
Di Marina Poci per Il7 Magazine
Giuseppe Stasi è un uomo minuto, dal sorriso gentile e dai modi garbati. Il passo svelto con cui si porta verso lo scranno dove è chiamato a testimoniare sulla morte del figlio Paolo deve essere inversamente proporzionale al peso che gli grava sul cuore mentre ricorda l’ultimo sguardo che Paolo gli ha rivolto prima di spirare, accasciato con le spalle al portoncino a cui pochi istanti prima si è affacciato per rispondere alla chiamata di Luigi Borracino, il killer reo confesso, allora 17enne. Giuseppe è stato il primo dei famigliari a soccorrere il ragazzo: il suo è un racconto lucido e pacato, privo di tentennamenti, rigato qua e là da una sottile bava di tenerezza che coglie il padre mentre rievoca il carattere schivo e chiuso del figlio, che “usciva soltanto per andare dai parenti, mai un gelato o una pizza con gli amici, passava le giornate nella sua stanza a chattare con una ragazza di Roma che di persona non aveva mai incontrato, riceveva soltanto Luigi”.
Certamente l’udienza di martedì 27 febbraio, presso la Corte d’Assise di Brindisi presieduta da Maurizio Saso (giudice a latere Adriano Zullo), registra nelle parole di Stasi padre il suo picco emotivo più alto, ma non è con la sua testimonianza che si apre: il primo a offrire alla Corte un contributo per stabilire cosa sia realmente accaduto la sera del 9 novembre 2022, quando il 19enne viene attinto da due colpi di pistola sull’uscio dell’abitazione di residenza della famiglia, in via Occhi Bianchi numero 16 a Francavilla Fontana, è il maggiore dei Carabinieri Rolando Giusti, all’epoca dei fatti comandante del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Brindisi. È l’uomo che ha svolto le indagini coordinate dal sostituto procuratore della Repubblica di Brindisi Giuseppe De Nozza e che ha costruito l’impianto accusatorio di questo processo, in cui Christian Candita risponde dell’omicidio pluriaggravato (premeditazione e futili motivi) di Paolo Stasi in concorso con Luigi Borracino (giudicato dinnanzi al Tribunale dei Minorenni di Lecce) e di reati legati alla detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti in concorso con altre otto persone (tra cui Annunziata D’Errico, madre di Paolo).
Per la ricostruzione, Giusti si avvale di una presentazione PowerPoint e dei frames dei video estratti dalle telecamere di sorveglianza, che consentono di ricomporre nell’aula bunker del Tribunale di Brindisi il complesso puzzle delle fasi del delitto: “avvicinamento, realizzazione, allontanamento”, le chiama il maggiore.
Tutto si consuma in pochi minuti, meno di sette.
Alle 17:26:50 del 9 novembre una Fiat Punto nera, in uso a Christian Candita (proprietaria è la madre), è catturata a via San Biagio, a circa trecento metri da casa Stasi. Il conducente indossa una felpa bianca con riporti rossi (la stessa con cui Candita verrà ripreso qualche giorno più tardi dalla telecamera piazzata davanti alla sua abitazione). I vetri laterali e posteriori della Punto sono oscurati, ma l’immagine frontale consente di distinguere un display che oscilla nelle mani di qualcuno. E che Candita non sia da solo in macchina si evince anche dal fatto che ad un certo punto si volta verso il sedile posteriore, proprio come per parlare con qualcuno. L’auto riparte a fari spenti e alle 17:28:10 parcheggia in via della Conciliazione, dove resta ferma per circa tre minuti: a quel punto una persona vestita di scuro, con scarpe bianche e cappuccio ben calato in testa, scende dal veicolo, attraversa via Di Vagno e si immette su via Occhi Bianchi. È Luigi Borracino, vero e proprio “gestore” della rete di spaccio che in casa Stasi trovava forse un centro di confezionamento. Secondo la Procura, Paolo Stasi e la madre Annunziata D’Errico hanno maturato nei confronti del 17enne un debito di droga di circa 5mila euro: è il movente dell’omicidio, anche se Borracino insiste nell’affermare che non esiste alcun debito e non era sua intenzione uccidere Stasi, ma soltanto spaventare lui e la madre.
