Oss si ammala in servizio: 15 giorni in Rianimazione e ora rischia il posto

di Lucia Pezzuto per il7 Magazine

Contrae il Covid aiutando i pazienti del reparto di Malattie Infettive ed ora dopo quindici giorni di Terapia Intensiva non sa se le verrà prorogato il contratto di lavoro. “Quando fai un lavoro come il mio il rischio lo metti in conto ma mai mi sarei immaginata che sarebbe stata così dura. Ho trascorso quindici giorni in terapia intensiva e in quel letto ho rivisto i volti dei miei pazienti e vissuto sulla mia pelle la loro sofferenza. E’ stato terribile”. A raccontare la sua malattia è Elisabetta Carlà, una Oss, Operatrice Socio Sanitaria, di 45 anni, originaria di Castromediano, Lecce, impiegata nel reparto di Malattie Infettive dell’ospedale Perrino di Brindisi dove lo scorso 27 ottobre ha contratto il virus Covid-19. “Stavo lavorando già da quattro ore- racconta- indossavo il tutone, la mascherina, il calzari, insomma tutto il kit di protezione. Ero nel mio reparto, quello delle Malattie Infettive, e stavo assistendo un paziente, un medico, che doveva essere intubato e trasferito nella Terapia Intensiva. E’ stato un attimo. Ho sentito le gambe che mi cedevano per il dolore , il cuore che batteva forte e non vedevo più nulla”. Elisabetta è crollata davanti ai suoi colleghi mentre assisteva una persona in condizioni critiche a causa del Covid. Quel giorno per lei è cominciato il suo incubo personale che oggi a distanza di quasi due mesi si porta ancora dietro.
“Sono crollata, non me lo aspettavo. O meglio, quando fai questo lavoro lo metti in conto ma non pensavo che sarebbe successo anche a me- dice- Io prima ero assegnata al reparto Vascolare ma con l’inizio dell’epidemia mi hanno spostata in quello di Malattie Infettive con i pazienti affetti da Covid. Sinceramente non è stato un problema. Io, come i mei colleghi, non ci siamo mai tirati indietro. Neppure quando molti di noi hanno cominciato ad ammalarsi”. In questi mesi di pandemia numerosi operatori socio sanitari si sono ammalati. In tanti hanno contratto il virus infettando a loro volta anche i propri famigliari. Così come i medici e gli infermieri, gli Oss non si sono mai risparmiati e nonostante le difficoltà hanno continuato da marzo ad oggi ad combattere in prima linea il Covid-19.
“Molti miei colleghi si sono infettati proprio lavorando in questi reparti- dice Elisabetta- nonostante le precauzioni, il virus è riuscito a diffondersi. Una mia collega positiva al Covid ha, purtroppo, infettato il suo bambino di appena un anno”. Gran parte delle persone contagiate finiscono per trascorrere la quarantena in casa, o perché sono asintomatiche o perché i sintomi sono lievi. Non è stato così per Elisabetta che è stata colpita dal virus in modo violento. “Non avevo alcuna patologia pregressa ed ero sana- dice- eppure il virus mi ha distrutta. Quando quel 27 ottobre crollai nel reparto subito mi fecero il tampone ed ebbi la certezza di essere positiva. Dopo qualche ora avevo già la febbre a quaranta. I primi giorni sono stata a casa. Ho fatto trasferire mia figlia dai nonni mentre mio marito è rimasto con me. Dormiva in cucina sul divano. Ma poi la situazione è precipitata, la saturazione è arrivata ad 88 e sono finita nel reparto di Terapia Intensiva attaccata all’ossigeno con un casco sulla testa”.
Elisabetta è stata ricoverata alla DEA di Lecce nel reparto di Terapia Intensiva. Qui ha vissuto i quindici giorni peggiori della sua vita. “La situazione era critica per me. Ho contratto la polmonite bilaterale con versamento- racconta- ero bloccata in un letto e il mio respiro dipendeva da una maschera per l’ossigeno. Stavo malissimo. In quel momento ho rivisto mentalmente i volti di tutte quelle persone che avevo assistito. Quando non sai cosa ti aspetta hai paura ma quando lo sai è ancora peggio. Io ero circondata dai macchinari e mi chiedevo cosa stesse per accadere. I medici non mi dicevano nulla ma parlavano solo con mio marito. Mi sentivo come un pesce in una bolla e non riuscivo neppure a dormire. Avevo paura che se avessi chiuso gli occhi non mi sarei più svegliata”. Isolata dal mondo e spaventata Elisabetta è rimasta nel reparto di Terapia Intensiva per quindici giorni. La donna racconta il suo incubo e ancora oggi piange. “Un giorno, ero ancora in quel letto attaccata all’ossigeno, vidi un’ombra davanti al vetro che mi separava dalla corsia- ricorda in lacrime- era mio padre. Era riuscito ad entrare nel reparto e mi guardava da lontano. Mio padre ha 70 anni, io posso solo immaginare la sua preoccupazione. Intorno a me c’era il delirio, tanta gente che stava male anche molti giovani. E’ stato un inferno”. Oggi Elisabetta quell’inferno se lo porta ancora dentro, anche ora che è tornata a casa. “Mi sveglio di notte urlando, ho gli incubi. Penso ancora di stare in quel reparto- dice- E’ una sensazione bruttissima. Io non lo nascondo: sono traumatizzata. Ho chiesto aiuto per questo. Ora c’è una psicologa che mi segue e che mi sta aiutando anche se telefonicamente. Per ovvi motivi non ci si può spostare. Nel frattempo sto seguendo una terapia per la polmonite e tra qualche giorno dovrò fare una tac per vedere come stanno i miei polmoni. Purtroppo a causa del virus ne ha risentito anche il cuore, soffro di una brutta tachicardia, assumo dei farmaci perché il cuore va in fibrillazione”. Nonostante questo Elisabetta spera di stare presto bene e guarire del tutto per poter tornare a lavoro, in quello stesso reparto dove ha conosciuto il virus.
“Voglio tornare a lavorare- dice- del resto è quello che ho scelto di fare nella vita. Per anni ho atteso di poterlo fare e assistere gli altri, soprattutto in questo momento particolare di bisogno, non mi spaventa. Ma purtroppo c’è un altro problema. A gennaio scadrà il contratto di lavoro e non si sa se ci sarà una proroga”. I paradossi della vita, Elisabetta come altri 140 Oss ogni giorno sono in prima linea per aiutare ed assistere i pazienti, a rischio della propria vita in questo periodo di emergenza sanitaria. Eppure il suo resta un lavoro precario. I contratti di lavoro per questi Operatori Socio Sanitari scadranno il 31 gennaio scorso e la Regione Puglia ad oggi, nonostante i solleciti dei sindacati e della stessa Asl di Brindisi, non ha fatto sapere nulla circa la loro proroga. “ Abbiamo atteso dieci anni per avere questo posto di lavoro- dice Elisabetta- noi siamo quelli che entrarono in graduatoria dopo l’avviso pubblico nel 2009. Tutti noi abbiamo sempre lavorato senza mai tirarci indietro, ma ora siamo diventati invisibili”.