Di Marina Poci per il numero 360 de Il7 Magazine
Una di loro l’avevamo “conosciuta” a poche ore dal turpe evento che, lo scorso 25 giugno, ha sconvolto Latiano: all’indomani dell’aggressione di “L.”, la 39enne picchiata selvaggiamente in casa dal marito (forse persino alla presenza del figlio nato dalla loro unione), una giovane latianese del quartiere Pigna, lo stesso dell’appartamento della coppia, ci aveva affidato telefonicamente e in maniera anonima la sua rabbia e la sua amarezza, e – in modo nemmeno troppo celato – ci aveva preannunciato che no, le sue concittadine non sarebbero rimaste in silenzio e non avrebbero abbassato la testa. Così è stato: a lei, alla professionista, moglie e madre che, ancora sotto shock, ci aveva rivelato qualche dettaglio di quella storia tragica, negli scorsi giorni si sono unite più o meno altre venti latianesi per costituire il “Collettivo donne contro la violenza” in collaborazione con l’associazione “Io Donna”, presieduto da Lia Caprera, che gestisce un centro antiviolenza a Brindisi.
Non ancora “associazione”, non genericamente “gruppo”, nemmeno “comitato”, ma orgogliosamente “collettivo”: l’impegno di queste attiviste inizia dal nome che in assoluta libertà e nella piena consapevolezza dei propri diritti e del proprio ruolo sociale si sono date. E il pensiero non può che correre al periodo tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, quando nelle grandi città del Centro-Nord, Roma, Firenze, Bologna, Milano, Torino, i primi collettivi femministi prendevano forma e vita, regalando alle donne, attraverso la pratica dell’autocoscienza, una diversa ipotesi di sé e un nuovo modo di stare al mondo.
Persuase che la violenza degli uomini contro le donne non sia un’emergenza, ma un fenomeno strutturale, endemico e sistemico, le latianesi promotrici dell’iniziativa sono accomunate dall’urgenza di interloquire con le istituzioni cittadine a seguito – si legge testualmente nel documento programmatico diffuso agli organi di informazione nella forma della lettera aperta – del “silenzio che è calato sull’accaduto rispetto al quale, invece, sono necessarie forme pubbliche di discussione e confronto volte a promuovere una cultura di rispetto e uguaglianza e per l’affermazione dei diritti di cittadinanza delle donne, primo tra tutti il diritto di vivere libere dalla violenza. Come cittadine impegnate”, continuano le donne coinvolte, “chiediamo che l’Amministrazione Comunale si faccia urgentemente promotrice di una manifestazione pubblica che culmini in un dibattito aperto, con l’obiettivo di superare la barriera del silenzio che denota la persistenza di un modello culturale complice e a tratti omertoso”.
Peccato che, da parte delle istituzioni a cui la lettera è indirizzata (il sindaco Cosimo Maiorano, il presidente del Consiglio Comunale Gabriele Argentieri, l’assessora alle Politiche Sociali Luana Monaco, l’assessora alle Pari Opportunità Monica Albano e, più in generale, la Giunta e l’intera assise comunale), il silenzio persista e alcuna presa di posizione sia stata resa pubblica da quando il Collettivo si è costituito.
“Abbiamo deciso di chiedere pubblicamente una collaborazione alle istituzioni locali con l’obiettivo di superare quel silenzio”, precisano le fondatrici, nella consapevolezza che spesso “la donna che subisce violenza diviene oggetto di giudizi e commenti che acuiscono le ferite e il danno subito, con il conseguente risultato di attenuare la responsabilità di chi agisce la violenza, normalizzandola come male inevitabile” e nella speranza di risparmiare a “L.”, la vittima del 25 giugno, lo stigma che tale dinamica sovente determina.
È questo il messaggio chiaro “che il Collettivo vuole trasmettere a tutte le donne vittime di violenza: non siete sole. È fondamentale chiedere aiuto e rivolgersi alle strutture di supporto disponibili per uscire dal ciclo di violenza e trovare protezione e giustizia”, aggiungono a gran voce le promotrici, appellandosi – oltre che alle istituzioni – alla “componente sensibile e solidale della nostra comunità”, affinché si attivi “per assicurare il sostegno necessario sul piano dell’assistenza sanitaria, legale, economica e lavorativa”.
