Padre Bernardo Selvaggi: nel ‘600 un frate brindisino vero precursore

di Gianfranco Perri per il7 Magazine

Bernardo Selvaggi nacque a Brindisi agli inizi del diciassettesimo secolo, e giacché era abbastanza basso di statura i suoi contemporanei lo soprannominarono “lu Piccinnu ti Brindisi”. Ancor giovane entrò a far parte della famiglia religiosa dei Frati Minori Osservanti Riformati di San Francesco.
Presenti i francescani nella regione salentina fin dalle origini duecentesche infatti, negli ultimi decenni del ‘500 era prosperata tra i Frati Minori una seconda famiglia, quella detta della Serafica Riforma o della più stretta Osservanza. Nel contesto della Regolare Osservanza di San Nicolò, cinque Frati Minori con a capo padre Ludovico Galatino, nel 1588 ottennero dal pontefice Sisto V i primi conventi di ritiro, iniziando proprio da quello di Santa Maria del Casale a Brindisi, e nel 1590 primo custode ne fu padre Pietro Galatino.
Durante il Seicento alcune centinaia di predicatori minoritici per l’avvento e per la quaresima si ponevano a disposizione della vigilante sacra gerarchia per denunciare vizi, per stimolare, per correggere e per incoraggiare le popolazioni minacciate dalle eresie, nonché dalle sempre più frequenti scorrerie dei turchi. La corrente riformatrice nel 1628 già regolava 26 case con 343 membri e col motu proprio Iniuncti Nobis del 12 maggio 1639, il papa Urbano VIII elevò la custodia in Provincia Reformata Sancti Nicolai de Apulia.
Provincia dei Frati Minori Osservanti Riformati alla quale, quindi, appartenne anche il padre brindisino Bernardo Selvaggi, il quale in vita divenne molto famoso, grazie alle sue ‘peculiari’ doti oratorie che lo fecero annoverare addirittura tra i grandi oratori sacri italiani del ‘600.
Effettivamente, salì sui pergami – i pulpiti in pieno uso a quel tempo – di molte città d’Italia, predicando e riscuotendo ovunque grandi acclamazioni ed applausi tra il popolo devoto, ma non perché usasse nelle sue prediche uno stile forbito o d’ingegnosa tessitura, quanto piuttosto per una certa originalità di forma e di concetto che alle volte rasentava il grottesco. Potremmo, perciò, immaginarcelo come una specie di “precursore dei tempi” pur senza che allora fossero già state inventate le tv, fb, twitter, wa e quant’altro.
Bisogna infatti aggiungere – obiettivamente e a suo favore – ch’egli probabilmente, se non fu solo intuito, ebbe la perspicacia d’aver studiato ed aver compreso molto bene il suo secolo, con tutti i suoi vizi e con le sue virtù, e avendone notato la depravazione in fatto di gusto letterario, pur di ottenere lo scopo di far penetrare nelle menti del popolo la verità della sua fede, rivestiva ad arte le verità medesime di quella forma letteraria, e probabilmente non solo quella, che più si aggiustava al gusto popolare dell’epoca.
«Solo in questo modo è forse possibile spiegare gli applausi che riscuoteva dappertutto, perché se apriamo e leggiamo i tomi delle sue opere predicabili, ci incontriamo di tratto in tratto in qualche strampaleria, detta per giunta in uno stile ‘da chiodi’. Non si può comunque negare in lui un ingegno svegliatissimo e multiforme e l’oratore facondo, ragion per cui acquistò ai suoi tempi presso a poco la stessa notorietà e popolarità del nostro padre Agostino da Montefeltro». [“Brindisini illustri” di Pasquale Camassa, 1909].