L’ora in cui la Punto guidata da Candita parcheggia in via della Conciliazione è compatibile con la telefonata da numero anonimo che Paolo riceve alle 17:29:37. Borracino lo chiama anonimamente pensando che oscurare il mittente gli consenta di non essere rintracciato (pochi minuti prima, secondo gli inquirenti, aveva fatto la stessa cosa con Candita, per accertarsi che il meccanismo funzionasse). I controlli successivi sui tabulati, però, dimostrano che la scheda telefonica da cui parte quella chiamata, che è intestata a uno straniero residente a Napoli, è registrata sul telefono di Paolo Stasi con la dicitura “Luigi Borracino 2”. Sono le 17:31:39, quando l’immagine di Borracino che cammina a passo svelto è catturata da una telecamera posizionata a circa dieci metri da casa Stasi; dopo 30 secondi, o poco più, l’allora 17enne fa la strada al contrario, questa volta correndo. Sono le 17:32:10: Paolo Stasi è già tra le braccia del padre Giuseppe, da lì a pochi istanti spirerà.
Borracino lo ha colpito due volte, dichiara il maggiore Giusti: il colpo mortale è quello che entra a pochi centimetri dal capezzolo sinistro e ha come foro d’uscita la parte destra del dorso; il secondo ferisce Stasi alla clavicola destra. Di quei fori Giuseppe Stasi non si accorge immediatamente: dichiara alla Corte che, quando sente “rumore di due o tre colpi” giù, nell’ingresso dell’abitazione, si trova sul piano ammezzato, si è appena svegliato dal riposo quotidiano e non ha sentito suonare al citofono.
Una volta sceso, trova Paolo di spalle al portone d’entrata: barcolla sino ad accasciarsi, sembra essere ancora cosciente e tuttavia ha lo sguardo perso. “Era emotivo e impressionabile”, ricorda il padre, “ho pensato che si fosse spaventato per il rumore di quelli che io avevo scambiato per petardi, o che avesse avuto un malore”. I fori di entrata dei proiettili dell’arma con cui Borracino, per sua stessa ammissione, lo ha colpito, Giuseppe Stasi li vede soltanto quando arriva il personale del 118, che in un estremo tentativo di rianimazione solleva la maglia del figlio per applicare gli elettrodi del defibrillatore sul petto. Quando il presidente Saso gli chiede com’è possibile che non si sia accorto del sangue, Stasi padre risponde che Paolo aveva una maglia a fantasia, non sarebbe stato facile distinguere eventuali macchie.
Nel momento in cui Paolo muore, in casa ci sono i genitori: Giuseppe Stasi racconta che, una volta resosi conto che il figlio era agonizzante, chiama la moglie perché solleciti l’arrivo dei soccorsi. Soltanto dopo qualche istante si rende conto della presenza, nel minuscolo androne dell’abitazione, di una borsa del tipo utilizzato per la spesa, mai vista prima. Chiede alla moglie di portarla su, perché non ostacoli le operazioni dei soccorritori del 118: quella busta, poggiata da Annunziata D’Errico sul letto di Paolo, verrà aperta qualche ora dopo la morte del giovane da un carabiniere. Dentro ci troveranno carta forno, bustine di plastica, bilancini di precisione, ciò che il presidente Saso in udienza definisce “il kit dello spacciatore”. Ma di quella rete di presunto spaccio Giuseppe Stasi dichiara di non sapere nulla: sì, qualche volta ha percepito un leggero odore di spinello provenire dalla stanza in cui Paolo passava la maggior parte del suo tempo e nella quale riceveva Luigi Borracino, ma niente che lo abbia allarmato al punto da chiedere spiegazioni al figlio. Anche perché la moglie minimizzava, diceva che Paolo, sempre chiuso in casa, ogni tanto aveva diritto a qualche svago.
Svago che, stando a quanto riferito dal marito, ogni tanto anche lei si concedeva: Giuseppe Stasi dichiara, infatti, che qualche anno prima dell’omicidio aveva scoperto nella borsa della moglie “cartine” e “bustine di plastica trasparente” (era il 2018, probabilmente) e le aveva intimato di abbandonare l’abitudine (“ero certo che l’avesse fatto… poi, dopo quello che è successo, non so se sia vero”).