Chiedono all’amministrazione comunale la condanna pubblica di ogni forma di violenza di genere attraverso campagne di informazione e sensibilizzazione mirate; la promozione – anche in collaborazione con altri enti e associazioni – di iniziative educative nelle scuole e nella comunità locale per informare e sensibilizzare giovani e adulti sui temi della violenza maschile sulle donne; una campagna di informazione sull’esistenza di servizi di assistenza psicologica, economica, legale e sanitaria adeguati e facilmente accessibili; la collaborazione con le associazioni locali che operano nel settore, per creare una rete di supporto efficace e capillare; l’istituzione di un osservatorio comunale sulla violenza di genere con il compito di monitorare il fenomeno e proporre interventi mirati”, nella convinzione, dicono ancora, che “per combattere la violenza, bisogna partire da iniziative strutturate di educazione, sensibilizzazione e informazione che devono essere costanti, capillari e condotte a più livelli, rivolgendosi sia ai giovani sia agli adulti”. Per queste, che definisce “idee concrete sia nel breve che nel lungo periodo”, il Collettivo ha deciso di chiedere “supporto alle istituzioni locali, prima tra tutte l’Amministrazione Comunale” dalla quale però, come già detto, al momento non è ancora giunto riscontro.
E anche da parte della comunità cittadina, stando alle indiscrezioni trapelate, la notizia della costituzione del Collettivo sarebbe stata accolta in maniera piuttosto timida, per non dire fredda e, addirittura, si sarebbero registrati persino dei “suggerimenti” (non vogliamo credere che si sia trattato di tentativi di intimidazione…) a desistere dall’iniziativa, nel rispetto (?!?) della vittima e del minore coinvolto, suo malgrado, nell’episodio di violenza.
Intanto, sul fronte delle indagini, dopo l’interrogatorio di garanzia nel corso del quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Brindisi ha confermato il fermo del marito 41enne di “L.”, al quale è stata applicata in via cautelare la misura della custodia in carcere per i reati di maltrattamenti e lesioni personali gravi, il prossimo doloroso passo sarà l’incidente probatorio disposto dal PM della Procura di Brindisi Pierpaolo Montinaro, nel quale sarà ascoltato il figlio minore della coppia: l’esame testimoniale dell’adolescente, il primo a raggiungere la casa vicina di alcuni parenti per dare l’allarme e provocare l’intervento delle forze dell’ordine, sarà condotto dal Giudice Vittorio Testi alla presenza della dottoressa Isabella D’Attoma, psicologa. Le risultanze probatorie dell’escussione potranno essere utilizzate nell’eventuale processo a carico dell’uomo, evitando al figlio di testimoniare in aula.
Intanto lei, “L.”, la donna che in una torrida serata di inizio estate ha ricevuto più botte di quante un corpo umano dovrebbe mai sopportarne, la donna trovata in fin di vita in giardino, coperta da due lenzuola, la donna picchiata a sangue dal compagno esperto di arti marziali che, in un primo momento, ai Carabinieri ne ha persino negato la presenza in casa, sta meglio: dopo essere passata dal reparto di Rianimazione a quello di Neurochirurgia dell’ospedale Perrino di Brindisi, è ancora ricoverata e lentamente si sta ristabilendo dalle ferite fisiche della violenza. Non sappiamo se sia stata informata della costituzione del Collettivo, ma ci piace credere che, nella solitudine della sua stanza di degenza, possa percepire l’abbraccio affettuoso delle sue concittadine e, al di là delle questioni giudiziarie, che seguiranno il loro corso naturale, sul suo corpo violato possa avvertire l’impronta potente della sorellanza. E forse no, a distanza di cinquant’anni dalle prime esperienze dei collettivi femministi, queste donne non le sentiremo urlare “Tremate, tremate, le streghe son tornate” e magari nemmeno le vedremo andare in giro per Latiano a passo di carica con le mani a forma di rombo a rivendicare la libertà dall’oppressione patriarcale, eppure, quando pensiamo alla loro intraprendenza e al loro risoluto coraggio, in lontananza, da qualche parte tra parco Pigna e la casa di “L.”, ci pare di cogliere il buffo lieve di un energico coro femminile pronto a scandire audacemente “Siamo – il grido – altissimo e feroce – di tutte quelle donne – che più non hanno voce”…
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