticipate dalla famiglia) e di rimpatrio sostenute da Antonio Vinci e Angela Berni è già stata avviata dall’avvocato nei confronti delle autorità di Chengdu.
La versione ufficiale di Pechino non ha mai convinto chi Marcello lo conosceva bene: dopo un percorso universitario brillante presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma, dove si era laureato in Lingue per l’Intepretariato e la Traduzione con una tesi intitolata “Il Dragone veste made in Italy” (in cui si coglie l’evidente riferimento al film di successo “Il diavolo veste Prada”), viveva in Cina dal 2019, dove aveva prima lavorato in un’azienda italiana che si occupa di moda a Shangai e poi era stato assunto dal Consolato come docente a Chengdu. Per via della pandemia da Covid-19, che aveva determinato costi insostenibili per i biglietti aerei, da quel momento non era riuscito a tornare a Pezze di Greco, ma in diverse occasioni a parenti e amici aveva manifestato l’intenzione di rientrare in Italia a partire dal 2024, dicendo chiaramente che il 2023 sarebbe stato l’ultimo anno trascorso in Cina. Solo che il 2024 per Marcello Vinci non è mai arrivato e il 2023 non è mai finito. Cosa sia accaduto esattamente in quel grattacielo nel centro di Chengdu nella notte tra il 5 e il 6 marzo non appare chiaro: a distanza di nove mesi, le uniche certezze sono il ritrovamento sul marciapiedi del corpo di Marcello alle prime luci dell’alba di giorno 6 e la convocazione, intorno alle nove e mezza di giorno 7, nella Stazione dei Carabinieri di Pezze di Greco, dei genitori del giovane per la comunicazione della morte.
Tutto il resto appare nebuloso e privo di riscontri oggettivi: secondo quanto ricostruito dagli investigatori cinesi, Vinci si trovava nell’appartamento da cui è precipitato in compagnia del proprietario, un quarantacinquenne cinese conosciuto da poco con il quale avrebbe bevuto qualcosa prima di sentirsi male. Quest’uomo avrebbe riferito agli inquirenti di avere lasciato da solo Marcello che, a causa del malore, si sarebbe steso sul letto in attesa di stare meglio. L’uomo si sarebbe poi spostato in un’altra stanza, sino a quando sarebbe stato attirato da un forte tonfo. Sarebbe rientrato nella camera e, non vedendo tracce di Marcello, si sarebbe affacciato alla finestra, scorgendo per strada il corpo del ragazzo. Versione che non deve avere convinto immediatamente nemmeno gli inquirenti cinesi se è vero, come è vero, che per tutto il tempo delle indagini, durate circa due settimane, il proprietario dell’appartamento è stato trattenuto in stato di fermo (anche perché sembra che, prima di chiamare la polizia, abbia ripulito l’abitazione per poi nascondersi in un armadio). Dopodiché, inspiegabilmente, l’indagato, che attualmente risulta irreperibile, è stato rilasciato e la morte di Vinci è stata catalogata come suicidio. Chi aveva raccolto la volontà di Marcello di rientrare in Italia non si rassegna a questa conclusione, definita dalla famiglia “assurda”: poche ore prima della morte, il giovane aveva parlato al telefono con il padre, che lo aveva sentito semplicemente un po’ stanco per la professione impegnativa che svolgeva, aveva inviato una foto alla mamma proprio mentre si trovava nel bar dove avrebbe incontrato l’uomo cinese e aveva inoltrato via mail il programma di lavoro per i giorni successivi alla collega che lo affiancava. Tutte circostanze difficilmente compatibili con un proposito suicidiario manifestatosi poi da lì a poche ore, a meno di non ritenere Vinci un eccezionale attore, capace di nascondere anche a chi lo conosceva meglio il (presunto malessere) che lo attanagliava.
In ogni caso, la fiducia della famiglia è adesso tutta riposta nella magistratura italiana: Angela Berni e Antonio Vinci, che da quella convocazione in caserma del 7 marzo scorso hanno avuto la vita stravolta, continueranno a lottare per vedere la memoria di Marcello onorata da una verità che non contempli l’approssimativa conclusione di una morte volontaria.
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