Giuseppe Stasi non ha mai fatto uso di droga, né ha mai visto Paolo consumarne (da solo, con la madre o con chiunque altro), o almeno così dichiara: l’impressione è quella di un uomo ignaro di quanto accadeva sotto il suo stesso tetto, dove ha persino accolto quello che sarebbe poi diventato l’assassino di suo figlio, scambiandoci qualche parola di circostanza. Un uomo amareggiato per non avere approfondito alcune intuizioni, schiacciato da una perdita inestimabile, divorato da interrogativi a cui trova difficile dare risposta. Un uomo che sta cercando di mettere insieme i pezzi di una vita che si è fermata la sera del 9 novembre 2022, quando ha incrociato lo sguardo “stupito” (così lo definisce) del figlio dopo i colpi di pistola di Borracino.
Anche Vanessa Stasi, sorella di Paolo, è chiamata a testimoniare: per risparmiarle lo strazio del rievocare, il pubblico ministero De Nozza chiede che vengano acquisite le dichiarazioni rese nel verbale di sommarie informazioni nell’immediatezza dell’omicidio. La difesa acconsente, così Vanessa risponde soltanto a poche domande, chiarendo che il fratello era una persona molta sola e che dal 23 gennaio 2021 non usciva da casa, se non per visitare la nonna o fare pochi acquisti. Ricorda con precisione la data, perché è il giorno in cui Paolo ha perso il suo migliore amico, Antonio, per le conseguenze di un grave incidente stradale. Da allora nessuno ha potuto sostituire il giovane nella vita di Stasi, che non è stato in grado di elaborare il trauma della perdita e si è chiuso sempre di più in se stesso.
L’udienza si sarebbe chiusa così, con le parole tristi di Vanessa Stasi, se “l’ira funesta” dell’avvocato Michele Fino, precedente difensore dell’imputato Christian Candita (ora difeso da Maurizio Campanino, già legale di Luigi Borracino), non fosse esplosa a respingere le accuse che Candita stesso ha lanciato all’indirizzo del legale un paio d’ore prima: al momento in cui viene sentito come testimone il perito informatico Maurizio Ingrosso, incaricato dalla Procura di eseguire copia forense dei telefoni degli imputati e di Stasi, si evince infatti che sul telefono di Candita la perizia non è stata possibile, giacché lo stesso non ha mai fornito a Ingrosso il codice di sblocco del proprio iPhone 13.
Senonché lo spregiudicato Candita, chiedendo di rendere dichiarazioni spontanee, riferisce alla Corte di avere comunicato il codice all’avvocato Fino, asserendo quindi che sia stata una scelta del difensore non averlo a sua volta comunicato al perito. Dichiarazioni che Fino ha ritenuto inaccettabili, tacciandole di “mendacio”, sollecitando l’intervento della Procura e riservando ogni azione personale a tutela della propria onorabilità professionale. Incalzato dal PM e dal presidente Saso, Candita fornisce il codice a sei cifre che consente l’accesso al suo cellulare sul quale, secondo l’imputato, “non c’è niente da nascondere”. In considerazione di tanto, il PM si riserva di fare ricorso al disposto dell’articolo 507 del codice di procedura penale, che consente alla Corte, chiusa l’istruzione dibattimentale, di assumere d’ufficio nuove prove e completare, quindi, l’esame peritale sui dispositivi telefonici in uso a tutti gli imputati.
Nel frattempo, mentre è già stato dato incarico al perito per la trascrizione della mastodontica mole di intercettazioni telefoniche e ambientali disposte nel corso delle indagini (per il deposito delle quali sono stati richiesti 90 giorni), la Corte ha rinviato il processo al 9 aprile (data in cui saranno ascoltati altri quattro testimoni), con sospensione dei termini di durata massima di custodia cautelare in relazione al delitto di omicidio volontario per il quale è imputato Candita, ipotizzando un’istruttoria lunga e complicata.
Luigi Borracino, il grande assente fisico di questo processo, è tuttavia una presenza che aleggia per tutta l’udienza, dalle immagini acquisite dalle videocamere di sorveglianza, alle dichiarazioni di Giuseppe Stasi che, segnalando Luigi come unico amico di Paolo, immediatamente imprimono una direzione alle indagini: il 9 maggio toccherà a lui presentarsi dinnanzi al Tribunale per i Minorenni di Lecce, dove sarà giudicato con rito abbreviato per l’omicidio del ragazzo che andava a trovare quasi ogni pomeriggio tra le 17:30 e le 18:00, il ragazzo a cui, poco prima di sparare due colpi di pistola a distanza ravvicinata, ha fatto uno squillo anonimo sul cellulare.
Senza Colonne è su Whatsapp. E’ sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati
Ed è anche su Telegram: per iscriverti al nostro canale clicca qui