di GIANMARCO DI NAPOLI
Evidentemente le minacce di Pancrazio Carrino non erano soltanto folli tentativi di avere visibilità come forse potevano apparire in un primo momento: il pluripregiudicato di San Pancrazio Salentino, 42 anni, è accusato di essere responsabile e mandante di una serie di atti di violenza e minaccia, aggravati dal metodo mafioso, ai danni della giudice per le indagini preliminari di Lecce, Maria Francesca Mariano e della pm Carmen Ruggiero della DDA, sotto scorta da settembre dopo aver firmato gli atti dell’inchiesta The Wolf contro la Sacra corona unita. E di minacce anche a Enzo Magistà, direttore del TG Norba.
A Carrino, già detenuto dallo scorso anno, è stata notificata in carcere un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Potenza su richiesta della DDA del capoluogo lucano.
La gip presso il tribunale di Lecce Maria Francesca Mariano e la pm antimafia Carmen Ruggiero nei mesi scorsi sono state destinatarie di lettere intimidatorie con minacce di morte, e anche di tentativi di aggressione durante gli interrogatori. A Mariano lo scorso settembre venne recapitata anche una testa di capretto insanguinata e infilzata con un coltello da macellaio, accompagnata da un biglietto su cui era scritto ‘Così’: la testa dell’animale fu lasciata davanti alla porta della sua abitazione.
Il direttore di Telenorba, Enzo Magistà, invece, avrebbe ricevuto una lettera con del sangue. Carrino era già in arresto nell’ambito dell’operazione The Wolf che vede coinvolto il clan Lamendola-Cantanna. L’ordinanza per il suo arresto era stata emessa proprio dalla gip Mariano su richiesta della sostituta Ruggiero. Sono sei i capi di imputazione, al momento gli esecutori materiali delle minacce non sono stati individuati.
Carrino avrebbe brandito un oggetto metallico tagliente per impedire al personale della polizia penitenziaria di riportarlo in cella, dopo l’ora d’aria, e avrebbe consegnato a uno degli ufficiali dei carabinieri, in occasione dell’interrogatorio con la giudice, il punteruolo e un foglio dove era riportato il nome di quest’ultima.
L’istanza di patteggiamento a 8 mesi è stata poi rigettata perché gli inquirenti potentini avevano deciso di contestare anche l’aggravante mafiosa e, in quell’occasione, collegato in videoconferenza dal carcere di Terni, ribadì il suo augurio di morte alle due magistrate salentine e, in particolare, alla giudice Mariano di “guardarsi le spalle”.
IL PERSONAGGIO
“Ho sbagliato, non avrei dovuto sparare al benzinaio, ma al mio complice che guidava la moto perché al semaforo c’era il rosso e si è fermato”:
quando aveva 28 anni e venne arrestato per il tentato omicidio di un benzinaio di Francavilla Fontana, durante una rapina, Pancrazio Carrino così si giustificò con il giudice che lo interrogava in carcere dopo l’arresto. Quella di Carrino è sempre stata una vita borderline, alternata tra azioni criminali più o meno spregiudicate a colpi di teatro altrettanto singolari. Per inciso, quando venne arrestato per quella rapina (correva l’anno 2010) il pregiudicato di San Pancrazio si nascondeva in una tenda piantata sulla spiaggia di Torre Castiglione, località che si trova tra Porto Cesareo e Punta Prosciutto.
La sua imprevedibilità non gli ha impedito di stringere legami forti con la Sacra corona unita. Il pentito mesagnese Emanuele Guarini ha raccontato alla stessa pm Carmen Ruggiero che “Stellina”, soprannome nato dal tatuaggio che Carrino porta proprio al centro della fronte, era considerato vicino al boss mesagnese della Sacra corona unita, Francesco Campana.
Ma ciò che ha probabilmente destabilizzato Carrino è stata l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Lecce su richiesta della DDA in cui è accusato di far parte del clan Lamendola della Sacra corona unita brindisina. Carrino era uno degli uomini di fiducia del boss Gianluca, considerato il più fedele e affidabile.
Non sono tanto le accusa di associazione mafiosa, né di tentato omicidio, né di spaccio di droga, che gli avrebbe fatto completamente perdere il controllo, quanto quella di violenza sessuale nei confronti della sua fidanzata.
Secondo quanto emerso dalle indagini, dopo la rottura sentimentale con la sua fidanzata, aveva messo in atto una terribile vendetta: aveva fatto in modo che la ragazza assumesse cocaina e Kamagra, e aveva permesso a un transessuale ingaggiato tramite una escort di abusare di lei. Ovviamente la vittima non aveva presentato alcuna denuncia ma la vicenda fece vacillare l’intera organizzazione. Lamendola, che inizialmente pensò di ucciderlo, lo costrinse a lasciare San Pancrazio e a rimanere in una sorta di arresti domiciliari voluti dalla sua stessa banda, all’interno di un B&B nelle campagne di Fasano.