E il rinomato cronista dei francescani salentini, il padre Bonaventura Quarta da Lama, nella sua dettagliata “Cronica de’ Minori Osservanti Riformati della Provincia di S. Nicolò” pubblicata in Lecce nel 1723, a proposito del padre Bernardo Selvaggi, tra l’altro commenta: «Le sue intemperanze oratorie e la depravazione della sua eloquenza, così come gli fruttavano comunemente le acclamazioni dei popoli a cui predicava, così gli procuravano i violenti attacchi da parte di coloro che disapprovavano un tal genere di oratoria sacra. Egli, che per quanto si dilettava della lode, per altrettanto mal sopportava il biasimo e la poca considerazione in cui era tenuto, specialmente dai religiosi suoi confratelli, volle far manifesto tutto il suo corruccio con un panegirico al quale diede per titolò “La virtù vilipesa” che fa parte delle sue opere.»
Decisamente “lu Piccinnu ti Brindisi” sembra proprio in qualche modo assomigliare ad uno di quei tanti personaggi d’oggi: di quelli, per esempio, che per stare alla moda amano farsi chiamare ‘influencer’.
Oltre all’arte della parola, il nostro padre Bernardo – seguendo in questo la moda dei suoi tempi – volle coltivare anche la poesia. Ma in quel campo, apparentemente, non eccelse troppo, come può dedursi dalla lettura di alcuni dei suoi sonetti che si ritrovano stampati nelle introduzioni dei vari volumi che con le sue opere – secondo Camassa ‘non degne del cedro’, non degne cioè d’essere immortalate – furono pubblicati in Lecce, appresso Pietro Micheli, tra il 1665 e il 1676 e di cui rimangono pochissimi esemplari, alcuni dei quali si conservano nella Biblioteca comunale A. Vergari di Nardò.
“Panegirici sacri de’ santi, ovvero discorsi spirituali del reverendo padre fra Bernardo Selvaggi da Brindisi, teologo, predicator generale dell’Ordine de’ Minori, osservante riformato, della provincia di San Nicolò”: L’universale de’ doni; Il gemini; Il trionfo di Michele; Il mare; La bellezza presentata; Il belvedere per i prodigiosi occhi; La musica per la festività e privilegi singolari della Immacolata Concezione di Maria (1665). Il nuovo prodigio per la festività del gloriosissimo patriarca Santo Domenico; La meraviglia per le virtù, prodigi, voti e miracoli del patriarca San Francesco d’Assisi (1667). Le maggiori grazie del Santissimo Sacramento Trionfante (1671). La virtù vilipesa; La virtù arguita nella cattedra dell’eucaristia; La virtù suddita; La virtù dell’anima penante nel santo purgatorio; La virtù panegirica (1676).
Ebbene, oratoria a parte, quel padre brindisino – Bernardo Selvaggi – deve essere comunque stato tutto un personaggio, nonché uomo intelligente ed eclettico al quale piaceva interessarsi ed opinare su quasi tutto. Fu lui, ad esempio, il primo a sostenere anche per iscritto – nel sermone sul Sacramento – l’esistenza certa della allora ritenuta leggendaria moneta “il mezzo carlino” fatta coniare nella zecca di Brindisi dal re Ferdinando II d’Aragona, in riconoscenza alla città dopo il suo ritorno sul trono del regno di Napoli, seguito alla pirrica conquista realizzata, senza colpo ferire iniziando il 1495, dal re di Francia Carlo VIII D’Angiò. In quella storica occasione, infatti, solo Brindisi con qualche altra città era rimasta fedele al re Aragonese.
« Quel “mezzo carlino” venuto alla luce in un paese salentino, fu ritrovato da un mercante di monete e fu segnalato ed illustrato agli studiosi dall’esperto numismatico Memmo Cagiati nel 1921. L’esemplare, l’unico conosciuto, fu donato dal Cagiati al re Vittorio Emanuele di Savoia e dovrebbe far parte della grande raccolta dell’ex re donata allo Stato italiano dopo la sua abdicazione. La moneta aveva le seguenti caratteristiche: sul dritto, la figura di San Teodoro in piedi, tenendo nella destra il pastorale e poggiando la sinistra sudi uno scudo, in cui sono rappresentate le due colonne dello stemma di Brindisi. Sul rovescio, lo stemma della casa d’Aragona sormontato dalla corona». [“Brindisi ignorata” di Nicola Vacca, 1954].
