di Gianmarco Di Napoli per il7 Magazine
Chi ha ucciso Paolo Stasi? Ripeto la domanda. Chi ha ucciso Paolo Stasi? Al momento esiste una sola risposta autentica: “Non si sa”. Pare ci siano delle persone sospettate, come in ogni indagine dopo un omicidio, gli investigatori stanno faticosamente mettendo insieme le tessere di un puzzle molto complesso, ma a oltre un mese da quando il ragazzo di 19 anni è stato ammazzato a colpi di pistola nelle scale della sua abitazione, non sono stati raccolti elementi considerati sufficienti a procedere all’arresto di nessuno. Perché è chiaro che nel momento in cui il killer o i killer verranno individuati con prove considerate sufficienti non potranno che essere arrestati: ci sarebbero infatti addirittura tutti e tre gli elementi (ma sarebbe sufficiente uno) che giustificherebbero un provvedimento restrittivo, ossia pericolo di fuga, di inquinamento delle prove e anche di reiterazione del reato.
Finora dunque, ripetiamo, non si sa chi il 9 novembre scorso abbia ammazzato Paolo Stasi.
Le indagini condotte dai carabinieri si sarebbero concentrate su un paio di ragazzi che hanno più o meno la sua età i quali si trovavano nella zona in cui è stato compiuto l’omicidio (via Occhi Bianchi, nel centro di Francavilla Fontana) alla stessa ora. Ma evidentemente non esiste alcuna prova che abbiano una responsabilità nel delitto. E ormai nelle indagini moderne si fa sempre più spesso affidamento alla tecnologia.
Ciò nonostante, a causa di una falla nel rigido sistema con cui ormai vengono condotte le indagini (che vengono coordinate da ben due procure, quella di Brindisi e quella per i minori di Lecce) e che vengono svolte dai carabinieri del Nucleo operativo del comando provinciale di Brindisi e da quelli della compagnia di Francavilla Fontana, da ormai una ventina di giorni i nomi dei due ragazzi sospettati di aver avuto un ruolo nel delitto (un coetaneo di Paolo e un minorenne) sono diventati il segreto di Pulcinella. Tutti ne conoscono l’identità, in molti li indicano già come assassini, in una sorta di processo che in una città piccola come Francavilla non è solo mediatico ma “in presenza”.
In questa Corte d’Assise improvvisata e priva di qualsiasi riscontro sicuro (al punto che gli elementi raccolti sino a questo punto dai carabinieri non sono stati sufficienti neanche a far scattare gli arresti) chiunque si sta sentendo in diritto di indicare non solo il nome degli assassini ma anche il movente del delitto, partendo dal presupposto – totalmente sbagliato – che se qualcuno viene ucciso «chissà cosa deve avere fatto per fare quella fine».
Un “processo” che ha già emesso le proprie spietate sentenze: con una partecipazione clamorosamente irrisoria da parte della gente alla fiaccolata per strada con la quale si chiedeva giustizia per Paolo e che vedeva in prima fila (con grande coraggio, nonostante il dolore lancinante per la perdita) i genitori e la sorella del ragazzo ucciso; con una partecipazione tutt’altro che numerosa di persone ai funerali di Paolo, quando invece in occasioni di questo genere migliaia di cittadini (anche non conoscendo la vittima) avvertono il dovere e l’esigenza di far sentire la propria presenza; con l’assenza totale alla celebrazione di una messa al trigesimo, quando ancora il dolore è palpabile e la famiglia non ha trovato nemmeno la pace parziale che almeno ottenere giustizia riesce a garantire.
E’ chiaro che una parte della città sembra aver emesso la sua sentenza, senza sapere minimamente ciò che sia accaduto realmente. Perché in questo processo condominial-mediatico scatenato dalla diffusione di possibili notizie riservate sulle indagini, il passo successivo è stato quello di dover individuare necessariamente qualcosa di estremamente grave che possa giustificare l’omicidio di un ragazzo di 19 anni. Come se potesse esistere un motivo al mondo che davvero possa renderne almeno parzialmente comprensibile l’eliminazione di un giovanissimo.
Così sono state dette e scritte le cose più orribili su Paolo, le illazioni più perfide sulla sua famiglia, in questa ricerca spasmodica di una motivazione che possa fare sentire tutti più tranquilli, che possa far dire «okay a noi non potrà mai capitare, i nostri figli sono al sicuro perché non frequentano certi giri». Ma quali giri esattamente?
Così è diventato un massacro: da un lato viene infangata la memoria di Paolo che sino a prova contraria era un ragazzo senza vizi e che non aveva mai preso neanche una multa. E viene infangata la sua famiglia che da oltre un mese deve fare i conti con un dolore devastante e che è costretta a subire una pubblica inquisizione. Qualunque sia il movente di questo omicidio terribile, e sottolineiamo “qualunque”, sarà sempre infinitamente piccolo rispetto alla decisione di uccidere un ragazzo di 19 anni. Sarà ciò che il linguaggio giudiziario definisce aridamente “futili motivi”.
C’è un altro aspetto che va considerato. Ed è quello dei due ragazzi che in questo momento vengono indicati come gli autori materiali del delitto e che, secondo le ultime notizie “filtrate” dagli investigatori, non avrebbero agito neanche di loro iniziativa ma su indicazione di un mandante. Essi sono già stati processati e condannati come killer, senza neanche essere stati raggiunti da un provvedimento cautelare del giudice. Per la gente lo sono già. Qualcosa che, a nostra memoria, da queste parti non è mai accaduto.
Nel settembre 2019 un coetaneo di Paolo, Giampiero Carvone, venne ammazzato con dinamiche quasi identiche sotto la sua abitazione, al rione Perrino di Brindisi. Giampiero, a differenza di Paolo, aveva precedenti penali, rubava auto. E proprio qualche ora prima di essere ammazzato si erano presentati a casa sua alcuni malavitosi che avevano sfasciato il portone e avevano minacciato lui e la sua famiglia perché aveva portato via l’auto a chi non doveva. E sempre poche ore prima i suoi presunti complici in quel furto erano stati presi a fucilate per strada. Così quando poi Giampiero è stato ammazzato, ovviamente, le indagini della polizia sono andate in una direzione precisa: il ragazzo doveva essere stato ammazzato da quelli che lo avevano minacciato e che poi avevano sparato per strada perché aveva osato rubare un’auto che non doveva. Si pensava.
Le indagini andavano avanti nella convinzione che fosse quella la strada giusta: gli autori di quelle minacce (e della successiva sparatoria) vennero arrestati per quei due episodi di secondo piano, nella certezza che tra loro ci fosse anche chi aveva premuto materialmente il grilletto contro Carvone. E di riuscire a incastrarlo.
Solo pochi mesi fa si è scoperto che la verità era completamente diversa: l’omicida era (questa è l’ipotesi poi formalizzata nell’ordinanza di custodia cautelare) uno dei complici del ragazzo nel furto dell’auto, che lo avrebbe punito con la morte per averli coinvolti in quell’azione che ne aveva messo a repentaglio l’incolumità, portandoli a rubare la macchina a chi non dovevano.
Così per mesi sono stati sospettati dell’omicidio (e ovviamente processati pubblicamente) giovani che, seppur con la fedina penale compromessa, non si erano macchiati di un delitto così atroce.
Ecco perché sarebbe opportuno, in questa vicenda terribile di Francavilla, fermarsi alla domanda di partenza: chi ha ucciso Paolo? E aspettare, fiduciosi, che la risposta arrivi da chi è tenuto a darla. E per le vie ufficiali, non attraverso «indiscrezioni».