Ma per concludere conviene ritornare alla veemente oratoria sacra di padre Bernardo, da cui ecco riprodotti alcuni paragrafi brevi estratti tutti, a solo mo’ d’esempio, dalle sessanta pagine del suo panegirico sacro “La virtù vilipesa. Ovvero l’Eucarestia amica dei virtuosi disprezzati”.
«Si vilipende il valore d’una gemma, quando non si ha il soldo sufficiente per comprarla. Pure sarebbe saviezza il far stima de’ savi, i quali non per altro molte volte ritardano il volo all’acume dei loro ingegni, se non perché vedono le loro fatiche mal premiate; mentre la promessa del dono aggiunge sprone all’operare… Virtuosi, atterrir non vi deve la persecuzione de vostri invidi nemici, preparati ad infamare e non a premiar la fama delle vostre fatiche…
Gl’ignoranti vilipendono quelle virtù ch’essi non hanno, fanno bersaglio delle loro lingue quel che è sbaraglio ai loro petti. Latra arrabbiato alla luna all’ora quand’è più chiara, quel cane senza cervello, quel cinico sempre mordace, dalla luce della virtù abbagliato… Non hanno gli ignoranti intelletto per ben capire la virtù e almeno si vogliono vantare d’aver denti per lacerarla. È oggi la virtù in ogni parte spregiata, perché in ogni parte il vizio ha la sua parte. Non vi è nel mondo più penosa infermità che l’ignoranza, che come l’infermo ogni buon cibo aborre, così come all’ignorante ogni bontà dispiace…
Il peggior tormento d’un virtuoso tribolato è quando neanche gli si permette che risponda o respiri negli aggravi che gli son fatti dai maggiori. Offeso e non poter parlare è un gran male: ma non curare o santa virtù dei nemici le offese; rotta la conca da mordace dente, la porpora reale si discopre; né del grano, né del vino la dolcezza si gusta se non si pestano. È vero che molte volte, crescendo la virtù manca la fortuna e chi è più virtuoso divien meno avventurato, ma la miglior fortuna è l’esser applaudito virtuoso e da bene… La politica diabolica è seguita oggi da molti, i quali nei loro governi non ammettono consiglieri virtuosi, seguendo il dettame del senso e non della ragione, come se al riscontro non apparisse la di loro vistosa ignoranza più difforme… Voi che desiderate dignità, per essere onorati fatevi dunque onore ben governando, altrimenti per tutti voi l’onore diverrà disonore…
Virtuosi infamati a torto, verrà quel giorno del giudizio dove a vista di tutti ‘saremo’ dichiarati innocenti; condannati come rei dal mondo, onorati come re dal cielo; buttati ora in un cantone scherniti e confusi, ‘saremo’ nel Paradiso con l’applauso dei Santi sollevati alle glorie… Sono superiore, dunque non devo essere crudele ma benigno, inclinato più al perdono che al castigo. L’ira nel cuor di un superiore è come il fuoco in un legno, che al fin se stesso con gli altri inceneriti consuma. Il superiore crudele è tenuto a tenere guardia per guardarsi da coloro dei quali egli è a guardia. Pochi sono sufficienti a guardare quei superiori dove l’amore è di molti, e molti sono pochi dove l’odio è di tutti… Finis.
Fra Bernardo da Brindisi, povero Riformato sottopone tutta questa sua composizione ad ogni savia censura, e particolarmente sotto i piedi della Chiesa Cattolica. 9 Augusti 1674 »
Il padre Bernardo Selvaggi da Brindisi,a suo modo precursore – per certi aspetti – dei tempi, finì i suoi giorni a Lecce non più giovane, nel dicembre del 1679: aveva continuato fino all’ultimo a predicare.